Il governo ha trovato un accordo sulla riforma della giustizia
Il M5S ha accettato controvoglia la proposta di stabilire dei limiti ai processi di Appello e in Cassazione, per accorciare i tempi
Giovedì sera il consiglio dei Ministri ha approvato una serie di emendamenti al disegno di legge che delegherà al governo la riforma della giustizia, di cui si sta occupando la ministra Marta Cartabia, mettendosi infine d’accordo su una delle riforme più importanti tra quelle che l’Italia deve fare per ottenere i finanziamenti europei del Recovery Fund. Da mesi erano in corso discussioni e divergenze nella maggioranza, e l’accordo è stato raggiunto a fatica tra le proteste del Movimento 5 Stelle: ora dovrà passare in Parlamento, ma ci si aspetta che possano saltare fuori nuove divisioni e scontri.
Il punto più importante su cui mancava un accordo era la riforma dei tempi della giustizia penale. Uno degli obiettivi era cambiare la legge “Spazzacorrotti” di Alfonso Bonafede, l’ex ministro della Giustizia del Movimento 5 Stelle, che aveva eliminato la prescrizione dopo le sentenze di primo grado, sia di condanna che di assoluzione. Con la nuova riforma, la prescrizione rimane in realtà così – cioè cessa di decorrere dopo la sentenza di primo grado – ma vengono introdotti tempi fissi oltre il quale scatta l’improcedibilità, cioè oltre i quali il processo non potrà andare avanti: sono previsti due anni per il processo d’Appello e un anno per quello in Cassazione.
Ci sono però delle eccezioni per i reati gravi, come mafia, terrorismo, traffico di droga, violenza sessuale, rapina, estorsione, sequestro, e dopo l’insistenza del M5S anche per corruzione e concussione: in questi casi i tempi dei processi potranno essere prorogati fino a tre anni per l’Appello e a un anno e mezzo per la Cassazione. Vale anche per reati di particolare complessità, per i cui processi è richiesto più tempo. È previsto poi che il conteggio dei tempi per l’improcedibilità sia sospeso negli stessi casi in cui al momento viene sospeso quello per la prescrizione: e cioè, per esempio, quando gli avvocati dell’imputato allungano il processo con richieste di legittimo impedimento.
Il M5S era contrario alla riforma dei tempi della giustizia: con la riforma Bonafede, infatti, aveva cercato di limitare la prescrizione ritenendo di combattere l’impunità e di garantire che più processi arrivino a una sentenza definitiva. Ma in Italia esiste notoriamente un grave problema di tempi della giustizia, e da tempo gli esperti di diritto e sistema giudiziario insistono sulla necessità di sveltirli per garantire il diritto costituzionale della ragionevole durata del processo. Questa richiesta era anche tra quelle fatte dall’Unione Europea per erogare il Recovery Fund. Il ddl Cartabia interviene in questo senso senza toccare concretamente la prescrizione riformata da Bonafede, ma introducendo un limite temporale oltre il quale scatta l’improcedibilità.
Il M5S alla fine ha accettato anche perché in questo momento non è per niente compatto e manca di leadership, visto che arriva dal duro scontro tra Beppe Grillo e Giuseppe Conte e sta cercando proprio in questi giorni di trovare un compromesso tra i due per non spaccare il partito. Il compromesso nel consiglio dei ministri è stato includere la corruzione e altri reati da “colletti bianchi” tra quelli per i quali sono previsti tempi più lunghi per permettere di celebrare il processo di Appello e quello in Cassazione. Forza Italia e Italia Viva, scrivono i giornali, erano contrari ma la Lega ha mediato. Ma i giornali descrivono un M5S molto scontento su com’è andata a finire, e diviso in un modo che potrebbe mettere a rischio l’approvazione definitiva.
I disegni di legge che daranno al governo la delega di fare la riforma, inclusi gli ultimi emendamenti approvati dal governo, dovranno infatti essere votati in Parlamento: attualmente è in corso la discussione in Commissione giustizia al Senato. Rimangono comunque alcuni punti ancora in discussione, su cui si dovrà trovare un accordo.
Rimanendo nell’ambito del processo penale, la riforma cambierà la richiesta di rinvio a giudizio, quella con la quale il pubblico ministero manda a processo un indagato: se il ddl passerà, la richiesta a rinvio a giudizio non si dovrà più basare soltanto sul fatto se ci siano elementi di sostenere l’accusa, ma dovrà valutare se ci sia una «ragionevole previsione di condanna». È un provvedimento che serve a ridurre il numero di processi, molti dei quali ora finiscono con un’assoluzione in primo grado.
Sono ridotti anche i tempi concessi ai pm per chiedere il rinvio a giudizio, e vengono concessi più poteri al gip nel controllo delle indagini, sempre con l’obiettivo di non prolungare troppo la fase che precede il processo, e idealmente archiviare le indagini meno solide.
Una parte riguarda invece il processo civile, con l’obiettivo di ridurre del 40 per cento i tempi dei procedimenti entro i prossimi cinque anni, estendendo per esempio gli istituti della mediazione e della negoziazione assistita, due metodi alternativi di risoluzione delle controversie attraverso un accordo di natura privatistica tra le parti in lite. L’altro grande aspetto su cui interviene la riforma è il sistema elettorale e il funzionamento del Consiglio superiore della magistratura, l’organo di autogoverno della magistratura, per garantire «un esercizio del governo autonomo della magistratura libero da condizionamenti esterni o da logiche non improntate al solo interesse del buon andamento dell’amministrazione della giustizia».