I cercatori di luoghi abbandonati
Un gruppo di Verona da anni va in giro per l'Italia per visitarli e fotografarli, condividendo foto affascinanti sui social network
A Mombello, una frazione del comune brianzolo di Limbiate, c’è una villa che fino a poco tempo fa era completamente abbandonata e fatiscente. Si trova nei pressi di una via piuttosto anonima, punteggiata da paline dell’autobus, alberi e caseggiati bassi. Dalla strada non si vede molto ma la struttura, nota con il nome di Villa Pusterla-Crivelli, è molto grande e ha una storia prestigiosa: alla fine del Settecento ospitò Napoleone Bonaparte, sua madre e le sue tre sorelle (Paolina scelse la villa come sede del suo matrimonio con il generale Leclerc). Pochi decenni dopo le campagne militari d’Italia, la villa diventò un ospedale psichiatrico e lo rimase per più di un secolo, diventando il «colosso dei manicomi italiani» e ospitando tra gli altri il figlio illegittimo di Mussolini, Benito Albino.
Villa Pusterla è stato uno primi luoghi documentati da Andrea, Monica, Stefano e Marco, un gruppo di Verona che da anni si è interessato alla cosiddetta urbex, cioè l’attività di esplorare e fotografare siti urbani abbandonati. Urbex sta per urban exploration (“esplorazione urbana”) ed è un passatempo che sta raccogliendo sempre più appassionati. Il gruppo di Verona è nato nel 2015 e ha cominciato a pubblicare le foto dei siti visitati su Facebook, su una pagina chiamata semplicemente Luoghi abbandonati.
Attualmente la pagina è seguita da più di 111mila persone, ma i metodi e lo stile della loro comunicazione sono rimasti gli stessi di quando avevano iniziato: quando riescono a reperirle corredano le foto con le storie del luogo, altrimenti scrivono una descrizione essenziale di ciò che hanno visto, non fornendo quasi mai indicazioni precise sull’indirizzo (per evitare vandalismi). Le protagoniste dei loro post sono le fotografie, e si intuisce che il gruppo preferisce lasciare spazio alle immagini, senza mai adottare toni allusivi a realtà metafisiche o agli acchiappafantasmi, come capita spesso quando si parla di luoghi abbandonati.
«È nato tutto per caso con un corso di fotografia, era il 2015» racconta Andrea, che ha 39 anni. «Con alcuni ci conoscevamo già e con altri ci siamo conosciuti lì. Dopo il corso ci siamo detti “ma adesso cosa andiamo a fotografare?”, e quindi per curiosità mi sono messo a cercare qualche posto abbandonato nella nostra zona. Ho trovato un sanatorio e da lì poi è cominciato tutto». Il sanatorio in questione, istituito nel 1918, si trova a Sant’Ambrogio di Valpolicella e serviva a ricoverare e curare donne malate di tubercolosi. All’epoca della prima visita di Andrea e dei suoi compagni era già in stato di abbandono piuttosto avanzato.
L’urbex è una definizione per qualcosa che si fa probabilmente da secoli, sulla spinta del fascino per le rovine e per il decadimento. I luoghi rimasti fermi a un’altra epoca ispirarono molti artisti e poeti romantici, nell’Ottocento, ma già secoli prima gli uomini e le donne rinascimentali avevano subìto la suggestione delle rovine romane e greche. Oggi invece i luoghi abbandonati ritenuti più affascinanti sono forse quelli post-industriali, i grandi complessi come fabbriche e ospedali.
Ma le ragioni per cui ne veniamo attratti non sono cambiate: come disse Brian Dillon, curatore di una mostra alla Tate proprio su questo tema, le rovine ci causano «un miscuglio di emozioni tra cui orrore, nostalgia, rimpianto, ma anche una sorta di fremito, una sublime eccitazione» che va al di là del semplice interesse accademico ed è legato alla condizione umana di riflettere sul passato e sul destino della propria civiltà.
Oltre a tutto questo, ciò che muove il gruppo di Verona è anche l’intenzione di documentare e in qualche modo preservare i luoghi che visitano. «Non è che teniamo nascosti gli indirizzi per tenere il luogo per noi» dice Andrea. «Ma perché spesso la gente non ha la nostra stessa passione e va lì per rubare, rovinare, quindi tentiamo un po’ di salvaguardarlo». Certi siti sono ville in stato di abbandono per via di mancanza di eredi, perciò in questi casi sono impossibili da recuperare. Ma quando si tratta di ex fabbriche, come lo zuccherificio Eridania (nel basso veronese, chiuso negli anni Sessanta), l’intento è di documentare «per far capire che posti come questi possono essere anche salvati».
Fare esplorazione urbana come fa il gruppo di Andrea non è un’impresa troppo ardua dal punto di vista fisico. Loro si dedicano a questo passatempo principalmente nei weekend, perché di lavoro fanno altro, e si muovono in auto verso zone non troppo distanti da Verona. L’equipaggiamento consiste in una buona macchina fotografica – i loro modelli sono reflex Canon e Nikon – uno zaino, pantaloni lunghi e resistenti e scarpe da trekking, meglio se con la punta rinforzata per poter camminare sopra detriti e pezzi di vetro. «Ma soprattutto il problema sono i rovi e le spine» racconta Andrea. «Quindi meglio indossare pantaloni lunghi da lavoro altrimenti ti distruggi le gambe, infatti non è facile d’estate quando fa caldo».
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Da quando la pagina ha raggiunto un certo seguito, arrivano tante segnalazioni di potenziali luoghi da visitare. Solitamente, però, Andrea, Monica, Marco e Stefano li individuano da soli o con il passaparola degli appassionati, che hanno incontrato spesso da quando hanno iniziato la loro attività. «Ce li passiamo tra di noi perché, tolti quelli più famosi, diventa difficile trovarne di nuovi» dice Andrea. «Ci sono tanti gruppi come noi e io sono in contatto con alcuni, a volte facciamo anche uscite insieme. Trovare una villa abbandonata in mezzo al nulla non è facile».
Di ville abbandonate, in effetti, la pagina Luoghi abbandonati ne ha documentate parecchie. Una delle più recenti è stata quella che hanno definito “La villa del tappezziere”, senza specificare la località «poiché potremmo attirare ulteriori vandali e sciacalli che in questo luogo hanno già avuto il suo ben da farsi». La villa è stata abbandonata in anni recenti ed era appartenuta a un imprenditore del settore tessile. Secondo il racconto di Luoghi abbandonati un dissesto finanziario gli fece chiudere l’azienda, che venne anche incendiata, e probabilmente la casa venne abbandonata poco dopo. Parcheggiata nel viale c’è ancora una vecchia Triumph decappottabile blu, con l’abitacolo pieno di foglie secche.