Il governo spagnolo vuole graziare i leader dei separatisti catalani
Per Sánchez sarebbe una discreta scommessa politica, dato che quasi uno spagnolo su due si dice contrario
Da qualche settimana il governo spagnolo guidato da Pedro Sánchez, sostenuto dal centrosinistra, ha lasciato intendere di voler graziare i 9 leader dei separatisti catalani che attualmente si trovano in carcere per aver organizzato l’embrionale (e fallito) tentativo di secessione della Catalogna dalla Spagna nell’ottobre del 2017. Fuori dalla Spagna le condanne dei leader civili e politici – il più famoso dei quali è l’ex vicepresidente del governo catalano Oriol Junqueras, condannato a 13 anni – sono giudicate molto controverse e accusate di avere natura in parte politica, ma fino a poco tempo fa erano state difese dallo stesso Sánchez.
Nel frattempo però il clima politico è cambiato: a fine settembre del 2020 è stato eletto presidente della Catalogna Pere Aragones, espresso dalla Sinistra repubblicana della Catalogna (ERC, lo stesso partito di Junqueras) ma considerato un moderato, che infatti dopo la sua elezione ha escluso nuove decisioni unilaterali sull’autonomia della Catalogna; nei prossimi due anni inoltre la Spagna riceverà quasi 70 miliardi di euro dal cosiddetto Recovery Fund europeo, che a meno di sorprese dovrebbero contribuire a far ripartire l’economia spagnola e alimentare i consensi del governo.
La decisione di Sánchez arriverebbe quindi in un momento strategico, all’inizio di un periodo potenzialmente favorevole per il suo governo e lontano da pericoli elettorali, dato che le prossime elezioni politiche sono previste per la fine del 2023. «È il momento giusto per pagare un prezzo politico», ha spiegato a Reuters una fonte del Partito Socialista spagnolo, di cui Sánchez è il segretario. Sembra certo che la decisione sarà assai controversa: secondo un recente sondaggio del Mundo il 61 per cento degli spagnoli sarebbe contrario alla grazia, mentre solo il 29,5 si dice a favore.
Il Partito Socialista spagnolo cerca da sempre di trovare una terza via fra l’indipendentismo della sinistra catalana e il nazionalismo spinto della destra spagnola, e la grazia dei nove leader in prigione potrebbe contribuire a un dialogo più disteso fra il governo centrale e quello catalano. «Sarebbero un gesto importante al fine di calmare le tensioni del conflitto catalano», ha detto a Politico Lluís Orriols, politologo dell’università Carlos III di Madrid. Proprio alla fine di giugno, fra l’altro, Sánchez dovrebbe incontrare Aragones per cercare di far ripartire un dialogo costruttivo fra le due parti.
I nove leader indipendentisti si trovano in custodia cautelare dal 2017 e nel 2019 erano stati condannati per il reato di sedizione, che punisce una rivolta pubblica contro l’autorità. La condanna più grave è stato inflitta a Junqueras, mentre l’ex presidente del Parlamento catalano, Carme Forcadell, è stata condannata a 11 anni e 6 mesi di carcere. Jordi Cuixart e Jordi Sànchez, leader di due organizzazioni indipendentiste della società civile (Òmnium e Assemblea Nazionale Catalana) e famosi come “i due Jordi”, stanno scontando una condanna a 9 anni. Nessuno degli imputati è stato condannato a meno di 9 anni di carcere.
Nonostante le condanne siano state molto dure e il movimento indipendentista catalano le consideri una ferita aperta, negli anni il dibattito spagnolo si è molto polarizzato: motivo per cui quella di Pedro Sánchez rimane comunque una scommessa. José Pablo Ferrándiz, un sociologo dell’università Carlos III contattato dal Guardian, ha detto che molto dipenderà dall’andamento dell’economia: «Se gli spagnoli vedranno che i fondi europei sono stati gestiti bene e sono arrivati nelle loro tasche, oppure hanno aiutato a ridurre le disuguaglianze e creato lavoro, il tema della grazia diventerà una piccola storia accaduta nell’estate del 2021».
Al momento comunque, secondo i sondaggi, Sánchez non ha risentito particolarmente di questa storia: secondo una recente rilevazione citata dal País, il Partito Socialista è dato poco sotto la percentuale di voti presa alle elezioni del 2019, cioè il 28 per cento, mentre il principale partito di centrodestra, il Partito Popolare, è attorno al 24.