Comprendere i grandi numeri
Diventa difficile per molti, quando si confrontano milioni con miliardi, ma esistono strategie per cercare di afferrare più intuitivamente queste grandezze
A gennaio scorso, il fondatore di SpaceX e amministratore delegato di Tesla Elon Musk è provvisoriamente diventato, secondo la classifica di Bloomberg, la persona più ricca al mondo in seguito a un rialzo del prezzo delle azioni di Tesla. Il patrimonio di Musk – che nel frattempo è stato controsuperato dal fondatore di Amazon Jeff Bezos e dal CEO del gruppo francese di lusso LVMH Bernard Arnault – si aggira intorno ai 170 miliardi di dollari. E, a margine di un dibattito tra addetti, si è discusso anche delle sue probabilità di superare in futuro i mille miliardi, che equivale a una cifra seguita da dodici zeri, definita in certi contesti un bilione.
“Bilione” – così come il suo equivalente trillion nella scala corta, in uso negli Stati Uniti – è una parola che in italiano viene più chiaramente sostituita per l’appunto con mille miliardi. Un ordine di grandezza con cui ci si confronta spesso quando si parla del debito pubblico italiano, che ammonta oggi a circa 2.680 miliardi. La comprensione di una somma simile spesso sfugge a una comprensione chiara e intuitiva da parte delle tante persone che non hanno familiarità con i numeri decimali superiori al milione. Tanto che, quando l’argomento sono i soldi, sostituire quella parola con “quadrilione” (un bilione di bilioni) o con “fantastiliardo” (un ordine di grandezza del patrimonio di Paperon de’ Paperoni) non altera più di tanto il senso di molti discorsi comuni.
In generale, quasi tutti hanno difficoltà a dare un senso a numeri così grandi. Per questo motivo, matematici ed esperti di grandi numeri si chiedono da tempo se esista un modo per provare a rendere meno astratte e più comprensibili queste grandezze. Una risposta abbastanza condivisa è quella di provare a mettere i grandi numeri in relazione con fenomeni o esperienze familiari. Sappiamo tutti che un miliardario ha più soldi di un milionario, ma la maggior parte di noi non ha alcuna esperienza pratica della differenza tra essere l’uno ed essere l’altro, né di cosa significhi in generale avere così tanti soldi. Un paragone con il tempo può essere utile: un milione di secondi sono più o meno 12 giorni, un miliardo di secondi circa 32 anni.
«Un milione di secondi sono una breve vacanza; un miliardo di secondi sono una frazione importante di tutta la vita», come ha spiegato il New York Times in un recente articolo di Steven Strogatz e Aiyana Green, rispettivamente docenti di matematica e di analisi e gestione delle politiche alla Cornell University, a Ithaca, nello stato di New York.
Le differenze tra ordini di grandezza possono essere macroscopiche, più di quanto lo sembrino all’apparenza. «Se tu spendessi 40 dollari al secondo, 24 ore su 24, ti servirebbero 289 giorni per esaurire un miliardo di dollari. Se provassi a fare la stessa cosa con mille miliardi (un bilione) di dollari, ti servirebbero 792,5 anni», ha recentemente scritto Jerry Pacheco, editorialista del quotidiano statunitense The Albuquerque Journal, in un intervento riguardo al debito americano.
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La giornalista Jo Craven McGinty, responsabile della sezione “Numbers” sul Wall Street Journal, descrisse qualche anno fa un esperimento che esemplifica la sostanziale incomprensione delle relazioni esistenti tra grandi numeri. L’esperimento richiede di prendere un foglio di carta e tracciare una linea retta, scrivendo ai due estremi opposti “0” e “1 miliardo”. A quel punto si procede mettendo un segno in corrispondenza del punto della retta che dovrebbe rappresentare “1 milione”. Una parte consistente della popolazione metterà quel segno troppo vicino al centro della retta, cioè nel punto corrispondente a 500 milioni.
«Circa il 40-50 per cento delle persone sottoposte a questo test sbaglia terribilmente, e quando sbagliano terribilmente lo fanno anche sistematicamente», spiegò al Wall Street Journal David Landy, uno scienziato cognitivo dell’Università dell’Indiana che si occupa di studi sulla percezione matematica e sul ragionamento numerico. Quello che ci viene difficile, secondo Landy, non è tanto contare utilizzando cifre così elevate – quello lo sappiamo fare – quanto comprendere i discorsi che coinvolgono più scale, come spesso avviene sui giornali e nel dibattito pubblico. «Se resti nei milioni, ti ci raccapezzi. Vedi che si parla di 250 contro 500 e… ah!, ok, è in milioni. Ma se è 500 milioni contro 2 miliardi, attraversi le scale e improvvisamente devi metterti a fare calcoli», spiega Landy.
Per visualizzare dove dovrebbe andare correttamente quel segno, occorre immaginare un metro – nel senso dello strumento che usiamo per misurare la lunghezza degli oggetti – con ciascuna delle sue mille tacche dei millimetri. Su quella scala, il segno di spunta corrispondente a 1 milione sarebbe la prima tacca dei millimetri. L’ultimo millimetro rappresenterebbe 1 miliardo. Per avere idea di un bilione, mille miliardi, bisognerebbe estendere quel metro fino a un chilometro.
Proprio l’argomento dei conti pubblici negli Stati Uniti, ragione dell’intervento di Pacheco, ha da qualche anno ravvivato un dibattito sulla necessità e sull’urgenza di migliorare la comprensione generale dei grandi numeri, dal momento che parole come billion (che, ancora una volta, significa “miliardo”, non “bilione”: in italiano è un cosiddetto false friend) e trillion (che significa invece mille miliardi, un “bilione”) sono oggi più presenti sui giornali di quanto non lo fossero anni fa. Secondo il matematico Andrew Hwang, docente al College of the Holy Cross, in Massachusetts, discussioni fondamentali come i finanziamenti per la ricerca scientifica e medica o le proposte di riforme fiscali richiederebbero una popolazione maggiormente attrezzata per portare avanti analisi significative basate sull’uso di questi valori numerici.
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Hwang sostiene che scienziati e matematici non debbano essere immaginati come dei “cervelloni” o dei computer viventi, ma piuttosto come persone abili a compiere abitualmente stime e creare analogie. Ed esistono strategie e trucchi per utilizzare conoscenze di base di aritmetica scolastica per arrivare a orientarsi tra milioni, miliardi e bilioni.
Riprendendo il già citato paragone con i secondi, Hwang propone di immaginare di avere un lavoro retribuito da una paga di un dollaro al secondo, ossia 3.600 dollari l’ora («sì, ci vuole fantasia»). Supponendo per semplicità di essere pagati 24 ore al giorno, 7 giorni su 7, dovrebbe trascorrere un milione di secondi – ovvero 17 mila minuti, ovvero 280 ore, ovvero 11,6 giorni – per arrivare a un milione di dollari. «Nel giro di un mese si potrebbe comodamente andare in pensione». Con quella stessa irrealistica paga di un dollaro al secondo per 24 ore su 24, per arrivare a un miliardo di dollari dovrebbero quindi trascorre 11.600 giorni, cioè 31,7 anni: «fattibile, ma meglio cominciare da giovani», scherza Hwang.
Questa analogia con le misurazioni del tempo diventa abbastanza illuminante al momento di cambiare scala e passare da milioni a miliardi, e mostra abbastanza chiaramente l’impossibilità, per un lavoratore normale, di arrivare a guadagnare un miliardo in una vita. Ma già funziona meno bene per il passaggio da miliardi a bilioni: per guadagnare mille miliardi di dollari (un bilione), sempre con questo ipotetico salario servirebbero 31 mila e 700 anni, che è una grandezza molto più difficile da afferrare.
A Ithaca, raccontano Strogatz e Green, c’è un modello in scala del sistema solare noto come Sagan Planet Walk, in cui i pianeti e gli spazi tra l’uno e l’altro sono ridotti con un fattore di cinque miliardi. Utilizzando questa scala, il Sole ha le dimensioni di un piatto da portata, Giove quelle di un cavoletto di Bruxelles e la Terra quelle di un pisello piccolo.
Per camminare dalla Terra al Sole, lungo la Sagan Planet Walk, bastano poche decine di passi. Arrivare a Plutone, il pianeta nano nella parte esterna del sistema solare, richiede un’escursione a piedi di un quarto d’ora. «Passeggiando per il sistema solare, acquisisci una comprensione viscerale delle distanze astronomiche che non ottieni osservando un libro né visitando un planetario. Il tuo corpo lo afferra anche se la tua mente non può».
Alcune rilevanti ricerche citate da Strogatz e Green nel campo della psicologia e dell’educazione scientifica sostengono che gli studenti siano in grado di cogliere più facilmente periodi di tempo estremamente lunghi – come, per esempio, quello tra l’estinzione dei dinosauri (66 milioni di anni fa) e la comparsa dell’Homo sapiens (300-200 mila anni fa) – se creano una cronologia personale degli eventi più significativi della loro vita e poi la ridimensionano a un tempo progressivamente più lungo: tutta la storia americana, e poi tutta la Storia, e via dicendo. I risultati di quelle ricerche indicano inoltre che con questo metodo gli studenti, rispetto al gruppo di controllo, si dimostrano più bravi a formulare stime numeriche in termini di miliardi, un’abilità essenziale per la comprensione dei tempi geologici, delle distanze astronomiche e, anche, dei conti pubblici.
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Sui giornali capita abbastanza frequentemente, fanno notare Strogatz e Green, che numeri così grandi siano presentati in forma di grafici a barre, ma con l’effetto di ridurre in molti casi la maggior parte degli elementi a frammenti appena visibili. Oppure viene utilizzata la riformulazione di quei numeri come percentuali di un intero, secondo un approccio che però soffre dello stesso inconveniente dei grafici a barre: genera cifre confusamente piccole, come lo 0,01 per cento, spiega il New York Times.
Il bisogno di migliorare la familiarità del pubblico con i grandi numeri – cercando di bilanciare tra il rischio di sopraffazione e il rischio di apatia – è stato infine tristemente richiamato, durante il 2020 e il 2021, in relazione alla lettura dei dati relativi alla pandemia. Quando a settembre 2020 il conteggio delle persone morte a causa della COVID-19 negli Stati Uniti ha superato 200 mila unità (al momento sono oltre 615 mila), National Geographic osservò che era come se l’equivalente di una città delle dimensioni di Salt Lake City, nello Utah, o l’equivalente di un quarto di Washington, D.C., fosse stato spazzato via. Oppure come se fossero precipitati 1.450 aerei pieni di persone, senza lasciare superstiti. «Supponendo che ci siano 138 posti in un classico Boeing 737, significherebbe che otto aerei si sono schiantati sul suolo degli Stati Uniti ogni giorno», disse lo scrittore David Kessler.