In Myanmar c’è il rischio di una guerra civile
A cinque mesi dal colpo di stato militare, l'opposizione pacifica al regime si è trasformata in resistenza armata
A quasi cinque mesi dal colpo di stato che il 1° febbraio di quest’anno rovesciò il governo guidato da Aung San Suu Kyi, leader di fatto del Myanmar, nel paese sono in corso gravi conflitti tra l’esercito e la resistenza fedele al vecchio governo, che secondo molti analisti potrebbero provocare una guerra civile.
Questa settimana a Mandalay, la seconda città del paese per popolazione, si sono tenuti i primi scontri armati in un grande centro cittadino tra l’esercito, noto come Tatmadaw, e la Forza di difesa del popolo, una milizia contraria alla dittatura militare, che si è formata in questi mesi per contrastare l’esercito e favorire la restaurazione del governo legittimo. Nelle campagne e nelle aree più remote del paese, tuttavia, i combattimenti sono già in corso da settimane e hanno provocato centinaia di vittime.
A Mandalay gli scontri si sono verificati martedì mattina, dopo che l’esercito aveva perquisito un edificio dove si erano nascosti alcuni miliziani e dove, a detta dell’esercito, sono stati ritrovati degli esplosivi. A quel punto è cominciata una sparatoria molto intensa, in cui è stata usata anche l’artiglieria, e che è continuata, in maniera più sporadica, per tutta la giornata in varie parti della città. Il numero di morti e feriti non è chiaro: diverse testimonianze hanno parlato di numerosi morti, ma entrambe le parti hanno dichiarato di non aver subìto perdite, e di averne inflitte di ingenti agli avversari.
Dopo l’inizio degli scontri, l’esercito ha inviato numerosi soldati in città, presi dalle basi dei territori circostanti, e ha di fatto militarizzato Mandalay. Sui social network, ha scritto il New York Times, la Forza di difesa del popolo ha chiesto «l’aiuto della popolazione» per creare blocchi nelle strade e rallentare l’ingresso dei veicoli corazzati di Tatmadaw. L’ambasciata statunitense in Myanmar ha reso pubblico un comunicato in cui si è detta «preoccupata per l’escalation militare» e ha chiesto la «fine delle violenze».
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La trasformazione di parte delle proteste antiregime in resistenza armata è un fenomeno recente, che preoccupa gli analisti. Dopo il colpo di stato militare, per mesi migliaia di persone hanno protestato pacificamente nelle strade di Yangon (l’ex capitale) e delle altre città birmane chiedendo la restaurazione del governo legittimo. L’esercito ha risposto in maniera brutale, sparando sui manifestanti per strada e arrestando moltissime persone collegate all’opposizione: a inizio maggio, secondo le stime dell’organizzazione non profit di opposizione Assistance Association for Political Prisoners, l’esercito aveva ucciso circa 750 civili nel corso delle proteste e delle attività di repressione del dissenso.
Davanti alla violenza, molti cittadini hanno cominciato a unirsi in gruppi sempre più organizzati, che man mano sono diventati nuclei di resistenza armata: attualmente sono decine, il più importante dei quali è la Forza di difesa del popolo, che a maggio è stata riconosciuta ufficialmente come braccio armato del “governo di unità nazionale”, cioè un gruppo di deputati e politici birmani fedeli al vecchio governo che cercano di coordinare l’attività politica contro il regime.
Alcuni di questi gruppi di resistenza armata creati da comuni cittadini sono piuttosto male organizzati e raffazzonati, ma altri hanno ricevuto sostegno, equipaggiamento e addestramento dai numerosi gruppi armati a base etnica o religiosa preesistenti in Myanmar, che da decenni combattono contro l’esercito centrale in vari stati birmani.
Benché in Occidente si parli prevalentemente dello stato del Rakhine, dove è avvenuto il massacro etnico della popolazione dei rohingya, in Myanmar sono numerosi gli stati in cui le minoranze etniche hanno costituito milizie armate ben organizzate per contrastare il governo centrale e combattere per l’autodeterminazione (in molte di queste zone non è permesso nemmeno l’accesso ai turisti, tra le altre cose). Nel corso degli anni queste milizie hanno sviluppato tattiche di guerriglia in grado di infliggere molte perdite a Tatmadaw, e dando origine a guerre intermittenti che in alcuni casi vanno avanti da decenni.
Dopo il colpo di stato militare, gli interessi di queste milizie e quelli dei gruppi armati di opposizione si sono allineati. In diversi stati, come per esempio quelli di Karen, di Shan e di Kachin, le milizie etniche hanno cominciato nuove offensive contro l’esercito, e soprattutto hanno offerto addestramento e sostegno alla Forza di difesa del popolo e ad altri gruppi, al fine di perseguire l’obiettivo comune di porre fine al regime militare. Negli ultimi mesi, ha raccontato per esempio la CNN, le milizie hanno installato campi in aree remote e irraggiungibili in cui hanno fornito a medici, studenti e ad altri civili le basi dell’addestramento militare, oltre che di altre attività come la costruzione di bombe ed esplosivi.
Contestualmente alla radicalizzazione dei movimenti di opposizione, si sono moltiplicati gli episodi di conflitto violento, e perfino gli atti di terrorismo: a Yangon le sparatorie sono diventate relativamente frequenti e i miliziani hanno fatto esplodere diversi edifici legati all’esercito. Tra le altre cose, hanno anche attaccato una festa di matrimonio, uccidendo quattro persone, perché uno dei partecipanti era sospettato di essere un informatore dell’esercito. In diverse parti del paese vengono attaccati e bruciati anche edifici civili, come le scuole.
La risposta dell’esercito alla resistenza armata è stata brutale. Nella città di Mindat, che ha circa 50 mila abitanti e si trova nello stato orientale di Chin, una delle regioni più povere del Myanmar, a fine maggio dopo l’arresto di alcuni attivisti la popolazione locale si era rivoltata, aveva istituito una milizia e scacciato i soldati: per alcuni giorni, gli abitanti della cittadina erano stati in grado di tenere testa all’esercito. La resistenza di Mindat era diventata piuttosto famosa in tutto il paese e anche all’estero, ma quando alla fine l’esercito è riuscito a entrare in città la repressione è stata violenta: un numero imprecisato di civili è stato ucciso, e in migliaia sono stati costretti a fuggire nella foresta, abbandonando le loro case.
Non è chiaro per ora fino a che punto la Forza di difesa del popolo e gli altri gruppi armati di opposizione saranno in grado di contrastare efficacemente l’esercito birmano, che è considerato come uno dei meglio armati della regione. Come ha scritto l’Economist, finora sono state soprattutto le milizie etniche, più che la Forza di difesa del popolo, a infliggere diverse sconfitte all’esercito, che ha subìto perdite stimate di circa 500 uomini dall’inizio del colpo di stato. Nonostante questo, Tatmadaw è ben lontano dall’essere sconfitto, e può contare su circa 350 mila soldati contro gli 80 mila di tutte le milizie messe assieme.
In ogni caso, gli scontri tra Tatmadaw e resistenza armata rischiano di creare una situazione di fortissima instabilità, che potrebbe trasformarsi in una guerra civile. Richard Dorsey, un esperto di Myanmar che lavora per diversi centri studi, come per esempio l’International Crisis Group, ha detto all’emittente americana NPR che il paese è molto vicino a diventare uno «stato fallito».