Il senatore più potente degli Stati Uniti
Si chiama Joe Manchin, è un Democratico conservatore e tutti i piani di Biden per approvare importanti riforme passano da lui
Dall’elezione di Joe Biden a presidente degli Stati Uniti, il Partito Democratico controlla tutti i principali organi politici del paese: presidenza, Camera e Senato. Al Senato però Democratici e Repubblicani controllano 50 seggi a testa. La maggioranza ce l’hanno i Democratici perché in caso di pareggio può votare anche la vicepresidente, cioè Kamala Harris. Ultimamente però i Democratici hanno avuto grandi difficoltà a raccogliere 50 voti, soprattutto per via di una persona: Joe Manchin, uno dei due senatori espressi dal West Virginia.
Manchin ha 73 anni, è in carica dal 2010 ed è considerato il più conservatore fra i senatori Democratici: quindi uno dei più difficili da convincere quando si tratta di riforme piuttosto progressiste come quelle che l’amministrazione Biden e il resto dei Democratici stanno proponendo nelle ultime settimane. I Democratici hanno bisogno dei fatidici 50 voti e ogni riforma importante di fatto passa da lui: per questo in molti lo considerano «il senatore più potente degli Stati Uniti».
In realtà per avere la certezza di approvare una riforma al Senato servono 60 voti, cioè quelli necessari per aggirare le pratiche di ostruzionismo permesse dalle norme interne. Manchin, ovviamente, si oppone anche a una riforma del Senato per smantellare l’ostruzionismo, ma non solo per una questione di potere.
Ormai da anni Manchin insiste sul fatto che le principali riforme vadano concordate fra i membri di entrambi i partiti. «La verità è che né i miei amici Democratici né i miei amici Repubblicani possiedono tutte le risposte», ha scritto in un recente articolo ospitato sul Washington Post: «È sempre stato così: intere generazioni di senatori che ci hanno preceduto hanno chinato il capo e messo da parte il proprio orgoglio per risolvere i complessi problemi che ha affrontato il nostro paese. Noi dobbiamo fare lo stesso: i problemi che affliggono la nostra democrazia non sono insormontabili, se scegliamo di affrontarli insieme».
Per Manchin cercare un compromesso con i propri avversari è naturale: prima di arrivare a Washington aveva lavorato soprattutto nella politica locale del West Virginia, dove tutti conoscono tutti: il New York Times ricorda che da giovane Manchin contribuì a montare il pavimento nella casa di Shelly Moore Capito, che oggi è l’altra senatrice del West Virginia, eletta coi Repubblicani.
Per i Democratici moderati Manchin è un punto di riferimento per la sua esplicita volontà di cercare sempre un compromesso con i Repubblicani. Ma per gran parte del partito, soprattutto dopo il recente spostamento a sinistra dei Democratici e il contemporaneo spostamento a destra dei Repubblicani, Manchin è il relitto di un’epoca che non c’è più, durante la quale le differenze tra partiti erano risibili e un compromesso quasi sempre a portata di mano.
Se 30 o 40 anni fa, cioè più o meno nel periodo in cui entrò in politica, Manchin poteva essere considerato a tutti gli effetti un Democratico nonostante le sue posizioni conservatrici, che condivideva con molti altri, oggi è praticamente l’unico pezzo grosso del partito a essere contrario all’interruzione di gravidanza, a favore del mantenimento degli investimenti nei combustibili fossili, contrario all’equiparazione del matrimonio gay a quello fra eterosessuali e a severe restrizioni sull’acquisto e l’uso di armi da fuoco.
Molte delle sue posizioni si spiegano a partire dallo stato in cui viene sistematicamente eletto ormai da molti anni. Il West Virginia è uno dei più poveri del paese, oltre che uno dei più omogenei dal punto di vista etnico: ci vivono quasi solo bianchi, poco istruiti e spesso in difficoltà economica per via della progressiva chiusura delle molte miniere di carbone presenti sul territorio. Mentre quarant’anni fa i Democratici controllavano tutte le istituzioni statali, oggi lo stato vota in massa per i Repubblicani: in West Virginia alle elezioni del 2020 Trump ha superato Biden di circa 38 punti percentuali.
Nonostante questo spostamento, Manchin è riuscito a conservare il suo posto. A volte i suoi interessi e quelli della maggior parte dei Democratici hanno continuato a coincidere, per esempio sul tema dell’ampliamento della copertura sanitaria pubblica (il West Virginia è anche lo stato continentale che ha in media la peggiore aspettativa di vita), più di frequente però è andata diversamente. A marzo è stato uno dei due senatori Democratici a opporsi a raddoppiare il salario minimo federale, mentre al momento sta bloccando gli sforzi del suo partito per approvare una riforma delle infrastrutture, uno dei punti chiave del programma di Biden, e una riforma del sistema elettorale che contiene diversi elementi che favoriscono la maggioranza etnica dei bianchi e i piccoli stati rurali.
Manchin sta cercando un compromesso su entrambe le riforme: sta lavorando con un intergruppo parlamentare per trovare un accordo bipartisan sulla riforma delle infrastrutture e nei giorni scorsi ha fatto circolare una serie di punti che è disponibile ad includere in una riforma del sistema elettorale, lodati anche dalla nota attivista per i diritti degli afroamericani Stacey Abrams. Al momento però non è chiaro se e quando voterà a favore delle due riforme: i suoi colleghi di partito sono certi che da qui alla fine della sua legislatura succederà quasi sempre.