La prima applicazione della sentenza Cappato sul suicidio assistito

Riguarda un 43enne tetraplegico marchigiano: un tribunale ha ordinato all'ASL di verificare se esistono le condizioni per accedere al suicidio assistito

Una manifestazione in favore della legalizzazione dell'eutanasia organizzata dall'Associazione Luca Coscioni nel 2018 (LaPresse - Andrea Panegrossi)
Una manifestazione in favore della legalizzazione dell'eutanasia organizzata dall'Associazione Luca Coscioni nel 2018 (LaPresse - Andrea Panegrossi)
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Il Tribunale di Ancona ha stabilito che l’azienda sanitaria delle Marche dovrà verificare le condizioni di un paziente 43enne tetraplegico che aveva richiesto l’accesso al suicidio assistito, per decidere se sussistono i criteri che rendono l’aiuto al suicidio non punibile. Il Tribunale lo ha deciso in attuazione della sentenza della Corte Costituzionale del 25 settembre del 2019 che aveva stabilito che non è sempre punibile chi aiuta una persona a suicidarsi: è la prima volta in Italia in cui un tribunale applica questa sentenza e non esclude a priori la possibilità che una persona faccia ricorso al suicidio assistito.

La decisione del Tribunale di Ancona arriva dopo il reclamo proposto da un 43enne marchigiano tetraplegico, immobilizzato da dieci anni per un incidente stradale e in condizioni irreversibili, che nell’agosto del 2020 aveva fatto richiesta per il suicidio assistito alla ASL. La ASL aveva respinto la richiesta, senza attivare le procedure indicate dalla sentenza della Corte Costituzionale, che stabiliva la verifica di alcune condizioni per poter accedere al suicidio assistito: che il paziente sia «tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale», che sia «affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che egli reputa intollerabili» e che sia «pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli».

L’uomo aveva presentato un’istanza al Tribunale di Ancona che il 26 marzo scorso aveva legittimato la posizione della ASL. Pur riconoscendo che il paziente aveva i requisiti previsti dalla Corte Costituzionale, per il Tribunale non era possibile obbligare l’ASL e gli operatori sanitari a garantire il diritto al suicidio assistito.

L’uomo aveva quindi presentato un reclamo, in seguito al quale il Tribunale di Ancona ha ribaltato la precedente decisione e ordinato alla ASL delle Marche di verificare che sussistano le condizioni perché il paziente possa accedere al suicidio assistito.

La sentenza della Corte Costituzionale
Nel settembre del 2019 la Corte Costituzionale si era espressa sul caso di Marco Cappato, il politico e attivista dell’associazione Luca Coscioni che era stato accusato – in base all’articolo 580 del codice penale – di avere aiutato a suicidarsi Fabiano Antoniani, più noto come dj Fabo, rimasto paralizzato e cieco dopo un incidente.

La Corte aveva stabilito che, a determinate condizioni, l’assistenza al suicidio non è punibile; e che la pratica di assistenza al suicidio non è equiparabile all’istigazione al suicidio (equiparazione che fa invece l’articolo 580 del codice penale). La sentenza non interveniva direttamente sul diritto al suicidio assistito, quindi, ma su chi sceglie di aiutare coloro che hanno deciso di morire. Indirettamente, però, la sentenza ammetteva il suicidio assistito in condizioni molto circoscritte, e chiamava in causa su questo tema il Servizio sanitario nazionale. Spetta quindi alle strutture sanitarie pubbliche verificare le condizioni in cui è ammesso il suicidio assistito.

Va precisato che il suicidio assistito non equivale all’eutanasia: nel suicidio assistito, infatti, il farmaco necessario a uccidersi viene assunto in modo autonomo dalla persona malata. Nell’eutanasia, invece, il medico ha un ruolo fondamentale: nell’eutanasia attiva somministra il farmaco, in quella passiva sospende le cure o spegne i macchinari che tengono in vita la persona. In Italia non ci sono leggi che regolamentino l’eutanasia attiva e il suicidio assistito, ma solo la sentenza della Corte Costituzionale sul caso Cappato. L’eutanasia passiva, invece, dal gennaio del 2018 è regolata dalla legge sul testamento biologico.