Come mai Ferrari si è data alla moda
La casa automobilistica ha presentato la sua prima collezione prêt à porter, tra generali apprezzamenti e ovviamente molto rosso
La scorsa settimana l’azienda italiana Ferrari ha presentato la sua prima collezione di abiti prêt à porter (cioè già confezionati e “pronti da indossare”), facendo il suo debutto in un campo – quello della moda – diverso, anche se per certi versi non molto lontano, da quello che rappresenta tradizionalmente il suo business aziendale, cioè le auto sportive. La collezione è stata presentata nel quartier generale della Ferrari a Maranello, in provincia di Modena, durante un evento in cui la passerella è stata allestita tra macchinari e telai di auto Ferrari.
Un’iniziativa del genere da parte della casa automobilistica forse più prestigiosa e nota al mondo – proprietaria di un’altrettanto nota e prestigiosa scuderia di Formula 1 – ha attirato ovviamente l’attenzione dei media italiani e internazionali, che hanno commentato la collezione e la sfilata soffermandosi sulle motivazioni che avevano spinto Ferrari a investire nella moda. Cathy Horyn su The Cut, per esempio, ha scritto: «Qualche cinico potrebbe anche dire, guardando alle deludenti performance della Ferrari in Formula 1, che forse sarebbe meglio se l’azienda si concentrasse di più sulle auto».
Ma in realtà sia Horyn che gli altri commentatori hanno giudicato il debutto di Ferrari piuttosto solido e ben costruito, per una serie di motivi: per prima cosa, Ferrari già da tempo utilizza il proprio marchio per il merchandising prodotto da terzi, dai profumi alle magliette agli accessori passando per i prodotti cosmetici, perciò possiede già gli strumenti per avere un’idea di come viene percepito il brand da un certo tipo di pubblico, non necessariamente interessato alle auto o alle corse automobilistiche.
Inoltre, Ferrari può sfruttare un momento in cui il settore della moda e del lusso è in profondo cambiamento, anche per via della pandemia da coronavirus. Anche i brand più prestigiosi si stanno reinventando per rivolgersi a un pubblico diverso, più giovane e meno legato alla tradizione, un obiettivo che però è alla portata anche di altre aziende del settore, non soltanto di marchi storici come Gucci e Louis Vuitton. Non a caso Rocco Iannone – che ha disegnato la collezione e in passato ha lavorato anche per Armani e Pal Zilieri – parlando con The Cut ha ripetuto spesso il concetto di “fluidità”, al centro del progetto di Ferrari: i vestiti sono pensati per essere unisex e per attirare un pubblico «libero dai condizionamenti».
«Non voglio perdere tempo con i pregiudizi» ha detto Iannone a Horyn. «O con persone che non capiscono, che sono troppo conservatrici o troppo ottuse nel loro modo di concepire il mondo della moda, perché la cosa importante, alla fine, è trovare la narrazione più giusta, con il registro più giusto, e soprattutto fatta bene».
Nonostante alcune inevitabili incognite (ci sarà un pubblico disposto a spendere migliaia di euro per abiti e accessori marchiati Ferrari, quando allo stesso prezzo si possono acquistare marchi come Hermès o Chanel?), complessivamente i commentatori si sono concentrati di più sullo studio che c’è stato dietro allo sviluppo della collezione e sul tentativo – apparentemente riuscito – di trasporre i tratti tipici e distintivi di Ferrari negli abiti, facendoli diventare “codici”, per usare le parole di Iannone.
«Era un po’ come “disossare” le auto, appoggiare le ossa sul pavimento e poi riassemblarle in modi diversi» ha raccontato Iannone a Vogue Italia. «Per esempio, la tipica forma della griglia anteriore della Ferrari è rappresentata nella collezione sia nel design di un cappotto che negli occhiali da sole. Ho rielaborato i fari, che diventano gomitiere o tagli. La linea della livrea, un’altra delle caratteristiche più iconiche del design Ferrari, è intagliata nel tessuto dei capi spalla, dando vita a un dialogo formale tra l’interno e l’esterno dei capi».
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