Che ci fa un pappagallo australiano in un dipinto di Mantegna?
Ci sono molti esempi di uccelli esotici raffigurati nell'arte europea, ma quello della “Madonna della Vittoria” ha una storia particolare
La storica britannica Heather Dalton stava sfogliando un libro sul pittore rinascimentale Andrea Mantegna quando in una riproduzione della Madonna della Vittoria notò qualcosa che la incuriosì. Nella parte superiore del dipinto, appollaiato sulla pergola riccamente decorata con piante e frutti, vide un pappagallo biancastro con un ciuffo sulla testa. Dalton riconobbe l’uccello, che è molto diffuso nel Pacifico del Sud e in Australia, dove si trovava per fare un dottorato all’Università di Melbourne. Per questo motivo si chiese: che ci fa un pappagallo australiano in un dipinto rinascimentale, quasi trecento anni prima che gli europei arrivassero in Australia?
«Se non fossi stata in Australia, non avrei mai pensato che quello era un cavolo di cacatua ciuffo arancio!» ha raccontato Dalton al New Yorker. Dopo essersi fatta quella domanda, iniziò un periodo di ricerca durato dieci anni e concluso con la pubblicazione di uno studio nel 2014 sulla rivista Renaissance Studies, in cui Dalton scrisse che quel cacatua proveniva probabilmente dalla parte sudorientale dell’arcipelago indonesiano, e la sua presenza suggerisce un sistema di interscambi commerciali tra Europa e Oceania ben più ampio, sofisticato e soprattutto antico di quanto eravamo abituati a pensare.
Il dipinto di Mantegna non è l’unico caso in cui l’arte figurativa europea si è concentrata sui pappagalli. In generale, ha scritto il New Yorker, sono animali che affascinano l’uomo da millenni, per l’aspetto e per le loro capacità mimiche, e per questo motivo compaiono in mosaici e affreschi fin dall’epoca romana (ne sono stati trovati tra le rovine di Pompei ed Ercolano).
Tuttavia l’arte europea non si interessò ai pappagalli solo per via del loro fascino esotico – non sono uccelli nativi del continente – ma anche per motivi simbolici e religiosi. Nel periodo tardo medievale e rinascimentale, infatti, il pappagallo assunse un significato che rimandava alla Vergine Maria, per via della sua capacità di parlare, ritenuta incredibile e prodigiosa quanto il fatto che Maria fosse rimasta incinta rimanendo vergine. Esempi di questo parallelismo riportato nell’arte figurativa si trovano in alcuni disegni di Albrecht Dürer e nel dipinto di Hans Baldung Grien intitolato Madonna con il bambino e i pappagalli, entrambi del Cinquecento.
Un altro esempio è un dipinto sempre cinquecentesco ma questa volta di scuola italiana, attribuito a Francesco Salviati, che ritrae la Madonna con il bambino e gli angeli con in mano un pappagallo dai colori sgargianti. Giorgio Vasari, il famoso storico dell’arte vissuto nel Cinquecento, descrisse così l’opera:
Fece un altro quadro di nostra Donna con Cristo e S. Giovanni fanciulletto, che ridono di un pappagallo che hanno tra mano: il quale fu opera capricciosa e molto vaga.
La particolarità del cacatua ritratto da Mantegna, però, è la sua provenienza geografica molto circoscritta. Dalton nelle sue ricerche aveva tentato di scoprire se altri studiosi si fossero posti la sua stessa domanda, cioè che ci facesse un cacatua in quel dipinto. Trovò che alcuni erano stati attirati dalla stranezza dell’uccello, ma nessuno aveva approfondito le implicazioni della sua presenza: perché Mantegna aveva scelto proprio quella specie? Dove l’aveva vista? Aveva un significato speciale per il committente, il marchese di Mantova Francesco II Gonzaga?
La Madonna della Vittoria fu dipinta nel 1496 ed è una pala d’altare piuttosto grande, alta quasi tre metri. Fino alla fine del Settecento si trovava a Mantova, poi ci furono le campagne d’Italia dell’esercito francese e la pala di Mantegna fu tra le opere saccheggiate e portate in Francia dall’allora generale Napoleone Bonaparte. Oggi è esposta al Louvre.
A Dalton il cacatua ricordò altri studi che aveva fatto sulla storia del commercio, in particolare sui traffici di cetrioli di mare, un animale che era considerato una prelibatezza dai cinesi e per questo al centro di un grande e poco documentato traffico commerciale. Il cacatua poteva avere una storia simile, tanto più che i Gonzaga erano eccezionalmente ricchi e potevano permettersi di far arrivare qualcosa dall’altro capo del mondo. Inoltre, osservò Dalton, il modo in cui il cacatua era ritratto nel dipinto di Mantegna suggerisce che quella dell’artista non sia la rappresentazione di una rappresentazione, ma un ritratto dal vivo: l’uccello è di fronte all’osservatore e lo guarda con piglio curioso, mentre le altre raffigurazioni del passato lo ritraggono di profilo, con la cresta ben alzata.
L’unico indizio in tal senso che Dalton riuscì a trovare, però, fu un inventario in possesso del figlio di Mantegna, in cui risultava una grossa gabbia di rame per uccelli. Prove concrete di un cacatua acquistato dai Gonzaga o da Mantegna non ne trovò, e quindi Dalton si fece l’idea che l’uccello fosse arrivato nei pressi di Mantova da oriente, passando per Venezia, che all’epoca era frequentata da moltissimi commercianti che si spingevano spesso fino all’isola di Giava e alle Molucche, in Indonesia.
Qualche tempo dopo aver pubblicato il suo studio, Dalton ricevette un’email da Pekka Niemelä, uno zoologo finlandese, e scoprì che il presunto cacatua di Mantova non era il primo esemplare della storia a essere arrivato in Italia.
Niemelä e alcuni suoi colleghi, negli anni Ottanta, erano riusciti a ottenere l’accesso a un manoscritto raro della Biblioteca Vaticana. Il manoscritto era una copia dell’opera di Federico II intitolata De arte venandi cum avibus (“L’arte di cacciare con gli uccelli”), una copia però molto vicina all’originale, fatta dal figlio di Federico II, Manfredi, e risalente alla metà del Duecento. Tra le molti riproduzioni di uccelli, soprattutto falchi, nel De arte venandi cum avibus Niemelä aveva notato con grande stupore proprio un cacatua con le piume bianche. Dopo lunghi approfondimenti sulle immagini, gli studiosi finlandesi avevano concluso che era una specie originaria della Nuova Guinea.
Quando più di vent’anni dopo venne pubblicato lo studio di Dalton, Niemelä la contattò per dirle che due secoli prima del dipinto di Mantegna già c’era, con ogni probabilità, un cacatua in Italia. I due decisero di collaborare per saperne di più sulle origini del cacatua di Federico II, e iniziarono a lavorare a una ricerca poi pubblicata tre anni fa nella rivista di Storia medievale Parergon. L’ipotesi di Dalton e Niemelä, basata sulle iscrizioni del manoscritto a corredo delle immagini, è che il pappagallo sia arrivato in Italia dal Pacifico del Sud passando prima per la Cina e poi per il Cairo, che all’epoca era un crocevia di fiorenti rotte commerciali da tutto il mondo. Probabilmente era appartenuto al sultano al Malik al Kamil, che governò l’Egitto e la Siria nel Tredicesimo secolo.
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