La complicata crisi di Moby e Tirrenia
Due tra le più grandi e note compagnie di navigazione italiane si trascinano da anni enormi debiti, e continuano i tentativi di risanarli
Martedì 15 giugno CIN, compagnia italiana di navigazione, che appartiene al gruppo Onorato, ha presentato la proposta definitiva di concordato preventivo per tentare di risanare l’azienda ed evitare il fallimento. Sempre martedì è stata depositata la stessa domanda anche per Moby, un’altra grande compagnia di navigazione del gruppo Onorato. I giudici dovranno decidere se ammettere le due proposte: in caso di approvazione, partirà una lunga procedura per soddisfare i creditori, evitare il fallimento, continuare a navigare e salvare l’occupazione di seimila dipendenti.
La presentazione quasi in contemporanea delle due richieste di concordato è solo una tappa di una lunga e complessa vicenda che coinvolge anche un’altra società, Tirrenia, acquistata da CIN nel 2012 in seguito alla privatizzazione decisa dallo stato. Da aziende in salute, con nomi familiari a moltissime persone che per decenni sono salite sulle loro navi per raggiungere le isole italiane, negli ultimi anni Moby e Tirrenia sono diventate un enorme problema per Vincenzo Onorato, tra i più noti armatori italiani.
Uno dei momenti più importanti di questa vicenda, e che ancora oggi influisce sulle compromesse condizioni economiche delle compagnie di navigazione, è la privatizzazione di Tirrenia avvenuta nel 2012. Dopo anni di gestioni rovinose, nel 2008 il governo guidato da Silvio Berlusconi iniziò la procedura per dismettere la partecipazione statale nella storica compagnia: dopo una prima gara conclusa senza esito nel 2010, la società venne messa in amministrazione straordinaria, prevista per la ristrutturazione industriale di grandi imprese in stato di insolvenza.
In seguito venne indetta una seconda gara per la privatizzazione, chiusa nel maggio del 2011, e a vincerla fu CIN, Compagnia italiana di navigazione, una nuova società costituita da tre nomi di primo piano del settore: Marinvest di Gianluigi Aponte, Moby di Vincenzo Onorato ed Emanuele Grimaldi di Grimaldi Lines.
Al momento della privatizzazione, Tirrenia aveva debiti per 520 milioni di euro e la CIN riuscì ad comprarla per 380 milioni di euro. Sulla vendita intervenne però l’Antitrust europeo, che rilevò una posizione dominante a causa dell’elevata quota di mercato posseduta dai tre armatori. Aponte e Grimaldi uscirono dalla società, che divenne partecipata al 40% da Moby, al 30% dal fondo Clessidra, al 20% da GIP, Gruppo investimenti portuali, e al 10% dall’imprenditore Francesco Izzo.
Dei 380 milioni di euro necessari per acquisire l’attività dall’amministrazione straordinaria, ne vennero versati 200 al momento della chiusura dell’operazione, mentre i restanti 180 milioni avrebbero dovuto essere pagati in tre rate: 55 milioni nell’aprile 2016, 60 milioni entro aprile 2019 e 65 milioni nell’aprile 2021.
Nel luglio del 2015 Onorato completò l’acquisizione di CIN liquidando i soci con 100 milioni di euro: al fondo Clessidra andarono 80 milioni e i restanti 20 milioni ai due soci minori. Nel 2016 il gruppo Onorato, a quel punto proprietario di Moby e Tirrenia, chiuse un’operazione di rifinanziamento per complessivi 560 milioni di euro: 300 milioni con l’emissione di un bond, prestito obbligazionario con scadenza al 2023 e cedola al 7,75%; 200 milioni attraverso un finanziamento, con scadenza al 2021, da parte di un pool bancario (Unicredit, Banco Popolare e Banca Imi); e altri 60 milioni attraverso una linea di credito.
Come ha scritto Carlo Festa sul Sole 24 Ore, «a quel tempo la compagnia degli Onorato avrebbe potuto finanziare tutta l’architettura dell’operazione con altri strumenti finanziari, ma invece venne deciso di emettere un mega-bond, che oggi pesa come un macigno sul gruppo. L’obiettivo, a quel tempo, era anche fare competizione al gruppo Grimaldi su alcune rotte, mossa che però affiancata agli sbagli finanziari ha portato alla situazione attuale».
Questi sforzi vennero giustificati anche dalla “continuità territoriale”, un sostegno economico alle aziende di trasporti per favorire gli spostamenti delle persone che abitano sulle isole e che possono comprare biglietti a prezzo inferiore grazie ai fondi messi dallo stato. Con la privatizzazione di Tirrenia sono stati garantiti 72 milioni di euro all’anno per otto anni, dal 2012 al 2020. Nonostante questi fondi e una prima riorganizzazione delle rotte, i conti della Tirrenia non sono mai migliorati. La crisi economica, con l’aumento del prezzo dei carburanti, e gli effetti dell’epidemia non hanno aiutato la compagnia a risolvere una situazione già piuttosto compromessa.
A luglio 2020 Moby e CIN si sono appellate alla legge fallimentare presentando una richiesta di “concordato in bianco” al tribunale di Milano. Con il concordato in bianco, un’azienda manifesta l’intenzione di ristrutturare il proprio debito e di non fallire presentando un piano da sottoporre ai creditori nel giro di sei mesi. Alla scadenza, però, CIN non ha presentato nessun piano e il 15 aprile 2021 la procura di Milano ne ha chiesto il fallimento indicando un passivo della società di circa 200 milioni e debiti scaduti per circa 350-400 milioni, di cui 180 nei confronti dell’amministrazione straordinaria.
A fine maggio si era saputo che CIN avrebbe chiesto il concordato per evitare il fallimento, presentato questa settimana nella sua forma definitiva. Il 6 maggio, il tribunale ha quindi concesso un rinvio per lasciare il tempo alla società di trovare un accordo di ristrutturazione del debito con i commissari dell’amministrazione straordinaria per recuperare i 180 milioni. L’accordo, che sembrava vicino, è poi saltato.
Ma i tentativi dei commissari di recuperare i crediti sono continuati: all’inizio di giugno hanno citato in giudizio il gruppo Onorato perché sostengono che CIN sia in uno stato di dissesto finanziario a causa di Moby. Nell’atto con cui è stata presentata la causa, i commissari sostengono che il gruppo Onorato abbia introdotto accordi commerciali tra CIN e Moby totalmente sbilanciati a favore di quest’ultima.
I conti sono complessi, come tutta la vicenda: al 31 dicembre 2019 CIN vantava verso Moby crediti per 128 milioni di euro, di cui 90,9 milioni per incasso biglietti non trasferiti a CIN. Alla stessa data, dal bilancio Moby risulta che quest’ultima vantava verso CIN un credito di 58,8 milioni di euro, di cui 38,8 milioni per noleggio motonavi e 20 milioni a titolo non specificato. Il saldo all’interno del gruppo è quindi di 70 milioni di euro a favore di CIN rispetto a Moby.
Come ricostruito dal Sole 24 Ore Radiocor, i commissari dell’amministrazione straordinaria sono intervenuti – in qualità di creditori di CIN, che a sua volta è creditrice di Moby – per ottenere i 70 milioni di euro. Come consentito dalla legge, i commissari si sono mossi al posto di CIN per chiedere che Moby paghi il suo debito, cosa che renderebbe più facile per l’amministrazione straordinaria rientrare del proprio credito da 180 milioni.
Nonostante questa situazione di grave instabilità, le linee di collegamento marittimo continuano a funzionare e sono state potenziate in vista dell’estate. Negli ultimi mesi i sindacati hanno espresso più volte preoccupazione per i seimila dipendenti e hanno chiesto al governo un confronto per chiedere «certezza sui futuri livelli occupazionali delle lavoratrici e lavoratori di CIN». «Non ci avventuriamo nelle vicende giudiziarie: chiediamo solo un servizio efficace per i cittadini e i turisti e garanzie per l’occupazione», spiega Salvatore Pellecchia, segretario generale della Fit Cisl. «Tra le tante cose non va dimenticato anche in tema contrattuale perché anche in un piano di riorganizzazione non si possono ridurre i diritti e mettere a repentaglio la sicurezza dei lavoratori e delle persone».
Moby è anche al centro di un altro caso giudiziario che riguarda i finanziamenti alla politica. Ad aprile la procura ha aperto un fascicolo a scopo conoscitivo, senza indagati né ipotesi di reato, per verificare la regolarità di trasferimenti di denaro avvenuti dal 2015 al 2020 da parte di Moby a Beppe Grillo srl, Casaleggio Associati, fondazione Change di Giovanni Toti, fondazione Open di Matteo Renzi, Fratelli d’Italia e PD.
Come ha scritto l’Ansa, si va dai 200 mila euro versati alla Beppe Grillo srl per un contratto che va dal marzo 2018 al marzo 2020 «volto ad acquisire visibilità pubblicitarie per il proprio brand sul blog» del comico-politico, ai 600 mila per due anni per la Casaleggio Associati per «sensibilizzare le istituzioni sul tema dei marittimo» e per «raggiungere una community di riferimento di 1 milione di persone». Ci sono anche 200 mila euro alla Fondazione Open “sostenitrice” di Matteo Renzi e 100 mila euro al Comitato Change legato al presidente della Liguria Giovanni Toti, 90 mila al Partito Democratico e 10mila euro a Fratelli d’Italia.