Il presidente di Haiti è stato ucciso da colombiani e statunitensi, dice Haiti
La polizia ha arrestato 17 stranieri accusati di avere partecipato all'omicidio di Jovenel Moïse, e ne sta ricercando ancora 8
Giovedì la polizia di Haiti ha detto di aver arrestato almeno 17 persone sospettate di essere coinvolte nell’assassinio del presidente haitiano Jovenel Moïse, di cui 15 cittadini colombiani e due statunitensi. L’ipotesi che il gruppo che ha organizzato e compiuto l’attacco fosse formato da stranieri stava circolando dal giorno precedente, quando alcuni testimoni avevano detto di avere sentito gli assalitori parlare spagnolo e inglese (le lingue ufficiali di Haiti sono il creolo e il francese).
Il capo della polizia, Leon Charles, ha detto che otto colombiani sono ancora in fuga; altre quattro persone sospettate di essere coinvolte nell’assassinio erano state uccise giovedì dalla polizia.
Le autorità haitiane hanno identificato i due statunitensi come Joseph Vincent e James Solages, entrambi di origine haitiana, naturalizzati americani e residenti in Florida. Rispetto ai colombiani, il ministero della Difesa della Colombia, Diego Molano, ha detto che il suo governo sta collaborando con l’indagine ufficiale avviata dall’Interpol, e ha aggiunto che secondo le prime ricostruzioni almeno sei di loro sarebbero ex membri dell’esercito colombiano.
Secondo la ricostruzione delle autorità haitiane, attorno all’una del mattino tra martedì e mercoledì un gruppo di uomini armati ha attaccato la residenza privata di Moïse a Pétionville, un quartiere di lusso nel sud della capitale Port-au-Prince. Nell’attacco è stata ferita anche la moglie del presidente, Martine – poi trasportata in ospedale in Florida, in condizioni gravi ma stabili –, mentre non sono stati coinvolti i loro tre figli. L’ex primo ministro haitiano Laurent Lamothe, intervistato da CNN, ha detto che Moïse è stato ucciso con 16 colpi di arma da fuoco.
In un comunicato diffuso mercoledì, il primo ministro ad interim di Haiti, Claude Joseph, ha detto che alcuni degli aggressori parlavano spagnolo, mentre sul Miami Herald e sui social network è stato pubblicato un video in cui si sentiva un uomo con un accento americano dire con un megafono: «Operazione DEA. Tutti a terra. Operazione DEA. Tutti fermi, a terra». L’ambasciatore haitiano negli Stati Uniti, Bocchit Edmond, ha detto al Guardian che secondo lui si era trattato «dell’attacco ben organizzato di un commando» di «mercenari stranieri».
Moïse è stato assassinato in un periodo di grandi crescenti violenze e scontri a Port-au-Prince, durante i quali erano state uccise diverse persone. Haiti è il paese più povero delle Americhe e uno dei più poveri al mondo, e vive da anni in uno stato di costante emergenza umanitaria, aggravato ulteriormente dalla pandemia da coronavirus.
Dopo l’uccisione di Moïse, il primo ministro ad interim Joseph ha detto di aver preso il comando della polizia e dell’esercito e ha introdotto lo stato di emergenza (“état de siège”) per due settimane, un regime che tra le altre cose prevede il divieto di organizzare eventi e garantisce poteri estesi alla polizia. Il potere di Joseph però è stato messo in discussione sia da diversi costituzionalisti che da un suo avversario politico, che lo sta contestando.
Due giorni prima di essere ucciso, infatti, Moïse aveva nominato un nuovo primo ministro, Ariel Henry, che avrebbe dovuto assumere l’incarico proprio questa settimana. Henry, che doveva ancora prestare giuramento e stava scegliendo i membri del suo governo, ha detto al giornale locale Le Nouvelliste di «non voler gettare benzina sul fuoco», ma che adesso è lui «il primo ministro scelto dal presidente». Henry ha detto di aver apprezzato il lavoro che Joseph ha fatto fino a ora, e che lo terrebbe nella sua squadra di governo, ma ha aggiunto che secondo lui «non è più il primo ministro», sottolineando tra le altre cose di non pensare che ad Haiti ci sia bisogno dello stato di emergenza.
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