L’Irlanda del Nord potrebbe esistere ancora per poco
Diversi cambiamenti, tra cui Brexit, la stanno spingendo verso la riunificazione con l'Irlanda, scrive Susan McKay sul New York Times
Da un paio di mesi l’Irlanda del Nord ha festeggiato un secolo di appartenenza al Regno Unito, situazione sancita nel 1921 con un atto unilaterale del governo britannico. Alcuni osservatori, tra cui la giornalista nordirlandese Susan McKay, credono però che l’Irlanda del Nord come la conosciamo oggi potrebbe durare ancora poco, meno di 100 anni: l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, anche per via delle condizioni decise dal governo britannico, ha innescato un processo che potrebbe portare all’unificazione dell’Irlanda del Nord con l’Irlanda, che invece è uno stato indipendente e fa parte dell’Unione Europea.
Durante i negoziati di Brexit, per evitare la costruzione di una barriera fisica al confine con l’Irlanda, che avrebbe provocato quasi sicuramente una situazione di grande tensione, il governo britannico aveva accettato di lasciare l’Irlanda del Nord dentro all’unione doganale e al mercato unico europeo. In sostanza, dall’inizio del 2021 tutti i beni che arrivano in Irlanda del Nord dalla Gran Bretagna – nel 2018 sono stati il 60 per cento delle importazioni nordirlandesi – subiscono controlli e rallentamenti. Il risultato è stato che i legami commerciali con il resto del Regno Unito si sono indeboliti.
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Non è solo una questione di scambi commerciali. Nel 1921 l’Irlanda del Nord fu creata come entità distinta dall’Irlanda del Sud, cioè il futuro stato di Irlanda, perché i suoi abitanti condividevano maggiori affinità sociali e culturali con la Gran Bretagna. Ad unirli era soprattutto la religione protestante, mentre l’Irlanda è da secoli abitata soprattutto dai cattolici.
Col passare del tempo e la progressiva secolarizzazione dei nordirlandesi, soprattutto dei più giovani, sempre più persone hanno riscoperto la propria identità irlandese in opposizione a quella britannica: anche perché nel frattempo sempre più britannici hanno cominciato a considerare l’Irlanda del Nord come una regione problematica, bisognosa di investimenti e risorse – essendo la più povera del Regno Unito – e in definitiva più un problema che altro. «E quando il governo dei Conservatori ha firmato un protocollo su Brexit che certificava nuovi controlli fra l’Irlanda del Nord e il resto del paese», scrive McKay, «ha certificato come la regione sia di fatto un luogo a parte rispetto alle altre».
Gli accordi su Brexit sono stati criticati in maniera così trasversale dai nordirlandesi che il principale partito nazionalista e unionista – il DUP, alleato dei Conservatori al Parlamento britannico – è stato costretto a cambiare sia il proprio leader sia il primo ministro della regione, per dimostrare che aveva recepito le critiche.
Cambiare il testo degli accordi di Brexit però sembra praticamente impossibile: per trovare un accordo ci sono voluti anni di negoziati, e inoltre bisognerebbe convincere l’Unione Europea a riprendere le trattative. In generale, inoltre, le persone che vivono in Gran Bretagna sembrano essere soddisfatte dell’accordo su Brexit, così come dell’operato del governo Conservatore: il dibattito sull’Irlanda del Nord, e sulla sua particolarissima situazione post-Brexit, non ha modificato gli equilibri né ha costretto il governo a fare passi indietro, e difficilmente le cose cambieranno in futuro. Sembra quindi che la sempre maggiore distanza tra Irlanda del Nord e resto del Regno Unito sia stata in qualche maniera “accettata”.
In Irlanda del Nord la situazione è molto diversa. Secondo i sondaggi, il DUP è dato intorno al 16 per cento mentre il Sinn Féin, partito di sinistra e schierato storicamente a favore della riunificazione con l’Irlanda, è stimato al 25 per cento. «Le prossime elezioni parlamentari si terranno fra meno di un anno», scrive McKay, «e se il Sinn Fein riuscisse ad esprimere il primo ministro nordirlandese per la prima volta nella storia, sarebbe uno sviluppo incredibilmente simbolico».
Per il DUP e più in generale per gli unionisti protestanti le cose sembrano ormai su un piano inclinato. Anche perché, scrive McKay, l’Irlanda del Nord non è più un paese a maggioranza protestante. L’ultimo censimento del 2011 segnalava che la popolazione protestante, storicamente maggioritaria, si era ridotta al 48 per cento del totale, mentre i cattolici rappresentavano il 45 per cento. I giornali irlandesi sono certi che il censimento di quest’anno mostrerà un sorpasso della componente cattolica: qualche tempo fa l’Irish Times faceva notare per esempio che nell’anno scolastico 2019/2020 gli studenti protestanti erano soltanto il 32,3 per cento del totale, mentre i cattolici più della metà (50,6 per cento).
Un referendum sulla riunificazione non sembra comunque imminente. Un sondaggio realizzato lo scorso ottobre ha mostrato per esempio che i nordirlandesi che hanno meno di 45 anni preferiscono l’unificazione con l’Irlanda alla situazione attuale, e con margini anche piuttosto netti: ma nei sondaggi che comprendono tutta la popolazione l’unificazione è sostenuta soltanto da una minoranza, stimata intorno al 30 per cento.
Nei prossimi anni però l’Irlanda del Nord dovrà affrontare diversi passaggi politici che potrebbero alimentare il dibattito. Nel 2024 per esempio i parlamentari nordirlandesi potranno votare a favore o contro alcuni articoli piuttosto innocui dell’accordo commerciale su Brexit: se dovessero respingerli, sintetizza Politico, Unione Europea e Regno Unito dovrebbero rinegoziare gli articoli respinti, e quindi avviare un nuovo dibattito che potrebbe svolgersi in un clima molto diverso rispetto a quello degli scorsi anni. Insomma, conclude McKay, «l’Irlanda del Nord non festeggerà altri cento anni, ma forse non durerà nemmeno un altro decennio».