L’indagine sul reparto di ginecologia dove lavorava Sara Pedri
È una ginecologa di Trento scomparsa da mesi, e la sua storia ha fatto emergere sospetti di un contesto di umiliazioni e mobbing
Sara Pedri è una medica ginecologa di 31 anni, scomparsa più di quattro mesi fa, il 4 marzo, in Val di Non, in Trentino. La sua auto, una Volkswagen T-Roc, è stata trovata nel comune di Cis, al confine con quello di Cles, tra due strade statali vicino a un ponte sul torrente Noce. All’interno dell’auto c’erano la borsa e il cellulare. Quello che potrebbe essere un fatto di cronaca come ce ne sono molti in Italia, dove nel 2020 sono state presentate 13.537 denunce di scomparsa, ha rivelato un contesto di sospetti abusi e mobbing – cioè un insieme di comportamenti aggressivi in un posto di lavoro – nel reparto di Ginecologia e Ostetricia dell’ospedale Santa Chiara di Trento, dove la donna lavorava.
Al centro dell’indagine interna dell’ospedale è finito il primario del reparto, Saverio Tateo, ora trasferito a un altro incarico. Il pubblico ministero Licia Scagliarini ha aperto un fascicolo modello 45, quello degli atti non costituenti ipotesi di reato e che cioè devono essere valutati e indagati ulteriormente prima di formare eventualmente un’iscrizione della notizia di reato. Il ministro della Salute Roberto Speranza ha avviato un’ispezione. Il sospetto è che all’interno del reparto la gestione fosse spesso poco rispettosa dei lavoratori, medici e infermieri, che il clima in generale fosse di tensione, che umiliazioni e punizioni fossero frequenti.
Sara Pedri, originaria di Forlì, dopo la laurea specialistica a Catanzaro era stata assegnata all’ospedale di Cles. Aveva già preso in affitto un appartamento ma quattro giorni prima di prendere servizio le venne comunicato che in realtà era stata assegnata all’ospedale di Trento. Questo accadeva nell’autunno del 2020. I problemi a quanto pare iniziarono presto. Secondo la sorella Emanuela, Sara Pedri viveva in un continuo stato d’ansia. Aveva perso molti chili, cosa che, sempre secondo la sorella, il primario le aveva anche rinfacciato. «Mia sorella», ha detto a una trasmissione televisiva, «è stata offesa verbalmente, svilita, umiliata». Sempre la sorella ha detto che «Sara veniva verbalmente offesa con parole pesanti: ha cominciato a sentirsi terrorizzata, dicendo che non riusciva nemmeno a tenere il bisturi in mano».
Il 3 marzo Pedri si era dimessa. Disse ai colleghi di essersi tolta un peso enorme. Circa un mese e mezzo prima aveva avuto un certificato medico per 15 giorni di malattia a causa di un “calo ponderale e stress lavorativo”. Dopo solo una settimana però era tornata in reparto per la paura di subire ritorsioni, secondo la sorella. Una collega, parlando di sé, ha raccontato in televisione che «pur di non andare lì, avrei preferito avere un incidente. Non ho mai desiderato suicidarmi, ma ti giuro su Dio che ogni volta che andavo a lavorare pregavo Dio di fare un incidente, rompermi le gambe, rimanere paralizzata e rimanere a casa per sempre. Ti fanno lavorare per tre, ti ammazzano di lavoro».
Sono state le denunce pubbliche della sorella e della madre di Sara Pedri a spingere l’azienda ospedaliera ad avviare l’indagine interna che ha portato all’allontanamento del primario. A essere sentiti sono stati 110 lavoratori dell’ospedale. «Dalla documentazione», scrive nel rapporto l’Azienda sanitaria, «emergono fatti oggettivi e una situazione di reparto critica che rendono necessari provvedimenti decisi al fine di tutelare la serenità delle pazienti, di tutti gli operatori coinvolti e a salvaguardia del buon funzionamento del reparto. La direzione generale invierà gli atti della commissione di indagine all’Ufficio procedimenti disciplinari per l’attivazione del relativo iter». Intanto il reparto del Santa Chiara è stato affidato al direttore della struttura complessa di ostetricia e ginecologia dell’ospedale di Rovereto.
Già prima del caso che ha riguardato Sara Pedri, sei professioniste del reparto di Ginecologia e Ostetricia si erano rivolte a due legali per denunciare la situazione di forte disagio in cui erano costrette a lavorare: «Parliamo di demansionamenti e altre condotte vessatorie riconducibili al mobbing» spiega l’avvocato Andrea Manca, che con il collega Andrea De Bertolini rappresenta legalmente le sei dottoresse. «Il nostro primo obiettivo era ristabilire nel reparto un clima vivibile segnalando alla Direzione la grave incompatibilità ambientale. Ora che il primario e la sua collaboratrice sono stati trasferiti, decideremo se e come agire in sede civile e penale».
Della situazione sarebbe stato a conoscenza anche il direttore generale dell’Azienda Sanitaria del Trentino, Pierpaolo Benetollo, secondo quanto ipotizzato nelle interrogazioni presentate dalle opposizioni nella giunta della provincia autonoma di Trento. Benetollo si è dimesso dopo essere stato accusato di non aver mai avvertito né l’assessorato alla Sanità né la Giunta regionale. Una delle testimoni sentite durante l’indagine interna ha detto: «La condotta basata su atteggiamenti spesso vessatori ha creato in me, come in tanti altri, una profonda sofferenza. Capitavano anche insulti e minacce. A un’infermiera ho sentito dire: “Io ti rovino”». Dopo il trasferimento del primario, a essere trasferita è stata anche Liliana Mereu, responsabile dell’Unità semplice di Ginecologia, di fatto il vice primario.
Tra gli atti acquisiti dagli ispettori inviati dal ministro Speranza c’è anche una mail inviata da Sara Pedri al primario Tateo, in cui lei lo definisce “sovrano illuminato”. La pm Licia Scagliarini ha anche acquisito i dati del telefono ritrovato nell’auto. E ha ascoltato la testimonianza di colleghi della donna per capire se sia vero l’episodio, raccontato da alcuni quotidiani, secondo cui la donna fu schiaffeggiata sulle mani mentre aveva in mano un bisturi e poi allontanata in malo modo dalla sala operatoria. Si è attivato anche l’Ordine dei medici che ha fatto sapere che, a fine luglio, valuterà i margini per attivare procedimenti disciplinari nei confronti di alcuni colleghi della ginecologa.
Intanto vanno avanti le ricerche di Sara Pedri, ma gli investigatori hanno poche speranze di trovarla ancora in vita. Il lavoro delle squadre di ricerca è concentrato nelle acque del lago di Santa Giustina, dove sfocia il torrente Noce.
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