La nuova strategia di Macron nel Sahel
Prevede un graduale disimpegno della propria principale operazione militare, ma ad alcuni osservatori sembra un po' contraddittoria
Due settimane fa l’amministrazione francese guidata da Emmanuel Macron ha annunciato un po’ a sorpresa la conclusione della operazione militare francese nella regione africana del Sahel, cioè la fascia di territori che si trova appena a sud del deserto del Sahara. L’operazione si chiamava “Barkhane” ed era iniziata nel 2014 per combattere il terrorismo jihadista, in particolare nel nord del Mali. L’annuncio è stato accompagnato da Macron da alcune dichiarazioni che secondo gli analisti lasciano intravedere un cambio di strategia in una delle regioni più delicate dell’Africa, e dove si concentrano vari interessi che riguardano anche gli altri paesi europei.
Il Sahel comprende stati come Mali, Burkina Faso, Ciad e Niger, ed è storicamente un’area povera di risorse e molto instabile, anche a causa di un durissimo regime coloniale attuato fino agli inizi del Novecento proprio dalla Francia, che continua a considerare i paesi della regione come parte della propria area d’influenza.
Negli ultimi mesi la situazione sembra essere tornata a un livello preoccupante di tensioni, soprattutto per via della morte improvvisa del presidente autoritario del Ciad – Idriss Déby, peraltro saldo alleato della Francia anche con Macron – e del secondo colpo di stato in pochi mesi in Mali. Entrambi gli eventi contribuiranno probabilmente a destabilizzare l’intera regione, che già oggi è un importante crocevia del contrabbando di droghe e armi, oltre che parzialmente in mano a gruppi jihadisti.
Nell’annunciare la sua decisione, Macron è sembrato alludere alle nuove difficoltà, attribuendo inoltre la responsabilità del nuovo periodo di instabilità alle classi dirigenti dei paesi africani. «Non possiamo continuare a stabilizzare regioni che poi tornano nel caos perché gli stati decidono che non vogliono farsene carico», ha detto Macron.
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Diversi osservatori hanno fatto notare che un altro fattore nella scelta di Macron sia stato l’inizio di fatto della campagna elettorale per le elezioni presidenziali francesi, che si terranno nella primavera del 2022. Secondo Politico, «Macron ha indicato all’opinione pubblica francese che sta per ritirarsi da una guerra eterna e che non si può vincere, avviata dal suo predecessore. […] Agli elettori francesi, molti dei quali hanno detto ai sondaggisti che non capiscono più per quale motivo i soldati francesi continuino ad andare a morire in Sahel, suonerà come un “i ragazzi tornano a casa”».
Macron sa bene che non potrà ritirarsi completamente dalla regione, la cui instabilità estrema potrebbe contaminare altri paesi africani. Contestualmente alla fine dell’operazione “Barkhane”, Macron ha annunciato che la Francia continuerà a guidare la Task Force Takuba, avviata nel 2019 e che prevede l’addestramento e l’assistenza di forze locali da parte degli eserciti europei, con l’obiettivo di combattere i gruppi jihadisti della zona (secondo Inside Over l’Italia partecipa alla missione «con 200 unità, 20 mezzi terrestri e 8 mezzi aerei»).
La Task Force Takuba rappresenta un impegno piuttosto gravoso per i paesi coinvolti, dato che riguarda le forze speciali dei rispettivi eserciti e prevede anche il loro coinvolgimento nelle operazioni militari sul campo. «Il territorio da controllare è smisurato, le forze sono limitate, gli avversari sono fanatici che hanno giurato fedeltà e si sono integrati in parte nello Stato islamico e in parte dentro al Qaida», scriveva qualche mese fa Daniele Raineri sul Foglio.
Macron quindi si troverà nella scomoda posizione di dover convincere gli alleati europei a proseguire e magari rafforzare la Task Force Takuba mentre allo stesso tempo l’esercito francese smobiliterà l’operazione Barkhane. Con tutta probabilità dovrà convincere della bontà delle sue decisioni anche gli stessi paesi africani: «come farà a convincere i nuovi leader in Mali e Ciad a riformare il proprio stato, a combattere la corruzione e l’illegalità, a cedere il potere a un governo civile e democratico, se la Francia se ne sarà comunque andata?», chiede un po’ polemicamente Politico.