Perché l’OPEC litiga sul prezzo del petrolio
Un dissidio tra Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti ha interrotto le trattative per aumentare la produzione, e le conseguenze potrebbero farsi sentire presto in tutto il mondo
di Leonardo Siligato
Lunedì l’Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio (OPEC) ha interrotto senza un accordo la riunione indetta a Vienna con l’obiettivo di concordare un aumento della produzione di greggio per soddisfare la domanda crescente dovuta alla ripresa economica mondiale, che ne ha fatto quasi raddoppiare i prezzi da inizio anno.
La riunione includeva dieci paesi produttori esterni al cartello (che è composto di 13 stati membri), il quale in questo caso prende il nome di OPEC+ e comprende la Russia, secondo produttore al mondo dopo gli Stati Uniti, oltre che numerosi paesi produttori come Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Nigeria, tra gli altri. L’interruzione delle trattative ha fatto salire improvvisamente i prezzi del petrolio, portando quello del greggio texano (il West Texas Intermediate, comunemente chiamato WTI) da 75,12 a 76,69 dollari al barile, mentre quello del Brent, il petrolio del Mare del Nord, è passato da 76,05 a 77,47 dollari al barile.
L’organizzazione potrebbe riaprire le trattative in qualsiasi momento ma non è stata concordata una data per la prossima riunione, il che ha lasciato gli investitori nell’incertezza. Dalla capacità dell’OPEC+ di raggiungere un accordo per aumentare la produzione dipende non solo la stabilità dell’organizzazione, scossa ad aprile dell’anno scorso da una guerra di prezzi che ha portato assieme ad altri fattori il petrolio WTI a essere scambiato a prezzi negativi per la prima volta nella storia, ma anche la continuazione della ripresa dell’economia globale (che ha bisogno di energia), nonché l’andamento dell’inflazione (cioè l’aumento dei prezzi di beni e servizi) nei paesi importatori, perché se sale il prezzo del petrolio sale il costo dell’energia, dei trasporti e quindi dei beni e servizi finali.
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Come previsto dall’OPEC stessa nel suo ultimo rapporto, nella seconda metà del 2021 la domanda mondiale di petrolio aumenterà di 5 milioni di barili al giorno rispetto alla prima metà dell’anno, in cui era già aumentata della stessa quantità, e questo aveva spinto il cartello a concordare ad aprile di quest’anno un aumento di 2 milioni di barili al giorno da maggio a luglio.
Data la forte crescita della domanda in previsione, se l’organizzazione non arriva a un accordo in tempi brevi, i prezzi continueranno a salire. La riunione interrotta lunedì aveva quindi l’obiettivo di aumentare ulteriormente la produzione totale di 400 mila barili al giorno ogni mese a partire da agosto, nonché di posticipare la scadenza dell’accordo precedentemente raggiunto spostandola da aprile 2022 a dicembre 2022.
Secondo Bloomberg, l’impossibilità di arrivare a stabilire nuovi livelli di produzione sarebbe derivata da un disaccordo tra l’Arabia Saudita (primo produttore dell’OPEC e terzo produttore al mondo con 8,5 milioni di barili al giorno) e gli Emirati Arabi Uniti, che producono meno di un terzo del greggio rispetto ai sauditi.
Inizialmente, sempre secondo Bloomberg, gli Emirati non erano d’accordo con la decisione di prolungare il patto oltre aprile 2022, condizione ritenuta invece necessaria dall’Arabia Saudita e dagli altri membri per assicurare una maggior stabilità dei prezzi nei prossimi mesi. Gli Emirati non vogliono estendere il patto perché non sono d’accordo con le quote di produzione assegnate al momento. Queste quote sono state stabilite in base alla capacità produttiva del paese nel 2018, la quale però nel frattempo è aumentata da circa 3,2 a quasi 4 milioni di barili al giorno e si stima che aumenterà nei prossimi 10 anni. Insomma: gli Emirati vogliono poter produrre di più, ma l’Arabia Saudita e la Russia si sono opposte per timore che altri membri chiedano lo stesso trattamento, il che aumenterebbe la produzione sopra gli obiettivi del cartello.
Da questa divergenza di opinioni è scaturito un dissidio sempre maggiore (e a quanto hanno scritto i media sempre più personale tra i ministri del Petrolio dei due paesi), reso pubblico dai ministri attraverso interviste televisive separate e che ha coinvolto questioni di politica estera ed economica che esulavano da quella sul petrolio, rendendo evidente che lo scontro ha cause precedenti.
Da qualche anno, l’Arabia Saudita sta facendo pressione sulle multinazionali estere perché spostino le proprie sedi in Medio Oriente da Dubai, che è il centro degli affari della regione e si trova negli Emirati, alla sua capitale Riad. In generale, la rivalità economica tra i due paesi è sempre più forte da alcuni anni. Questo ha creato inevitabilmente una tensione che ora si è inasprita a causa delle divergenze sulla produzione di petrolio e rischia da un lato di posporre le trattative, facendo salire il prezzo del petrolio con le conseguenze che abbiamo visto, dall’altro di innescare una nuova guerra di prezzi, che invece potrebbe portare il prezzo del greggio a scendere molto rapidamente e diventare molto volatile finché un accordo non sia raggiunto.