L’ornitorinco ci ha sempre mandati in crisi
La storia di come la classificazione di un animale «paradossale» creò dubbi e perplessità ai naturalisti europei per circa un secolo
Due delle caratteristiche più note degli animali appartenenti alla classe dei mammiferi, secondo una definizione abbastanza comune tra i non specialisti, sono che non depongono uova e che sono dotati di ghiandole mammarie. Tutti quelli placentati sono vivipari, animali il cui embrione si sviluppa protetto e nutrito nell’utero materno, con il quale è in rapporto attraverso la placenta. E poi ci sono anche mammiferi, i marsupiali, che seguono uno sviluppo embrionale diverso. Ma, in linea di massima, nessun mammifero depone uova. O quasi.
Pochi animali, tra quelli molto conosciuti, si adattano male alla sistematica zoologica e ai tentativi di classificazione rigorosa quanto l’ornitorinco, anche detto platipo, un piantagrane per definizione: mammifero oviparo. L’avvincente storia della sua categorizzazione – problematica fin dall’inizio – si concentra intorno alla soluzione di un enigma durato quasi un secolo, arrivata nel 1884 e oggi considerata un passaggio fondamentale nella trasformazione del modo in cui i naturalisti comprendevano la classificazione degli animali. Se ne è occupata, in un articolo recente, la rivista History Today.
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L’ornitorinco – un animale endemico del nord dell’Australia e della Tasmania – generò perplessità tra gli scienziati in Europa fin dalla prima volta in cui un esemplare morto arrivò in Inghilterra, nel 1798, inviato dal governatore dello stato australiano del New South Wales, John Hunter. Sconcertati da quel becco da anatra, dalla folta pelliccia e dai piedi palmati, alcuni di quei naturalisti inglesi dubitarono che quel corpo – conservato peraltro in non perfette condizioni – potesse essere di un “vero” animale. Sospettavano potesse trattarsi della creazione di qualche tassidermista giapponese, alcuni dei quali erano all’epoca già noti per certe produzioni di animali di fantasia ricavati dall’unione di code di pesce e teste di scimmia.
L’anno seguente, il botanico e zoologo inglese George Kearsley Shaw – che gli diede il nome Platypus anatius – riuscì a provare che si trattasse di un vero animale, ma ricerche più approfondite tra i naturalisti inglesi furono comunque ostacolate dal fatto che ci fosse poco su cui lavorare. L’esemplare arrivato dall’Australia era privo di organi interni, condizione che impediva uno studio dell’anatomia necessario per la classificazione tassonomica, all’epoca già basata sul metodo introdotto 40 anni prima dall’influente naturalista e accademico svedese Carlo Linneo e basato sulle somiglianze tra gli esseri viventi.
Secondo i cinque livelli proposti da Linneo per la classificazione (regno, classe, ordine, genere, specie), all’interno del regno animale esistevano sei classi, tra cui quella dei mammiferi, quella degli uccelli e quella di rettili e anfibi. Secondo le definizioni di Linneo, i mammiferi allattavano i neonati attraverso le ghiandole mammarie, avevano denti, respiravano attraverso due polmoni e avevano in genere quattro arti. Spesso erano ricoperti di peli e, in alcuni casi, avevano la coda. Gli uccelli invece deponevano uova coperte da un guscio di carbonato di calcio, e avevano le ali; non avevano orecchie esterne, né testicoli esterni, né utero, né diaframma toracico, né vescica. E gli anfibi deponevano uova membranose, di solito, e non avevano diaframma, e a volte avevano un «orribile veleno».
La classificazione di Linneo aveva molto senso, racconta History Today, ma aveva il grave limite di partire dall’assunto creazionista che tutti gli animali fossero sempre esistiti nelle loro forme attuali. Negando qualsiasi affinità causale tra specie diverse, quell’assunto rendeva arbitrarie le classificazioni e impossibile determinare se e quali caratteristiche fossero essenziali per una classe. Per cercare di venire a capo dell’enigma dell’ornitorinco, seguendo quell’approccio, ai naturalisti non restava altra strada se non quella di “pescare” e mettere insieme elementi qui e lì, dalle varie definizioni, o tirare completamente a indovinare su quale fosse il posto dell’ornitorinco nel creato.
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In teoria, per Shaw e per gli altri naturalisti inglesi, doveva essere un mammifero come bradipi, formichieri e altri mammiferi senza denti, considerata la presenza della pelliccia. Ma c’erano tante cose che non tornavano, e quell’animale continuava per certi versi a possedere caratteristiche di un pesce, di un uccello e di un quadrupede. E soprattutto non sembrava abbastanza simile a nessun altro animale in particolare. Nel 1800 il naturalista tedesco Johann Friedrich Blumenbach condusse uno studio ancora più rigoroso e, perplesso per la mancanza di ghiandole mammarie, ribattezzò quell’animale Ornithorhynchus paradoxus, che letteralmente significa “paradosso con naso da uccello”.
Due anni dopo, l’inglese Everard Home notò che l’ornitorinco maschio aveva testicoli interni, come i rettili, e una cloaca, cioè un unico orifizio in cui confluiscono gli apparati urinario, digestivo e riproduttivo. Questo distingueva l’ornitorinco dai mammiferi «in maniera straordinaria», scrisse Home, dal momento che all’epoca si riteneva che la cloaca fosse presente soltanto in rettili, anfibi e uccelli, e indicasse la caratteristica della deposizione delle uova.
A cambiare totalmente l’approccio alla tassonomia fu, nel 1809, la pubblicazione del libro Philosophie zoologique del naturalista francese Jean-Baptiste Lamarck, che descrisse gli esseri viventi come esseri in costante stato di cambiamento anziché statici. Non soltanto erano in grado di “acquisire” nuovi attributi in risposta a determinati fattori ambientali, ma potevano trasmetterli alla prole. Alcuni limiti di questo modello teorico, successivamente dimostrati dalle ricerche di Charles Darwin, non impedirono ai naturalisti di cogliere comunque la portata e le implicazioni degli studi di Lamarck: la possibilità che una varietà di animali, nel tempo, potesse trasformarsi in un’altra.
Anziché classificare gli animali pescando dalle varie definizioni, dopo Lamarck fu possibile non soltanto tracciare le trasformazioni degli animali nel tempo ma anche definire quali caratteristiche fossero distintive di una classe o di un ordine e quali no. Il naturalista francese Étienne Geoffroy Saint-Hilaire sostenne, a quel punto, che l’ornitorinco – data l’assenza di ghiandole mammarie – richiedesse di essere incluso in una classe del tutto nuova di vertebrati, che soprannominò monotremi (Monotremata), che significa “singolo orifizio”. Poco tempo dopo, nel tentativo di consolidare le affermazioni di Geoffroy Saint-Hilaire, l’anatomista tedesco Johann Meckel portò avanti altri studi sull’ornitorinco e finì invece per complicare ulteriormente le cose.
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Meckel scoprì che i maschi di ornitorinco avevano una ghiandola velenifera, solitamente attributo di rettili e anfibi, ma scoprì anche che, dopotutto, le femmine avevano ghiandole mammarie. E questo, agli occhi dei naturalisti, riportò di colpo l’ornitorinco a somigliare ai mammiferi molto più di quanto non lo fosse poco tempo prima. Nel 1832, lo scozzese Lauderdale Maule confermò le scoperte di Meckel sulle caratteristiche rettiliane degli ornitorinchi e attirò l’attenzione su altre caratteristiche tipiche dei mammiferi: sia la femmina che il maschio di ornitorinco avevano diaframma ed erano a sangue caldo.
Quell’insieme di caratteristiche sembrò alla maggior parte degli scienziati una contraddizione apparentemente irrisolvibile. Era quasi impossibile immaginare che una qualsiasi creatura potesse avere ghiandole mammarie funzionanti e potesse deporre uova: doveva essere o una cosa o l’altra, e questo avrebbe determinato l’appartenenza dell’ornitorinco ai mammiferi o a qualcos’altro. Diversi naturalisti formularono ipotesi incompatibili. Meckel era convinto che l’ornitorinco partorisse piccoli vivi, mentre Geoffroy Saint-Hilaire propendeva per la deposizione delle uova. Un altro naturalista, l’inglese Richard Owen, sosteneva che le uova rimanessero all’interno del corpo.
Serviva una prova, e che non provenisse da aborigeni e coloni australiani, che pure affermavano di aver visto ornitorinchi incubare le uova. Nel corso del tempo, per esperienze precedenti negative, i naturalisti avevano imparato a riporre poca fiducia in quel tipo di segnalazioni. Per risolvere l’enigma serviva identificare un uovo o, ancora meglio, catturare e uccidere una femmina incinta. Owen chiese quindi al curatore dell’Australian Museum, George Bennet, di sparare agli animali e analizzarli per provare a risalire a una risposta, ma la quantità di tentativi falliti di Bennet portarono presto Owen a temere che quell’attività potesse portare all’estinzione piuttosto che alla classificazione dell’animale.
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Fu il venticinquenne zoologo scozzese William Hay Caldwell, il 29 agosto 1884, dopo quattro mesi di ricerca trascorsi sulle coste nord orientali del Queensland, in Australia, a chiudere la partita e inviare quello che History Today definisce «il più importante telegramma mai scritto su un ornitorinco». Dopo essere riuscito a sparare a una femmina di ornitorinco, scoprì che non solo aveva deposto un uovo ma ne stava deponendo un altro quando era riuscito a catturarla. Lo aprì e trovò la risposta alla domanda che impegnava i naturalisti fin dal 1798.
Inviò quindi un messaggio al convegno annuale dell’Associazione britannica per l’avanzamento della scienza (British Association for the Advancement of Science), a Montréal. Diceva: «Monotremes oviparous, ovum meroblastic». In altre parole: gli ornitorinchi deponevano le uova, con tuorli grandi, come gli uccelli e i rettili. Ma, soprattutto, gli embrioni all’interno erano già molto sviluppati, con vertebre e cervelli differenziati, elemento che suggerì che le uova restavano nel corpo del genitore per qualche tempo prima di essere deposte e accudite. Dopo la schiusa delle uova, i cuccioli privi di pelo si aggrappano alla madre e vengono allattati.
La prova di Caldwell dimostrò che l’ornitorinco era indubbiamente un mammifero, ma appartenente a un ordine tutto suo, più primitivo degli altri. Quell’ordine doveva essersi diramato molto tempo prima dall’ultimo antenato comune di mammiferi e rettili, e aveva quindi sviluppato nuove caratteristiche distintive, senza perdere del tutto quelle del suo passato.