Le Pen punta sulle regionali francesi
Secondo i sondaggi il suo Rassemblement National potrebbe andare molto bene, per come si sta spostando l'elettorato e per le difficoltà degli avversari
Domenica 20 e domenica 27 giugno in Francia si voterà per le regionali: saranno eletti, per un mandato di sei anni, i presidenti di regione e i consiglieri regionali e, contemporaneamente, saranno scelti anche i consiglieri dipartimentali (i dipartimenti sono una suddivisione territoriale di secondo livello, dopo le regioni, e sono 101). A un anno dalle prossime presidenziali, queste elezioni sono considerate un passaggio molto significativo per i diversi partiti a livello nazionale. I sondaggi dicono che Rassemblement National (RN), il partito di estrema destra di Marine Le Pen, è in vantaggio in sei regioni e che in una potrebbe anche vincere al primo turno.
Dalla metà degli anni Ottanta, come ha riassunto Le Monde, la sinistra ha gradualmente conquistato quasi tutte le regioni e la tendenza si è mantenuta fino al 2010. Alle ultime regionali del 2015, la tendenza si è però invertita e la destra ha vinto in sette regioni su dodici.
In generale, una delle preoccupazioni maggiori riguardo alle prossime elezioni ha a che fare con la bassa partecipazione, cioè una conferma di una tendenza già in corso e sulla quale potrebbe influire anche la crisi sanitaria. L’affluenza è infatti in calo da tempo, nel paese: alle regionali del 1992 era al 68,7 per cento, nel 2004 al 60,8, nel 2010 al 46,3 e nel 2015 al 49,9. Al primo turno delle amministrative del 2020 aveva votato solo il 44,6 per cento degli elettori e delle elettrici.
In base agli ultimi sondaggi, RN è in vantaggio in Provence-Alpes-Côte d’Azur con il candidato alla presidenza Thierry Mariani dato in tre diverse ricerche tra il 41 e il 43 per cento. Il candidato di Les Républicains (LR, destra) e presidente uscente Renaud Muselier, sostenuto anche dai centristi di Emmanuel Macron, è fermo per ora al 34 per cento. Nelle intenzioni di voto, RN è posizionato bene anche in due regioni del Nord, la Bretagna e la Hauts-de-France, che era un tempo quella che in Italia definiremmo una “regione rossa”, in cui erano forti i sindacati e i movimenti dei lavoratori e nella quale la de-industrializzazione e il cambiamento del tessuto sociale hanno negli anni, tra le altre cose, spostato l’elettorato a destra.
Oltre alla partecipazione, l’altra cosa da tenere d’occhio saranno la capacità della sinistra di mobilitare gli elettori contro il partito di Le Pen, e le alleanze tra le varie forze politiche al secondo turno. Il sistema elettorale per le regionali prevede che se nessuna lista ottiene la maggioranza assoluta si vada al ballottaggio, al quale sono ammesse tutte le liste che hanno ottenuto almeno il 10 per cento dei voti. Tra i due turni le liste possono essere modificate e possono fondersi con altre che hanno ottenuto almeno il 5 per cento dei voti.
Ma sarà importante vedere, tra il primo e il secondo turno, la disponibilità dei candidati a ritirarsi per evitare di dividere l’elettorato anti-RN, e compattarsi in blocchi repubblicani – come vengono definite in Francia le coalizioni contro l’estrema destra – superando le rispettive divergenze.
Nel 2015 in Hauts-de-France i Verdi, i comunisti e i socialisti si erano presentati separati, e al primo turno Le Pen aveva superato il 40 per cento dei voti, staccando di 15 punti il candidato dei Repubblicani (centrodestra) Xavier Bertrand. Bertrand aveva poi vinto al secondo turno, ma solo grazie al ritiro della lista del Partito Socialista, deciso per non favorire Le Pen. I Socialisti avevano raggiunto il loro obiettivo a breve termine, dunque, ma non avevano ottenuto alcuna rappresentanza al Consiglio regionale, lasciandolo nelle mani della maggioranza composta dai Repubblicani e dell’opposizione del Front National. La stessa cosa era successa in Provence-Alpes-Côte d’Azur, dove il partito di Le Pen non aveva ottenuto la vittoria per la stessa strategia dei suoi avversari.
A mettere in crisi il fronte repubblicano, scrive l’Economist, ci sono anche lo spostamento verso destra dell’elettorato francese e la normalizzazione del partito di estrema destra di Le Pen tra quello stesso elettorato. In tempi di pandemia, dopo le proteste dei gilet gialli, e con un presidente come Macron che è in calo di popolarità, Le Pen ha infatti, per quanto possibile, “moderato” il proprio messaggio.
E il candidato Thierry Mariani rappresenta esattamente questa normalizzazione: ex ministro dei Trasporti tra il 2010 e il 2012 nel terzo governo di François Fillon, ha fatto parte dei principali partiti di destra e centrodestra del paese, l’Union pour un mouvement populaire (UMP) di Jacques Chirac e Nicolas Sarkozy, e poi Les Républicains che ha lasciato per avvicinarsi a RN e con il quale è stato eletto nel 2019 al parlamento europeo. Mariani non è in realtà lontano dalle posizioni estreme di Le Pen e insiste molto sulle questioni della sicurezza e dell’immigrazione che, di recente, ha legato al terrorismo, ma è percepito come una figura istituzionale in grado di conferire al partito di Le Pen una patina di rispettabilità. L’operazione sta evidentemente funzionando: un sondaggio citato dall’Economist dice che un terzo di coloro che in Provence-Alpes-Côte d’Azur hanno votato per François Fillon, il candidato presidenziale dei Repubblicani nel 2017, oggi sostiene Mariani.