L’UNESCO dice che la Grande Barriera Corallina australiana dovrebbe essere inserita nell’elenco dei siti naturali «in pericolo» per via dei cambiamenti climatici
L’UNESCO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura) ha raccomandato di inserire la Grande Barriera Corallina australiana nell’elenco dei siti patrimonio dell’Umanità che sono considerati «in pericolo» per via dei cambiamenti climatici e ha invitato il governo australiano ad «accelerare su ogni possibile fronte» le attività per contrastare il riscaldamento globale. Nel recente rapporto dell’UNESCO, che verrà discusso dal Comitato per il Patrimonio mondiale (World Heritage Committee) a partire dal prossimo 16 luglio, viene detto che gli sforzi fatti finora dal governo australiano non sono stati sufficienti e che «servono impegni più forti e più chiari».
Il riscaldamento globale sta provocando tra le altre cose un aumento delle temperature delle acque, che ha conseguenze enormi sullo stato di salute delle barriere coralline. Nonostante la crescente attenzione nei confronti della crisi climatica e gli impegni presi dall’Accordo sul clima di Parigi del 2015, l’Australia non ha ancora adottato un piano specifico per raggiungere entro il 2050 la cosiddetta neutralità carbonica, cioè la compensazione delle emissioni di anidride carbonica e altri gas serra rilasciate nell’atmosfera attraverso strategie e attività che consentano di “toglierne” altrettante.
Il governo australiano non ha accolto bene le indicazioni dell’UNESCO. Martedì la ministra per l’Ambiente australiana, Sussan Ley, ha detto che il governo australiano «si opporrà fortemente» alle raccomandazioni dell’ONU e che lei e la ministra degli Esteri, Marise Payne, si metteranno in contatto con la direttrice generale dell’UNESCO Audrey Azoulay per discuterne. Ley ha detto che la scorsa settimana l’UNESCO aveva assicurato il governo australiano che non avrebbe inserito la Grande Barriera Corallina nella lista dei siti «in pericolo»; ha poi aggiunto che le raccomandazioni «danno un segnale sbagliato ai paesi che non stanno facendo gli investimenti di protezione della barriera corallina che stiamo facendo noi», e che secondo lei sarebbero frutto di pressioni politiche.
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