Storie e lotte dentro l’acronimo LGBTQIA+
Raccontate dalla persona che ne ha scritto la voce per l’Enciclopedia Treccani
Un anno fa, e in occasione della pubblicazione del suo quinquennale e decimo aggiornamento, l’Enciclopedia Treccani ha inserito tra le proprie parole l’acronimo LGBTQIA+. La singola voce è poi diventata un ebook per la nuova collana Echi di Treccani Libri che da oggi, giovedì 24 giugno e fino a fine mese, è possibile scaricare gratuitamente.
Sia la voce dell’Enciclopedia che il libro sono firmati da Lorenzo Bernini, docente di Filosofia politica all’Università di Verona, dove ha fondato il Centro di ricerca PoliTeSse-Politiche e Teorie della Sessualità, che adesso dirige. Entrambi – voce e libro – raccontano un pezzo di cosa sia stato e di cosa sia oggi il movimento internazionale delle cosiddette minoranze sessuali, ricostruendo le tensioni che nell’ultimo secolo e mezzo lo hanno attraversato, e ancora lo attraversano. Ma smontano anche le approssimazioni e le cose non vere che stanno intorno a quella sigla, che racchiude temi di cui si sta parlando parecchio anche in questi giorni, tra il mese del Pride, le ingerenze vaticane sul ddl Zan e le polemiche attorno alla nuova legge ungherese che vieta di affrontare temi legati all’omosessualità in contesti pubblici frequentati dai minori.
La nuova voce aggiunta all’Enciclopedia Treccani dice che l’acronimo LGBTQIA+ «designa tutte le persone che per orientamento sessuale, identità e/o espressione di genere, caratteristiche anatomiche non aderiscono agli standard del binarismo cisessuale e dell’eterosessualità», cioè la netta divisione degli essere umani in maschi e femmine, con corrispondenza dell’identità di genere al sesso biologico e con desiderio verso le persone di sesso opposto al proprio.
La sigla è ormai entrata nel dibattito pubblico, almeno nella forma composta dalle prime quattro lettere, LGBT, e che indica persone lesbiche (L), gay (G), bisessuali (B), e transgender (T). Nel corso del tempo alla sigla base – che nella Treccani compariva tra i neologismi nel 2014, con attestazione di un primo uso nella lingua italiana già nel 2000 – si sono aggiunte altre lettere a indicare altri orientamenti sessuali e altre identità di genere.
La lettera Q (una o due Q) indica le soggettività queer, cioè persone che non si riconoscono nelle tradizionali definizioni usate per gli orientamenti sessuali e per le identità di genere (che vogliono rimettere in discussione anche da un punto di vista politico) o indica le persone gender questioning, che non sono ancora sicure del proprio orientamento sessuale o della propria identità di genere. La I è stata aggiunta per indicare le persone intersessuali, persone con caratteristiche fisiche diverse da quelle tradizionalmente associate a maschi e femmine. La A sta per asessuale, cioè una persona che non prova attrazione sessuale per nessun genere, ma c’è dibattito sul fatto se sia un orientamento sessuale o piuttosto una mancanza di orientamento sessuale. E infine il + segnala come l’elenco possa proseguire con altre espressioni del genere e della sessualità.
A differenza di quanto comunemente si possa pensare, Bernini chiarisce che la comunità LGBTQIA+ è innanzitutto una comunità immaginaria «in cui soggetti differenti che subiscono forme di discriminazione derivanti da uno stesso impianto normativo (patriarcale, binarista, cissessista, eterosessista) si uniscono in nome di obiettivi comuni pur restando divisi su altri obiettivi».
Nel tempo, si spiega nel primo capitolo del libro, gli acronimi LGBTQ, LGBTQI, LGBTQIA, LGBTQIA+ o LGBTQQIA+ sono stati al centro di molte controversie: per le destre conservatrici e per parte della comunità religiosa e della gerarchia ecclesiastica, ad esempio, «LGBT è addirittura il nome di un’ideologia, un sinonimo della fantomatica “teoria gender”», un concetto, peraltro, che non esiste nei termini in cui viene descritto.
Ma le controversie, prosegue Bernini, «sono anche interne a una comunità che è coesa soltanto perché la immaginiamo tale. In Italia, ad esempio, negli ultimi anni e sempre di più in seguito al dibattito sollevato dal ddl Zan, alcune attiviste lesbiche hanno preso posizioni, sul lavoro sessuale, sulla gestazione per altri, sull’identità di genere, che le collocano in netta collisione con altri movimenti e soggettività rappresentati dall’acronimo. Inoltre, non tutti i gruppi intersex concordano sull’opportunità che le persone intersessuali partecipino organicamente a un movimento unitario con le altre minoranze sessuali. C’è poi chi – soprattutto alcuni gay – contesta la presenza di soggettività asessuali e demisessuali in movimenti che rivendicano la libertà sessuale. E poi ci sono i gruppi queer, transfemministi e intersezionali, che contestano che le minoranze sessuali siano portatrici di bisogni specifici a prescindere dalla provenienza geografica, dalle differenze di genere e classe, dall’appartenenza a gruppi razzializzati, da condizioni di abilità-disabilità. E che vengono per questo rifiutati da attivistə legatə a un differente sentimento dell’essere lesbica e gay».
Il secondo capitolo del libro, che è aperto da una prefazione breve come un tweet (un’eco, come si legge dalla copertina) di Porpora Marcasciano, presidente del Movimento Identità Trans, è dedicato alla controversia iniziata nell’Ottocento, e mai conclusa, sull’origine innata o acquisita delle identità minoritarie sessuali.
Il terzo capitolo è dedicato al conflitto, esploso negli anni Settanta, tra rivoluzione e integrazione, e cioè tra le istanze rivoluzionarie, di sovversione dell’intero sistema sociale del movimento degli esordi, e un più recente atteggiamento riformista, liberale e in lotta soprattutto per il riconoscimento dei diritti civili.
L’ultimo capitolo, infine, (“Nuove tensioni dialettiche”), è dedicato agli ultimi quarant’anni, al ristrutturarsi dell’attivismo LGBTQIA+ in seguito a eventi epocali come la crisi dell’AIDS, il crollo del muro di Berlino, l’avvento dell’immigrazione di massa, l’11 settembre, la crisi del 2008, la pandemia di Covid-19.
La storia del movimento tracciata da Bernini inizia dalla Berlino degli anni Sessanta dell’Ottocento «quando furono fondati i primi gruppi omofili per l’abolizione del paragrafo del codice penale prussiano che puniva la “fornicazione contro natura”: subito iniziarono le divisioni tra chi poneva l’esperienza omosessuale in continuità con quella trans e intersex, e chi invece rivendicava per l’omosessualità maschile una piena adesione al genere maschile, persino alla virilità».
E si arriva al giorno d’oggi, quando si è diffuso l’acronimo LGBTQIA+ con tutte le contraddizioni che porta con sé: una parte dei movimenti LGBTQIA+ si richiama ancora oggi all’eredità della rivolta di Stonewall, quando, nella notte tra il 27 e il 28 giugno del 1969, si diede inizio a una serie di scontri contro la polizia che aveva fatto irruzione in un club di New York, lo Stonewall Inn: quella sera qualcuno reagì e per la prima volta le persone resistettero all’intimidazione tutte insieme, uomini e donne, gay e eterosessuali. Fuori, una folla di centinaia di persone, in parte espulse dal locale, in parte accorse dai dintorni, resistette all’arrivo dei rinforzi, accese falò e partecipò ai tumulti da cui nacque il movimento omosessuale statunitense. E sono proprio quegli eventi che si ricordano ogni anno durante il Pride.
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La parte di movimento che si richiama a Stonewall contesta ancora oggi le derive assimilazioniste di un’altra parte dei movimenti omosessuali, lesbici ma soprattutto gay. Infatti, dice Bernini, «i movimenti che hanno condotto alla conquista dei diritti matrimoniali, seguendo una traiettoria comune a buona parte della sinistra europea e nordamericana, hanno abbandonato la lotta contro le diseguaglianze sociali, economiche e razziali dei collettivi di liberazione sessuale degli anni Settanta, assieme alle pratiche autocoscienziali, per assumere una posizione meramente liberale». Sulle richieste di trasformazione sociale, spiega Bernini, hanno cioè prevalso quelle di integrazione sociale.
A testimonianza del fatto che non si possa parlare di un movimento LGBTQIA+ monolitico e statico, Bernini racconta che a questa posizione liberale «rispondono oggi i gruppi queer, transfemministi e intersezionali, che criticano l’egemonia esercitata da un modello rispettabile di omosessualità maschile, bianca, benestante e monogama sulle altre espressioni minoritarie della sessualità».
Questi gruppi contestano anche «la cooptazione dei diritti delle donne e delle coppie omosessuali in retoriche nazionaliste che contrappongono la cultura liberale dell’Occidente al resto del mondo per giustificare politiche antimmigrazione, e la colonizzazione culturale veicolata dai modelli identitari elaborati in Occidente sulle minoranze sessuali del resto del mondo». Le tensioni che da sempre percorrono i movimenti LGBTQIA+ («e che ci hanno condotto nel giro di un secolo e mezzo a tante importanti conquiste») assumono quindi oggi configurazioni nuove, «che a tutto possono fare pensare, fuorché a un’imminente pacificazione futura», dice Bernini.
Non è dunque possibile nemmeno immaginare il futuro dei movimenti, ma c’è una questione centrale da tenere ben presente in tutto questo discorso, precisa Bernini: «Come mai il rapporto tra politica e sessualità è tanto complicato? Come mai il sessuale, quando interseca il politico, conduce a tanti conflitti e contraddizioni?». Per lui, la psicoanalisi, così come l’autocoscienza, cioè quella pratica politica nata all’interno del femminismo che, partendo da sé e dalle proprie esperienze, porta a mettere in discussione collettivamente ruoli e posizioni, «non vanno di moda nei movimenti LGBTQIA+ di oggi. È un peccato, a mio avviso».
Freud compare invece nel libro, prosegue Bernini, «come il primo che ha fornito un’interpretazione psicodinamica del desiderio sessuale»: teorizzò cioè che le inclinazioni sessuali non siano innate, ma si formino nel corso della prima infanzia attraverso complessi processi di relazione e identificazione con le figure genitoriali. Freud sottrasse dunque il desiderio sessuale «all’interpretazione innatista che ebbe tanto successo nella Germania nazista, dove le minoranze sessuali finivano nei lager in quanto portatrici di “tare genetiche”».
E Freud, conclude Bernini, insegna anche che il sessuale «è una forza perturbante, che strutturalmente ostacola l’iscrizione del soggetto nella società. La morale eterocissessista e patriarcale tradizionale è stata un modo di governare il sessuale, un tentativo di dargli senso e dargli forma. E anche l’odierno proliferare di soggettività e identità sessuali non binarie, rappresentato dal + in fondo all’acronimo, è un tentativo (che sostengo con convinzione, non mi si fraintenda) di governare il sessuale, di dargli senso e dargli forma. Il punto, a mio avviso, è che il sessuale è l’ingovernabile per eccellenza, che una forma non ce l’ha e neppure un senso. Non può quindi che portare scompiglio».