• Sport
  • Venerdì 9 luglio 2021

Il grande ritorno di Mark Cavendish

Dopo anni senza vittorie, il velocista britannico era lì lì per ritirarsi: poi ha vinto quattro tappe al Tour de France eguagliando un record del più forte ciclista di sempre

Mark Cavendish l'1 luglio (Guillaume Horcajuelo, Pool Photo via AP)
Mark Cavendish l'1 luglio (Guillaume Horcajuelo, Pool Photo via AP)
Caricamento player

Il ciclista britannico Mark Cavendish ha 36 anni ed è uno dei più forti velocisti della storia. Nella sua carriera, iniziata più di 15 anni fa, ha vinto più di 150 corse, è stato più volte campione mondiale su pista e, nel 2011, campione mondiale su strada. In quel periodo – diciamo un decennio fa – Cavendish era davvero fortissimo. Poi – diciamo negli ultimi cinque anni – ha avuto una serie di problemi: e le vittorie, che già avevano iniziato a farsi più rare e meno importanti, hanno proprio smesso di arrivare.

Meno di un anno fa Cavendish disse in lacrime di essere probabilmente vicino al suo ritiro. Ora invece è al Tour de France, la più grande corsa ciclistica al mondo, e ha vinto quattro tappe. Ha così eguagliato il record di vittorie totali al Tour de France di Eddy Merckx, il più forte e vincente ciclista della storia, che ora ha perfino la possibilità di superare.

«Faceva più notizia se perdevo che se vincevo»
Cavendish è nato nel 1985 sull’Isola di Man, tra l’Irlanda e la Gran Bretagna. Dopo una brevissima carriera da terzino sinistro si appassionò al ciclismo e ci si dedicò: prima con una bicicletta BMX, poi con una mountain bike, poi in un’accademia giovanile finanziata dall’associazione ciclistica britannica. Poco più che ventenne divenne professionista, alternando gare su pista (in particolare nella gara a punti nota come “americana”) a gare su strada. E grazie alla sua notevole forza esplosiva e alla sua non comune capacità di destreggiarsi tra il trambusto e i pericoli delle volate su strada, divenne in poco tempo il più forte velocista in attività.

C’è stato un periodo, tra la fine degli anni Zero e i primi anni Dieci in cui, ha detto Cavendish al Wall Street Journal, «faceva più notizia se perdevo che se vincevo». Tra il 2008 e il 2016 Cavendish vinse 15 tappe del Giro d’Italia, diverse decine di altre tappe in corse di un giorno o corse a tappe più brevi e, soprattutto, 30 tappe al Tour de France.

– Leggi anche: Perché i ciclisti britannici sono così forti

«Non è solo la mia saluta fisica ad aver avuto un duro colpo»
Dal febbraio 2017, dopo essere stato prima il-più-forte e poi uno che comunque, anche con l’esperienza, alla fine le sue vittorie riusciva a portarle a casa, smise di vincere. Fu inoltre colpito in modo piuttosto forte dalla mononucleosi, che per diversi mesi ne condizionò le prestazioni. Come aveva raccontato un anno fa – nell’intervista in cui disse, parlando al passato, che i suoi non erano stati solo problemi fisici – nel 2018 gli fu inoltre diagnosticata una «depressione clinica».

Anche nel 2019, risolti i problemi con la mononucleosi, Cavendish non vinse comunque niente, neanche una corsa minore. E non arrivò nessuna vittoria neanche nel 2020, durante il quale non finì nemmeno una volta tra i primi dieci, in nessuna delle gare a cui partecipò.

«Potrei aver corso l’ultima gara della mia carriera»
Cavendish aveva ormai superato i trent’anni da qualche anno: era possibile, anzi addirittura probabile, che avesse perso la forza esplosiva necessaria per concentrare tantissima potenza nelle decisive pedalate di una volata, e che magari avesse perso la malizia e la veemenza spesso necessarie per vincerle.

Non sembrava nemmeno in grado di avere una condizione psicofisica per reinventarsi come gregario, magari aiutando altri compagni a vincere le loro volate, precedendoli in quelle file di corridori note in gergo come “treni”. A fine 2020, a 35 anni, dopo centinaia di giorni senza vittorie, al termine della corsa belga Gand-Wevelgem, Cavendish disse in lacrime a un intervistatore «potrei aver corso l’ultima gara della mia carriera». Questo perché il suo contratto con la squadra di allora era in scadenza, non c’era l’intenzione di rinnovarglielo e non era per niente detto che qualche altra squadra volesse puntare su un corridore che non sembrava poterne avere ancora per essere vincente, forse anche solo competitivo.

«Mi serviva un posto felice»
Cavendish – che dopo quella Gand-Wevelgem corse altre tre gare, finendone però solo una – trovò invece la fiducia di una squadra che gli propose un nuovo contratto. Era la Deceuninck-Quick Step, la squadra (con un nome in parte diverso, ma per gran parte ancora guidata dalle stesse persone) con cui aveva corso tra il 2013 e il 2015.

«Ho scelto questa squadra perché quelli furono i giorni più felici della mia carriera» ha detto lui «e volevo solo stare in un posto felice, mi serviva. E mi serviva una squadra che facesse davvero squadra». Fu meno chiaro, allora, perché la Deceuninck-Quick Step – una delle più forti squadre del ciclismo mondiale, tra l’altro già dotata del forte velocista Sam Bennett – avesse scelto lui. Sembra infatti che fosse arrivato per lui quel momento, comune a tutte le carriere e specie in uno sport come il ciclismo, in cui non si riesce più a fare le prestazioni di un tempo.

La scelta iniziò a mostrarsi azzeccata ad aprile, quando Cavendish vinse una tappa al secondario ma non proprio irrilevante Giro di Turchia. E poi un’altra, e poi un’altra ancora: tre vittorie in tre giorni, seguite da una quarta pochi giorni dopo. Si iniziò quindi a parlare di un suo ritorno al Tour de France, dopo due anni di assenza. Ma era piuttosto improbabile, perché una squadra come la Deceuninck-Quick-Step ha tanti corridori tra cui scegliere, e al Tour de France può portare solo quelli che ritiene i migliori otto. E, risultati alla mano, il principale candidato velocista della Deceuninck-Quick-Step era senza dubbio Bennet.

Solo che, poco prima del Tour, si è saputo che, per le conseguenze di un infortunio al ginocchio, Bennet non avrebbe partecipato. E quindi è stato chiamato Cavendish. Ma non erano in molti a credere che potesse addirittura tornare a vincere, così da aumentare le sue 30 vittorie di tappa al Tour.

«Don’t say the name»
Invece al Tour Cavendish ha vinto una tappa, e poi un’altra, e poi un’altra ancora. E ancora un’altra oggi, venerdì 9 luglio. È ora a 34 vittorie complessive al Tour, tante quante Merckx: con ancora almeno due tappe che potrebbero concludersi in volata, e che quindi può plausibilmente vincere. Una sarà venerdì 16 luglio, un’altra ancora domenica 20: a Parigi, sugli Champs Elysées.

Non è per nulla certo che Cavendish ci possa riuscire, ma è qualcosa che in pochi mesi è passato dal pressoché impossibile all’alquanto improbabile e, ora, al certamente possibile. E già così, quello di Cavendish è stato, come ha scritto il Guardian, «uno dei più grandi ritorni della storia del ciclismo». Ormai, però, quello a cui molti guardano è il record di Eddy Merckx, un nome e un cognome che Cavendish nemmeno vuole sentire. «Non dire quel nome», ha detto l’altro giorno a un intervistatore.

Rispondendo ai giornalisti che lo avevano dato per finito, Cavendish ha detto: «Mezza sala stampa non ha scritto un buon articolo per un tempo molto maggiore di quello in cui io non ho vinto una gara, ma li vedo ancora qui al Tour». Di recente ci ha anche tenuto a far presente che il suo possibile record merita sì di essere raccontato, ma che meriterebbe altrettanta attenzione il record della ciclista Marianne Vos, che ha da poco vinto la sua trentesima tappa al Giro d’Italia femminile, e che lui ha definito «una fonte di ispirazione, su tanti livelli, da tanti anni».

Di Eddy Merckx si diceva che, anche se era il migliore al mondo, se c’era un traguardo parziale e ininfluente, a cui era associato per esempio un salame come premio, «lui faceva la volata per vincere il salame». Anche se Cavendish dovesse riuscire in quello che fino a pochi mesi fa sembrava impensabile, battendolo nelle vittorie al Tour, continuerebbe comunque ad avere tutta una lunga e incredibile serie di record e primati parecchio difficili anche solo da avvicinare.