I cercatori di cristalli del Monte Bianco
Un pugno di persone, soprattutto anziane, porta avanti un'attività secolare strana e un po' pericolosa, per hobby e a volte per soldi
Dei due uomini che nel 1786 arrivarono per primi in cima al Monte Bianco, uno – Michel Gabriel Paccard – era medico, oltre che evidentemente alpinista. L’altro – Jacques Balmat – era invece, tra le altre cose, un cercatore di cristalli. Pare addirittura che fu proprio la ricerca dei minerali preziosi che lo portò, quell’8 agosto 1786, a trovare insieme a Paccard una via accessibile per raggiungere la vetta. Oggi, più di duecento anni dopo, c’è ancora chi, dalle parti del massiccio del Monte Bianco, continua a cercare cristalli.
È un’attività rara e poco nota, il sito Outside l’ha descritta come «un ramo esoterico dell’alpinismo». Qualcosa di cui, chi la pratica, parla come di una «nicchia all’interno della nicchia», che negli ultimi anni ha raccolto però qualche nuova curiosità in conseguenza di una rinnovata passione per i cristalli e più nello specifico per la cosiddetta cristalloterapia. Un’attività praticata da quella che secondo Jean-François Baud, uno dei pochi giovani attivi nel massiccio del Monte Bianco, è una specie di «società segreta» in cui poche persone si tramandano le loro conoscenze, come spiega al Post. Ma che difficilmente potrà avere un grande futuro, anche perché in diverse aree – compreso il versante italiano del Monte Bianco – è ormai vietato cercare e raccogliere cristalli tra le montagne.
I cristalli sono materiali solidi chimicamente e fisicamente omogenei, con forme poliedriche e le cui molecole sono disposte in modo regolare. Possono essere molto diversi, ma quelli che interessano a chi li cerca tra le montagne hanno forme e colori rari o particolari, ritenuti esteticamente gradevoli o interessanti e a volte anche preziosi. I cristalli si possono trovare un po’ ovunque, nel mondo. Nelle miniere da cui sono estratti, in genere come attività secondaria rispetto all’estrazione di materiali come oro, rame o cobalto, in certi casi con scarsissima attenzione all’ambiente e a chi ci lavora. O anche in altri luoghi naturali, non necessariamente di montagna.
Tra i tanti posti in cui li si può trovare, il massiccio del Monte Bianco è senza dubbio uno dei più interessanti, e infatti da quelle parti c’era chi li cercava già da prima di Balmat per venderli agli artigiani. Come ha scritto Outside, da quelle parti i cristalli ebbero origine circa 15 milioni di anni fa, «quando una soluzione di acqua calda e salata riempì le cavità che si erano create nel granito in seguito a movimenti tettonici». Fu un processo che avvenne «a pressioni incredibilmente alte, a circa 12 chilometri sotto il livello del mare, a temperature superiori ai 400 °C». Dopodiché, «mentre le Alpi si sollevavano, iniziò lentamente la cristallizzazione dei granelli di quarzo contenuti nelle pareti di alcune cavità rocciose, creando quelle “tasche” che oggi i cercatori di cristalli provano a scovare».
Dopo secoli in cui l’attività di ricerca era piuttosto diffusa, relativamente al contesto in cui si svolgeva e alle competenze che richiedeva, la ricerca di cristalli sul massiccio del Monte Bianco subì una notevole flessione all’inizio del Diciannovesimo secolo, quando se ne iniziarono a trovare in abbondanza in altre parti del mondo. L’attività riprese però vigore dopo la Seconda guerra mondiale, spesso con gli esplosivi usati nelle cavità in cui si sospettava potessero esserci determinati minerali, e con l’ausilio di elicotteri per far arrivare a valle i cristalli trovati.
Le cose cambiarono ancora dopo il 1979, quando alcuni cercatori svizzeri fecero incautamente crollare una parte di montagna, con conseguenti critiche e messe al bando della ricerca di cristalli. Da allora, l’attività è ripresa con moderazione e soprattutto a patto che le ricerche siano fatte in modo tradizionale, senza creare danni eccessivi alla montagna. Negli ultimi decenni, quindi, l’attività è praticata da qualche decina di persone, e con confini legali non sempre chiari. Se in Italia la pratica è infatti espressamente vietata dal 2008, e in Svizzera regolata tramite permessi personali, in Francia c’è una sorta di zona grigia. Da quelle parti, ha scritto Outside, la ricerca di cristalli da parte dei cristallier è «illegale ma ufficialmente tollerata a patto che sia svolta senza esplosivi, martelli pneumatici o elicotteri».
Per cercare e recuperare quarzi, ametiste o fluoriti – come, quando e dove è possibile farlo – i moderni cercatori di cristalli praticano quindi una particolare forma di alpinismo che anziché puntare alle cime ha come obiettivo l’individuazione di particolari tracce o determinate conformazioni rocciose che possano suggerire la presenza di cristalli. I cercatori di cristalli s’incamminano con zaini pieni di attrezzi di vario tipo, necessari ad aprire fessure di varie dimensioni nelle rocce e, nel caso in cui ci si trovino dei cristalli, staccarli ed estrarli, se possibile senza romperli.
Dato che la pratica è molto rara, non esistono attrezzature apposite, e ci si arrangia quindi con utensili di vario tipo. Franco Lucianaz, ottantenne cercatore di cristalli valdostano, spiega che negli oltre cinquant’anni in cui ha praticato quest’attività si è servito di «punte, mazzette, scalpelli, leverini e rampini» o anche «barrette di ferro a cui pieghi la punta, e che usi per grattare le fessure in cui pensi e intuisci possa esserci stata una cristallizzazione».
A volte si tratta di fessure piuttosto piccole, anche note come tasche o, in francese, four, cioè “forni”. Altre volte sono invece ambienti ben più grandi.
Lucianaz racconta che, da alpinista, si appassionò presto alla ricerca di cristalli grazie ai racconti di cercatori più anziani, con i quali poi iniziò ad andare a “caccia”. Spiega però che è praticamente impossibile spiegare dove e come trovare cristalli tra le montagne. Perché «la mineralogia è materia ostica, non è che uno se la beve e se la digerisce», e poi perché «per capire la roccia ci vogliono pazienza, occhio ed esperienza che si maturano nel corso di anni, anni e ancora anni». Comunque, anche con decenni di esperienza, dopo aver trovato «un buco affiorante, una spaccatura, un anfratto, una fessura o una litoclasi», c’è sempre da «rompere la roccia e vedere se hai fortuna».
Oltre che difficile, poi, la ricerca alpina di cristalli è pericolosa. Sebbene sia possibile farla in contesti relativamente «facili e tranquilli», in cui secondo Lucianaz «non ci sono grandi pericoli, se non quello di darti una martellata sulle dita», spesso richiede al contrario di «cimentarsi in luoghi impervi e ostili, in cui c’è veramente da rischiare». Dato che l’obiettivo è trovare posti che nessuno ha ancora esplorato, gli alpinisti esperti che cercano cristalli si spingono in luoghi montani di difficile accesso, restandoci poi per diverse ore, per creare spaccature nella rocca e, eventualmente, estrarre cristalli.
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Christophe Lelièvre, guardiano di uno dei rifugi sul Monte Bianco, ha raccontato ad Outside che venne a sapere dell’esistenza dei cercatori di cristalli a fine anni Novanta, quando iniziò a lavorare in un rifugio del massiccio. E che si accorse piuttosto presto che i cercatori non partono all’alba come gli alpinisti, e che in genere indossano abiti vecchi. Ha aggiunto: «cercare cristalli è duro, sei spesso in condizioni difficili e non puoi portare con te tanta attrezzatura di montagna perché nello zaino ti servono gli attrezzi per estrarre i cristalli. Il sacco a pelo, la tenda, il cibo, tutto ridotto». I movimenti degli alpinisti sono continui e relativamente rapidi, mentre i cercatori di cristalli passano ore nello stesso posto, magari calati su una parete e appesi in un punto promettente. Agiscono in estate, quando c’è meno neve e il suo scioglimento aumenta il rischio di frane.
Dopo aver trovato un cristallo, e dopo essere riuscito a prelevarlo senza romperlo, un cercatore di cristalli deve poi occuparsi di come riportare a valle il suo bottino. Lucianaz ricorda ancora quella volta che, rientrato a casa, dopo cinque ore di «discesa giù tra le rocce» pesò il suo zaino: «me lo ricordo ancora, pesava 38 chili e due etti».
Spesso le fessure sono poi così grandi che ci si deve lavorare per giorni, mesi o anni. Lucianaz racconta per esempio di essere andato per 12 anni, insieme ad un suo “socio”, nello stesso buco, per raggiungere il quale era necessario superare una parete di 80 metri. «Lo trovai nel 1982» dice «e alla fine mi ci infilavo completamente dentro, tutto in mezzo ai cristalli, in un magnifico susseguirsi di cristallizzazioni». Anche in quel caso, portare i cristalli a valle fu spesso problematico. Per portarne a casa uno da diverse decine di chili, Lucianaz ricorda che, coadiuvato da altri, dovettero «usare un bastino [un rinforzo in metallo per lo zaino], fare una legatura e poi una difficile calata in fondo alla parete».
Quella lastra è poi stata regalata a un museo di scienze naturali, dice Lucianaz, secondo cui la sua attività non ha mai avuto come motore «la brama dei soldi», che lo ha sempre fatto perlopiù per passione della «ricerca e del ritrovamento», spesso rinunciando anche a certi cristalli: «quelli troppi attaccati alle pareti non li staccavo». Gli è comunque capitato di riuscire a vendere alcuni cristalli di valore: «ho ben trovato un paio di pezzi di pregio» dice, spiegando di aver ricavato da alcuni qualche migliaio di euro.
Dal punto di vista economico, è andata assai meglio a Christophe Péray, cristallier francese di 66 anni protagonista dell’articolo di Outside, che si è fatto accompagnare in una giornata di ricerche dalle parti di un crinale noto come Col des Cristaux. Péray – la cui attrezzatura comprende «un rastrellino di plastica in origine appartenente al kit per castelli di sabbia dei suoi figli» e una fiamma ossidrica per sciogliere un po’ di ghiaccio se necessario – è definito da Outside «il decano dei cercatori di cristalli di Chamonix», a loro volta ritenuti «i più audaci».
Péray si è guadagnato questo status anche grazie al suo ritrovamento, nel 2006, di una «fluorite color cognac che il governo francese classificò come tesoro nazionale» e che Péray vendette per circa 250mila euro al Museo di storia naturale di Parigi (una spesa in gran parte sostenuta grazie all’aiuto dell’azienda petrolifera Total). Pare che avrebbe potuto venderlo per circa il doppio, ma che preferì accontentarsi dei 250mila euro, purché il suo cristallo restasse in Francia. «Fosse successo da noi, te l’avrebbero requisito», dice Lucianaz; che spiega che in Francia vale una sorta di implicito «patto d’onore» tra i cercatori e le istituzioni.
Il fortunato bottino di Péray rappresenta però un’eccezione. Molti cercatori cercano per hobby, e pochissimi – tra le poche decine di cercatori che sembrano ancora esserci dalle parti del Monte Bianco – riescono a vivere di questa attività. Il valore, ha scritto Outside, «dipende dalla forma, dal tipo di minerale e dalle sue condizioni» e secondo Péray «i cristalli che valgono decine di migliaia di euro sono molto, molto rari: se ne trova uno ogni dieci anni».
Tra le poche decine di cercatori ancora “in attività” (sul lato francese, dove la pratica è quantomeno tollerata), c’è Baud, che è di Fontainebleau, vicino a Parigi. È nato nel 1985 ed è quindi anche uno dei più giovani cercatori di cristalli della zona. Raccontò che si avvicinò alla pratica dopo aver letto diversi libri ed aver sviluppato una sorta di «ossessione per i minerali» e un certo fastidio per quello che definisce essere «l’alpinismo veloce, in cui l’unico obiettivo è la vetta». Baud – che ha scalato montagne in diversi continenti – dice che rimase affascinato dalla possibilità di fare «una caccia al tesoro, però senza mappa» e che per capire come fare recuperò i pochissimi libri sull’argomento, ma che più che altro iniziò a fare uscite con altri cercatori più esperti. Proprio Péray fu molto disponibile, ha raccontato.
Baud pratica la ricerca di cristalli in estate, per un paio di settimane l’anno: «non mesi e mesi come Péray», spiega. Finora ne ha trovati alcuni, e qualcuno lo ha usato per fare lampade o gioielli. «Ancora però non ne ho venduto nemmeno uno», dice. Baud parla di sé come di un cercatore amatoriale e dice che, una volta trovati i cristalli, prelevarli non è in genere difficile. Il difficile è trovare quella che definisce «un’area fertile», mettendo insieme indizi di vario genere. Anche lui, per i suoi attrezzi da cercatore dice di essersi arrangiato con un po’ di «bricolage» e un po’ di inventiva: per farsi un certo strumento, per esempio, ha usato una stampante 3D. Racconta poi che lui non lo fa, ma che da qualche tempo c’è anche chi prova a cercare tracce di possibili cristalli con i droni.
Secondo lui, dalle parti del Monte Bianco i cercatori di cristalli professionisti, che riescono a vendere i loro cristalli, sono giusto una decina. Spesso molto in competizione tra loro e parecchio gelosi delle loro tecniche e dei luoghi che scoprono. «Christophe è disponibile e aperto», dice, «ma molti altri non ti dicono niente». Baud è consapevole di operare, da cristallier, in quella che, legalmente, è una «zona grigia» e che comunque la ricerca di cristalli è cosa per pochi anche per la sua difficoltà: «è un gradino sopra rispetto all’alpinismo», sostiene. Qualora dovesse trovare un cristallo di valore, dice che proverebbe di certo a venderlo, ma che anche in quel caso avrebbe bisogno del parere di qualche esperto: per capire come e a chi venderlo, quali regole rispettare e quale strategia seguire, «come con le opere d’arte».
Baud dice anche che, quando qualche ospite o amico vede certi cristalli in casa sua, gli capita di dover spiegare la sua strana attività, e che sebbene sembrino intagliati i cristalli sono «completamente naturali». Gli piacciono, spiega, «perché sono mini-architetture, apparentemente caotiche e disordinate, ma esteticamente magici, perché guardandoli puoi capire la storia di come si sono creati», e perché «quando li guardi, vedi il tempo».
Seppur svolta da pochissime persone e soprattutto con metodi tradizionali, la ricerca di cristalli comporta pur sempre due problemi di tipo ambientale. Il primo ha a che fare con il fatto che, seppur poco e con cognizione, chi cerca cristalli modifica inevitabilmente la montagna, spesso in certe sue aree raramente raggiunte dall’uomo. Il secondo, semplicemente, è legato al fatto che ci sono ampi margini per dire che chi raccoglie cristalli sta pur sempre prelevando o strappando dalla roccia – per ammirarlo, venderlo o regalarlo a un museo – qualcosa che era lì da milioni di anni. Per qualcuno, prendere un cristallo non è molto diverso dal raccogliere fiori da un prato alpino, o dal portarsi a casa una conchiglia da una spiaggia.
Anche per questo, oltre che per la pericolosità della pratica, dalle parti del Monte Bianco continuano i discorsi sul fatto che la ricerca di cristalli possa eventualmente essere vietata in modo più esplicito.
Nel mondo, invece, continua la grande passione per certi cristalli iniziata qualche anno fa, e basata su certe credenze – senza alcuna prova scientifica – su una sorta di valore terapeutico di certi minerali. «Le formazioni minerali, che un tempo erano dominio esclusivo di certi circoli New Age, sono diventate mainstream», scriveva Fast Company nel 2017.
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Né Baud e né Lucianaz dicono di essere troppo preoccupati dalla possibilità che nuovi aspiranti cercatori si mettano, senza la necessaria esperienza, a cercare cristalli. Ed entrambi sono convinti che ci sono buone probabilità che, in un futuro non troppo lontano, la pratica e le relative conoscenze possano andare perdute. Intanto però, come ha scritto Outside, i cercatori di cristalli sono tra le pochissime categorie che possono beneficiare del cambiamento climatico: perché i ghiacciai, sciogliendosi, potrebbero aprire l’accesso a nuovi cristalli, finora inarrivabili.
Al momento, Baud – che l’anno scorso non è andato in cerca di cristalli per via dalla pandemia – si sta organizzando per andarli a cercare d’estate. Lucianaz, che qualche volta in montagna continua ad andarci, continua a occuparsi di mostre ed esposizioni di cristalli (una delle quali in una stazione di Skyway Monte Bianco) e di vetrine domestiche, anche solo per fare un po’ di ordine.
«In garage ho più di 200 scatole piene», dice.