Fare shopping online è diventato un gioco?

Sempre più e-commerce usano strategie simili a quelle dei videogiochi per attrarre acquisti, far tornare gli utenti e in alcuni casi creare dipendenza

Uno screenshot del sito di AliExpress
Uno screenshot del sito di AliExpress
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La app dell’e-commerce cinese di abbigliamento Shein è una delle più scaricate della categoria shopping in centinaia di paesi, tra cui l’Italia, e a maggio ha superato la app di Amazon per numero di download negli Stati Uniti. Questo successo ha portato molti esperti a interrogarsi sulla strategia di Shein e sul motivo per cui è così usato da una parte di utenti che la maggior parte degli e-commerce fatica a raggiungere, quella degli adolescenti e dei ventenni (la cosiddetta generazione Z).

Su The Business of Fashion, la giornalista esperta di moda e tecnologie Chavie Lieber ha fatto notare come Shein riesca a creare una sorta di dipendenza negli utenti riproducendo alcune delle dinamiche tipiche dei videogiochi e del gioco d’azzardo. Già da diversi anni in ambito digitale si parla di questo approccio col termine gamification, cioè la pratica di trasformare in giochi attività che originariamente non prevedono quest’aspetto, ma solo recentemente ha cominciato a prendere piede anche nell’e-commerce. Shein non è l’unico negozio online a sfruttare queste dinamiche con successo.

Su Shein gli utenti guadagnano punti quando fanno un acquisto, ma anche ogni volta che entrano nel sito, che pubblicano recensioni e che partecipano alle sfide proposte dalla piattaforma. Cento punti valgono un euro di sconto e in una giornata si può arrivare a guadagnare fino a duemila punti. Lieber ha intervistato Marina Koss, una studentessa tedesca che fa la scuola superiore e che ammette di essere diventata dipendente da Shein: «Più volte entro nel mio account e più punti guadagno: è molto divertente per un’appassionata di shopping come me. Non c’è niente di difficile, devi solo investirci del tempo. Alla fine diventa quasi come una dipendenza».

La competizione tra aziende che operano online è sempre più sfrenata, ed è sempre più difficile emergere usando le tecniche tradizionali, come le mail promozionali o gli spazi pubblicitari sui social e su Google. Tra iOS e Android le app in circolazione sono oltre cinque milioni. «L’attenzione è come una valuta, per questo i brand stanno cercando di trovare nuovi modi per conquistare tempo e attenzione», ha spiegato la psicologa Dawnn Karen: «La soglia di attenzione della generazione Z in particolare è molto bassa, quindi devi offrire una sorta di sistema di ricompense per trattenerla».

Il negozio di abbigliamento statunitense PacSun fa guadagnare punti ai propri utenti ogni volta che questi aprono le mail promozionali. Altri e-commerce americani, come quello del marchio di cosmetici Blume e quello di abbigliamento sportivo Girlfriend Collective, offrono punti a tutti gli utenti che cominciano a seguire i loro social network. A chi raggiunge un certo numero di punti, Blume regala tazze e cappellini brandizzati.

Secondo quello che ha scritto l’esperto di app Elad Natanson su Forbes, uno dei casi più riusciti di gamification nell’e-commerce è quello di AliEspress, il sito dell’azienda cinese Alibaba per il mercato internazionale. Natanson sostiene che è proprio grazie alle monete digitali, ai coupon e ai concorsi a premi se AliExpress è diventato uno dei negozi online più diffusi al mondo. Un altro caso è quello di eBay, che secondo Natanson sfrutta alcuni elementi della gamification, anche se in modo meno esplicito: per esempio permettendo a venditori e utenti di recensirsi a vicenda e stimolando la competizione tra gli utenti con le aste.

Secondo il direttore marketing Ranu Coleman, intervistato su The Business of Fashion, grazie alla gamification si crea un coinvolgimento dell’utente che poi si trasforma in un graduale aumento dei soldi spesi sull’e-commerce: «Più tornano e cercano di guadagnare, più spendono». Quando il coinvolgimento e l’attenzione degli utenti non si trasformano direttamente in acquisti, gli e-commerce guadagnano sui dati: ogni volta che un utente entra sulla piattaforma, infatti, il suo comportamento diventa “osservabile” e quindi offre informazioni. Per esempio Shein ha fatto sapere che studia il comportamento dei suoi utenti per intercettare le tendenze e orientare e ottimizzare la produzione e la vendita.

Inoltre la gamification dà all’utente la percezione che si crei un rapporto quasi personale e “unico” con l’e-commerce. Kristen LaFrance, dirigente di Shopify, sostiene che quando vengono agganciati in questo modo gli utenti diventano fedeli a quel determinato negozio online. LaFrance definisce la gamification basata sulle ricompense «un attacco informatico al cervello».

Non è un fenomeno che nasce con l’e-commerce. È già da anni che gli sviluppatori includono elementi di gioco nelle app, per esempio quelle per imparare le lingue come Duolingo o quelle per seguire programmi di allenamento come Fitbit. Le dinamiche dei giochi infatti fanno leva su alcuni istinti innati negli esseri umani, come la curiosità e la competizione, che funzionano a prescindere dal contesto. Nell’e-commerce questo approccio si è affermato relativamente di recente e secondo Elad Natanson non è ancora arrivato al suo apice. In futuro, con la diffusione della tecnologia 5G e della realtà aumentata, è probabile che arriveranno grosse novità in questo campo: per esempio, gli e-commerce potranno portare i clienti nei negozi creando cacce al tesoro digitali come quelle della app di gioco Pokémon Go, dove le persone possono cercare mostriciattoli virtuali inquadrando con lo smartphone le strade delle città.

Per gli utenti, soprattutto per quelli più giovani, il rischio è di sviluppare una dipendenza simile a quella per il gioco di azzardo: si prova eccitazione perché si ha la percezione di risparmiare e fare affari, ma in realtà si spendono più soldi di quanti si era previsto.

Per le aziende, il rischio a lungo andare è all’incirca lo stesso: che, a furia di offrire ricompense sempre più allettanti per competere tra di loro, finiscano col perdere soldi anziché guadagnarli. Secondo Holden Bale, presidente di un’agenzia di digital marketing americana, «la gamification non è una soluzione, ma una strategia. Puoi usarla come strumento per ottimizzare il valore dei consumatori, ma deve esserci di più oltre alla strategia. Il marchio deve essere stabile abbastanza da far rimanere i clienti anche senza ricompense». Secondo la psicologa Dawnn Karen «non è esattamente come il gioco d’azzardo, ma la scarica di dopamina data dalla conquista delle ricompense o dal passaggio al livello successivo potrebbe essere alla fine più eccitante dell’acquisto in sé».