Le cose che si vendono in edicola insieme ai giornali
Oggi soprattutto libri, ma ci sono stati oggetti e invenzioni varie, tra i "collaterali" che aiutano a rimpinguare i bilanci in crisi
Le molte discussioni che si fanno intorno alla crisi dei giornali e dell’informazione hanno tutte un argomento di partenza molto concreto, prima ancora di diventare discorsi più nobili sull’etica giornalistica e sui contenuti: e cioè il fatto che da almeno due decenni i ricavi delle aziende giornalistiche sono in grande declino, perché sono diminuite – quasi senza eccezioni – le copie dei quotidiani vendute, e contemporaneamente il valore della pubblicità al loro interno: in entrambi i casi soprattutto in conseguenza dei cambiamenti digitali e delle sovversioni dei modelli di business. Nei bilanci dei quotidiani italiani c’è però una voce di ricavo del tutto “tradizionale” che da quando esiste ha avuto sempre un successo piuttosto stabile e che addirittura nell’ultimo anno sembra essere tornata a crescere: quella dei cosiddetti “collaterali”, ovvero i libri – soprattutto, ma anche altri prodotti – che vengono venduti in edicola assieme ai giornali.
Nell’ultimo anno ne sono usciti molti più del solito, nonostante i giornali con cui escono in edicola abbiano invece venduto meno copie durante la pandemia (con pochissime eccezioni). L’aumento è proseguito fino all’inizio di quest’anno, e nel primo trimestre del 2021 i collaterali abbinati a giornali e riviste sono aumentati del 17,8 per cento rispetto allo stesso periodo del 2020, secondo una recente indagine dell’Ufficio studi dell’AIE, l’associazione italiana degli editori (che prendeva in considerazione 12 testate giornalistiche italiane).
I collaterali sono diventati una parte rilevante della storia del giornalismo italiano negli anni Novanta (rimane molto ricordata la scelta dell’allora direttore dell’Unità Walter Veltroni di allegare al giornale le riproduzione dei vecchi album delle figurine Panini, ma anche videocassette di film, riedizioni dei Vangeli, e altro): il loro successo – legato soprattutto a meccanismi di collezionismo alla portata di tutti, per prodotti piuttosto economici – crebbe nel decennio successivo: dopo le videocassette ci furono i DVD, i fumetti, i “giochi educativi” per bambini, modellini di vario genere, rompicapo, ristampe di dischi in vinile. C’erano anche improbabili giochi da tavolo estivi come il “Prendimi” del Corriere della Sera, che in quattro uscite ad agosto forniva ai lettori mazzi di carte, tabellone e pedine per comporre una sorta di “quizzettone”, in cui potevano capitare domande come “chi è il ministro del governo Berlusconi che si è battuto per il voto degli italiani all’estero?”. Oggi di tutta quella selezione sono rimasti praticamente solo i libri, di due tipi: quelli che escono singolarmente, i cosiddetti “one shot”, e quelli che fanno parte di una collana da comporre in più uscite, una alla settimana.
Già nei primi anni Duemila si parlava di una crisi dei ricavi pubblicitari nell’informazione che avrebbe portato all’estinzione dei giornali – che vendevano molto meno – da lì a qualche decina d’anni: la domanda dei lettori per le vendite dei collaterali sembrò un’ottima occasione per compensare quei mancati ricavi, e nelle aziende giornalistiche si dedicarono persone e risorse alla loro ideazione, confezione produzione, promozione. Il loro mercato crebbe rapidamente fino a farli diventare una parte importantissima delle entrate economiche di un giornale, quasi al pari della distribuzione in edicola e della pubblicità, e un titolo in copertina di un numero del mensile Prima Comunicazione li chiamò “la terza gamba”. Naturalmente non ci si era inventati niente: fin dagli anni Cinquanta in edicola uscivano le collane dei cosiddetti “collezionabili”. Si collezionavano oggetti o grandi dispense come le enciclopedie, anche se non erano in abbinamento ai quotidiani, e venivano vendute da case editrici come Fabbri, Hachette, De Agostini per un pubblico che non necessariamente avrebbe letto tutti i volumi della collana, ma che la percepiva come un valore aggiunto nella propria libreria, o del proprio arredamento domestico e culturale. Il meccanismo di vendita dei collaterali, molto semplice, era stato ripreso proprio da quelle esperienze (e in molti casi viene utilizzato ancora oggi): il primo numero veniva regalato, o venduto a un prezzo simbolico, il secondo (ma a volte anche il terzo) veniva generalmente venduto a un prezzo scontato e poi, quando ormai il cliente aveva iniziato la sua collezione, si cominciava a proporre il prezzo intero.
Nel gennaio 2002 ebbe un grandissimo successo“La biblioteca di Repubblica” che proponeva un’uscita settimanale per tutto l’anno con cinquanta romanzi del Novecento. Il primo fu “Il nome della rosa” di Umberto Eco, e nell’occasione Repubblica regalò un milione e 200mila copie del libro, non senza timori che l’azzardo, molto oneroso dal punto di vista economico, si rivelasse un fallimento. Non lo fu, e per tutto il 2002 i libri della collana vendettero in media più di 500mila copie ciascuno a un prezzo di 4,90 euro l’uno (5,80 compreso il quotidiano). Sei mesi dopo il Corriere imitò l’iniziativa del giornale rivale, e già per il 2002 la FIEG (Federazione Italiana Editori Giornali) stimò che i collaterali valessero il 7 per cento del fatturato editoriale dei quotidiani. Il fenomeno continuò a crescere negli anni successivi e nel momento di massima espansione arrivò a valere il 14 per cento del fatturato editoriale dei giornali, poi cominciò a diminuire, per stanchezza, tra il 2007 e il 2008. Negli anni i collaterali si sono pian piano stabilizzati, fino a diventare oggi una fonte di ricavo stabile, pur senza i picchi di quei tempi.
Il loro grande successo iniziale fu dovuto anche al fatto che in molte zone d’Italia le edicole erano ancora il luogo più accessibile per acquistare un libro: erano molte di più delle librerie, che si trovavano solo nei centri cittadini più grandi. I buoni risultati durante l’anno della pandemia sono spiegabili in parte con argomenti simili, visto che nei periodi di lockdown e di maggiori chiusure le edicole sono rimaste sempre aperte, a differenza delle librerie, e in qualche modo sono tornate ad assumere la centralità che avevano un tempo: in un periodo poi, per comprensibili ragioni, di aumento della lettura dei libri. La crescita si è però confermata anche all’inizio del 2021, nonostante le riaperture. Il mercato dei libri venduti in edicola non sembra avere mai influenzato quello delle librerie, e sia nei dati attuali che nelle rilevazioni storiche i due mercati si sono sempre mostrati come complementari, piuttosto che concorrenti.
Oltre a fornire ricavi economici diretti con la loro vendita, nei primi anni dei loro maggiori successi i collaterali servirono anche a fidelizzare i lettori, ad aumentare la frequenza d’acquisto del giornale (e quindi anche a far salire il valore della pubblicità, destinata a un numero maggiore di “lettori”), soprattutto nei giorni in cui abitualmente si vendevano meno copie. Con il passare degli anni però si arrivò a una saturazione del mercato, e praticamente ogni giorno della settimana in edicola con il giornale si trovavano dei collaterali, collane o uscite singole, a volte anche due al giorno. Oggi gli obiettivi sono cambiati: i collaterali non incidono più tanto sulle copie dei giornali che vengono vendute (e quindi non aumentano nemmeno il valore della pubblicità) e hanno soprattutto ragioni commerciali dirette. Più esplicitamente: non attirano nuovi lettori, ma convincono quelli che ci sono già a spendere di più.
Una delle testate che in Italia pubblica più collaterali è il Corriere della Sera, che ha fondato tre anni e mezzo fa una propria casa editrice, “Solferino” (dal nome della via milanese in cui ha sede il Corriere) che oltre a pubblicare in autonomia collabora col quotidiano sulle vendite in edicola. In tutto ci lavorano circa 25 persone, di cui una decina ai collaterali. La direttrice dell’Area libri di Solferino, Luisa Sacchi, dice che negli ultimi anni l’approccio sui collaterali è cambiato: «Abbiamo lasciato le grandi cose, come le enciclopedie, e abbiamo provato a chiederci quali fossero gli interessi di lettura cercando anche di sperimentare». Sacchi cita le collane uscite con il Corriere sulla letteratura straniera, come quella nordica e quella giapponese, o una collana sul Medioevo curata dallo storico Franco Cardini, ma racconta anche di come abbiano deciso di «cambiare un po’ il registro ed entrare su tematiche più leggere e nicchie di interesse profonde, come lo yoga». Negli ultimi anni il Corriere ha fatto uscire più o meno tra le 30 e le 40 collane all’anno e tra i 20 e i 30 libri “one shot”, con ricavi intorno ai 40 milioni di euro all’anno.
I vantaggi di una casa editrice come Solferino nel mercato dei collaterali sono nel potere di convocazione del pubblico e di pubblicità dei propri prodotti a costo zero, attraverso il giornale: una condizione irreplicabile per le case editrici tradizionali che concordano con i giornali interessati partnership più onerose. Qualcosa di simile ha fatto anche Il Fatto quotidiano con la casa editrice Paper First. È molto frequente che queste case editrici pubblichino libri di giornalisti stessi del giornale, sfruttando il seguito personale che ognuno di loro ha: sempre secondo l’indagine dell’AIE sui collaterali, dei 143 libri “one shot” usciti tra dicembre 2019 e marzo 2021, il 39 per cento aveva come autori giornalisti della stessa testata. Testate locali, o comunque con giornalisti meno noti, fanno invece studi diversi a seconda degli autori più letti e conosciuti sul territorio.
Tra i motivi per cui sono rimasti quasi solo i libri, dei molti gadget e oggetti che si vendevano come collaterali, c’è il fatto che costano meno se venduti su larga scala, perché le tirature aggiuntive hanno un costo che tende ad abbassarsi. Oggetti, modellini e gadget escono ancora, ma più raramente, con le testate sportive: ci sono poi occasionali invenzioni legate all’attualità, come le mascherine allegate al giornale, o le bandiere tricolore in occasione degli anniversari o degli eventi sportivi.
Oggi i collaterali non si possono più considerare “la terza gamba dei quotidiani”, e anche il mito per cui avrebbero dovuto salvare i giornali in crisi è stato ampiamente ridimensionato; restano però una fonte di ricavi su cui poter fare affidamento senza temere oscillazioni o cadute improvvise, e di questi tempi non è poco.