Dobbiamo prendere sul serio il gas esilarante
Cioè il protossido di azoto, che viene disperso nell'atmosfera a causa dei fertilizzanti ed è un potente gas serra
È ormai generalmente noto che il principale gas responsabile del riscaldamento globale è l’anidride carbonica (CO2), che viene emessa dalla combustione di carbone, derivati del petrolio e gas naturale per produrre energia. Sono invece molto meno conosciuti gli altri gas serra che hanno un impatto sul clima, insieme ai loro effetti e al modo in cui vengono prodotti dalle attività umane. Tra questi c’è ad esempio quello indicato dalla formula chimica N2O, che viene chiamato in vari modi: quello più corretto sarebbe “ossido di diazoto”, che spesso è sostituito “protossido di azoto” o “ossido nitroso”. Uscendo dal contesto delle emissioni ed entrando in quello degli effetti sul corpo umano, è noto invece come “gas esilarante”: è quella sostanza, sfruttata anche come anestetico, che viene usata fin dal Settecento per i suoi effetti psicoattivi.
Il protossido di azoto che ha un effetto significativo sul clima non è però quello usato per divertirsi o per anestetizzare bensì quello prodotto nelle attività agricole. Esistono varie stime su quanto i diversi settori delle attività umane contribuiscano, in percentuale, alle emissioni globali di gas serra e possono cambiare in base ai parametri considerati: detto questo, secondo il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite (IPCC), si deve all’agricoltura, all’allevamento e alla deforestazione il 24 per cento delle emissioni. In questo ambito il principale gas serra non è la CO2 bensì il metano emesso ad esempio da rutti e flatulenze dei bovini degli allevamenti, insieme appunto al protossido di azoto, che invece deriva dagli escrementi di tutti gli animali allevati e soprattutto dai fertilizzanti.
L’azoto è una sostanza importantissima per la crescita delle piante e il mondo dell’agricoltura è cambiato quando l’umanità, grazie ai chimici tedeschi Fritz Haber e Carl Bosch, imparò a produrre industrialmente l’ammoniaca, cioè la sostanza da cui le piante lo ricavano. Da allora gli agricoltori hanno molto più fertilizzante a disposizione, cosa che ha permesso di far avere cibo a sempre più persone nel mondo contribuendo in modo determinante alla riduzione delle carestie. Ma ci sono state anche delle conseguenze negative: la prima è che produrre ammoniaca sintetica è un processo che richiede molta energia e dunque causa notevoli emissioni di CO2; la seconda è che difficilmente le piante usano tutto l’azoto che viene fornito loro dai fertilizzanti, e quindi una grande quantità di azoto finisce per riversarsi nei corsi d’acqua o per arrivare nell’atmosfera come protossido di azoto.
I diversi gas serra contribuiscono in maniera diversa al riscaldamento globale sulla base della quantità in cui vengono emessi ma anche a seconda del tempo che rimangono nell’atmosfera. Il metano ad esempio ci resta solo 12 anni, contro i più di 500 dell’anidride carbonica, ma dato che è molto più efficace nel trattenere le radiazioni infrarosse emesse dalla Terra, contribuisce all’effetto serra 25 volte di più della CO2. Il protossido di azoto invece rimane nell’atmosfera per una media di 114 anni prima di essere distrutto da reazioni chimiche o essere assorbito da qualcosa sulla Terra: si stima che a parità di massa il suo contributo all’effetto serra sia 300 volte maggiore di quello dell’anidride carbonica.
Le emissioni annuali di questi due gas, spiega Bill Gates nel suo libro Clima. Come evitare un disastro, «equivalgono a oltre sette miliardi di tonnellate di anidride carbonica, ossia a più dell’ottanta per cento di tutti i gas serra dovuti al settore dell’agricoltura, della silvicoltura e dell’utilizzo della terra».
Il solo protossido di azoto, che peraltro causa anche una riduzione dello strato di ozono che protegge la Terra, è coinvolto nel 6 per cento delle emissioni di gas serra, secondo le stime dell’IPCC. Secondo una stima pubblicata nel 2020 sulla rivista Nature, negli ultimi quarant’anni le emissioni di protossido di azoto sono aumentate del 30 per cento, dunque cercare di ridurle sarebbe un buon modo – insieme a tanti altri – per contrastare il cambiamento climatico.
Tre quarti delle emissioni di protossido di azoto sono dovuti alle attività agricole, quindi ridurle significherebbe soprattutto cambiare il modo in cui si concimano i campi ed è su questo che molti agronomi stanno facendo ricerca.
Alcune delle possibili soluzioni attualmente studiate sono state spiegate da un articolo pubblicato sulla rivista Knowable e diffuso anche da BBC. Una prima categoria di possibili strategie consiste nel cercare di distribuire il fertilizzante in modo più efficace, solo quando le piante ne hanno bisogno: per ottenere quest’effetto si potrebbero ad esempio usare dei sensori inseriti nel suolo che diano indicazioni agli agricoltori sul momento giusto in cui dare il fertilizzante alle piante. Oppure si potrebbero spargere sostanze in grado di trattenere più a lungo l’azoto nel suolo, riducendo la diffusione di protossido di azoto nell’atmosfera. Secondo una stima del 2018 dell’International Institute for Applied Systems Analysis, un istituto di ricerca con sede in Austria, queste due soluzioni potrebbero ridurre le emissioni di N2O del 26 per cento entro il 2030.
Una soluzione alternativa potrebbe essere sfruttare alcuni dei microrganismi che vivono nel suolo, e che prima dell’uso dei fertilizzanti erano l’unica fonte di azoto per le piante, in modo che gliene facciano arrivare di più e senza dover usare fertilizzanti sintetici. Già dal 2019 l’azienda americana Pivot Bio commercializza un prodotto per le coltivazioni di mais – il Pivot Bio Proven – che si basa proprio su questo principio: contiene una specie di batteri, la Kosakonia sacchari, che è stata modificata geneticamente per produrre più azoto che le piante possono assorbire. Deve però ancora essere provato che questo prodotto contribuisca davvero a ridurre la necessità di usare il fertilizzante e dunque le emissioni di N2O.
Una soluzione alternativa che riguarda sempre i microrganismi che vivono nel suolo, ma non prevede di aggiungerne di nuovi, consiste nel fare sì che quelli che si trovano normalmente nel terreno dei campi prosperino maggiormente. Il primo passo per favorirli è ridurre l’uso di pesticidi, poi serve regolare meglio la distribuzione di fertilizzante e acqua e le arature, perché la quantità di carbonio, ossigeno e azoto nel suolo – che è influenzata da queste pratiche – ha degli effetti sulle emissioni di protossido di azoto. In particolare ridurre le arature permette anche di trattenere nel terreno una quantità maggiore di carbonio che normalmente si disperde nell’atmosfera come anidride carbonica.