Il paradossale successo delle app di meditazione
Promettono di rilassare sfruttando gli stessi dispositivi responsabili di molte angosce, e con la pandemia stanno andando forte
Tra il 2020 e il 2021, la descrizione degli effetti della pandemia sulle economie di molti paesi si è spesso concentrata sull’impatto negativo che le restrizioni e i timori di contagio hanno avuto su attività commerciali di vari settori, dalla ristorazione al turismo. Una parte del racconto si è poi concentrata sulla crescita dei servizi che hanno invece apparentemente beneficiato dell’eccezionalità del contesto. Diversi giornali e siti di approfondimento si sono recentemente occupati dello straordinario successo delle cosiddette app di meditazione, da alcuni definito «paradossale» per la capacità di queste app di «monetizzare il non fare niente».
Calm, la più popolare app di meditazione e riposo, sviluppata da una società di San Francisco, contiene immagini, suoni e animazioni che dovrebbero favorire il rilassamento, migliorare la qualità del sonno e contribuire a ridurre la tensione e l’ansia. Per la lettura di molti testi inseriti nei programmi di rilassamento utilizza la voce di un’insegnante di meditazione canadese resa celebre dall’app, Tamara Levitt, ma anche le voci di personaggi famosi come Kate Winslet e Idris Elba. Da qualche tempo ha cominciato a offrire non soltanto meditazioni guidate ma anche canzoni e storie per aiutare le persone ad addormentarsi. Un’altra delle voci presenti è quella di Harry Styles, ex cantante degli One Direction e investitore di Calm.
È una app molto apprezzata tra i sostenitori del cosiddetto fitness mentale, è gratuita ma prevede anche abbonamenti premium da 57,99 euro all’anno, ed è stata scaricata oltre 100 milioni di volte da quando è stata distribuita nel 2012 su iOS e Android. I suoi due giovani fondatori ebbero l’idea dopo aver acquistato a metà degli anni Duemila il dominio calm.com, all’epoca in vendita all’asta. Una prima versione della app si chiamava “Do Nothing for Two Minutes” (non fare niente per due minuti). Oggi Calm produce anche contenuti lunghi, come “Baa Baa Land”, uscito nel 2017: un film di otto ore di pecore al pascolo in un campo, pubblicizzato come «il film più noioso di sempre» e una «cura definitiva per l’insonnia».
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Molte analisi concordano nel ritenere che la crescita economica delle app di meditazione non possa essere compresa se non inquadrandola nel contesto della pandemia. I download di Calm aumentarono di un terzo nei primi giorni della primavera 2020, durante il primo lockdown per molti paesi. «Per una parte significativa della popolazione, il posto in cui lavoriamo, quello in cui socializziamo e quello in cui ci rilassiamo sono stati schiacciati nello stesso unico spazio bidimensionale: i nostri schermi», ha scritto la giornalista americana Jenna Wortham, che si occupa di cultura per il supplemento settimanale del New York Times.
Secondo Wortham, prima della pandemia la giornata lavorativa di ciascuno di noi era piena di «pause naturali», tra corse sui mezzi pubblici e viaggi in auto, tempi morti in ascensore, chiacchiere in corridoio e alle macchine del caffè. Il lavoro da remoto, come ampiamente e più volte descritto anche da altri analisti, si è spesso tradotto in tempi più lunghi di lavoro ininterrotto. Le informazioni sulla pandemia, nel frattempo, hanno accresciuto paure e tensioni, e richiesto di comprendere concetti anche complessi di epidemiologia, contribuendo a innescare quella che Wortham ha definito «una crisi esistenziale per la classe dei colletti bianchi».
Le app di meditazione – oltre a Calm sono popolari anche Headspace, Fabulous, Rootd e Liberate – sono state scaricate da milioni di persone in cerca di una «tregua» dall’ansia per la pandemia. Ad aprile 2020 più di 2 milioni di utenti di Calm hanno pagato per attivare l’abbonamento annuale. Le partnership aziendali della società, ha raccontato a Wortham il dirigente di alto livello di Calm Alexander Will, sono cresciute del 100 per cento nell’ultimo anno, includendo partner come American Airlines e Uber, per offrire meditazioni durante i voli o i viaggi in auto. La promozione e il chiacchiericcio che si sono sviluppati intorno alla app hanno generato ulteriori 75 milioni di dollari da parte di venture capitalist, portando la valutazione della società sopra 2 miliardi di dollari.
Intervenendo nel dibattito attorno a Naomi Osaka – la popolare tennista giapponese che ha rifiutato di partecipare alle conferenze stampa del Roland Garros per ragioni legate alla sua salute mentale – Calm ha recentemente espresso solidarietà e sostegno alla tennista e ha detto che donerà 15 mila dollari (lo stesso importo della multa ricevuta da Osaka) a Laureus, un’organizzazione francese che si occupa di salute mentale nei giovani e nei bambini attraverso lo sport. Si è inoltre offerta di pagare anche le eventuali multe che altri atleti riceveranno in caso si rifiutino di partecipare alle conferenze degli altri tornei del Grande Slam del 2021 per motivi di salute mentale.
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Il presupposto di Calm e di altre app simili, secondo Wortham, è che non ci staccheremo mai dai nostri smartphone. Ai dispositivi che attualmente utilizziamo per lavorare, per interagire con gli altri, per sbrigare commissioni e quant’altro, abbiamo in sostanza cominciato a chiedere – utilizzando queste app di meditazione – di fornirci sollievo alle attività stressanti e alle situazioni ansiogene di cui quegli stessi dispositivi sono spesso la fonte primaria. «Tutti hanno una mente e tutti hanno uno smartphone, e questi sono problemi globali», ha sintetizzato Will. Il giudizio di Wortham sui possibili effetti a lungo termine di questa tendenza, definita come «uno dei più grandi paradossi del nostro tempo», è piuttosto preoccupato:
Il nostro attaccamento ai nostri dispositivi e a quello che ci vediamo sopra è spesso la causa della nostra angoscia. Scorrere all’infinito Netflix e controllare le notifiche dei social media non è solo un sottoprodotto della noia; è una funzione del design pensata per essere così persuasiva da sembrare urgente e impossibile da fermare. La tecnologia sta facendo più che catturare la nostra attenzione: sta estraendo tutti i dati che può ottenere da noi e li sta monetizzando.
Per Shoshana Zuboff, psicologa sociale e docente emerita all’Università di Harvard, questa tendenza rientra in un più ampio fenomeno di «capitalismo di sorveglianza», cioè la traduzione di esperienze umane private in dati comportamentali grezzi da poter vendere a inserzionisti desiderosi di anticipare le tendenze del mercato. E questo fenomeno, secondo Wortham, non farà che «aumentare le disparità salariali che già esistono nella Silicon Valley, riproducendo gerarchie razziali e di classe». App come Calm, conclude Wortham, pubblicizzano servizi di rilassamento – e ne traggono profitto – molto superiori a quelli che forniscono effettivamente.
Non esiste un unico modo o un modo corretto per meditare, ha scritto la giornalista Annie Lowrey in un articolo sull’Atlantic, ma l’idea generale – sostenuta da Calm e dalle altre app di meditazione – è usare il silenzio e la quiete esterni per «coltivare» il silenzio e la quiete interni, anche soltanto per pochi minuti. Una pratica abbastanza comune è quella di concentrarsi sul proprio respiro, senza pensare ad altro: una cosa «molto più difficile di quanto sembri», perché tendiamo naturalmente a proiettarci in avanti o a evocare momenti passati.
Secondo diversi studi la meditazione – un tipo di esercizio spirituale di cui esistono attestazioni risalenti al 1500 a.C. – può contribuire ad abbassare la pressione sanguigna, a migliorare le capacità di concentrazione e l’umore abbassando i livelli di cortisolo, l’ormone che – tra le altre cose – ci tiene svegli ma la cui produzione aumenta in condizioni di stress psicofisico.
Lowrey sostiene che il successo di Calm sia da inquadrare in un più ampio fenomeno di suggestione generazionale per il benessere, un’«ossessione» di molti geek e nerd –termini con cui si definiscono vari tipi di appassionati di tecnologia – nella Bay Area e in città come New York e Austin. Prima della pandemia, Calm contava su un esteso seguito di culto tra molti millennial della Silicon Valley, desiderosi di un posto in cui “staccare” completamente dal lavoro, fissati con il mangiare sano, fare yoga, ascoltare musica rilassante e suoni ambientali come la pioggia o le onde del mare. «È bastata una catastrofe globale perché prendesse piede anche con tutti gli altri», ha spiegato Lowrey.
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Parlando con i due fondatori di Calm, Michael Acton Smith e Alex Tew, Lowrey ha chiesto loro cosa ne pensassero del paradosso alla base di Calm, cioè il fatto che inviti le persone a «praticare la consapevolezza su questi piccoli schermi che uccidono la consapevolezza». Hanno risposto dicendo di essere consapevoli che gli schermi siano uno dei principali responsabili dello stress nelle società occidentali. «E poi arriviamo noi dicendo: “Usa lo smartphone per rilassarti!”», ha detto Acton Smith. «Lo comprendiamo, ma la realtà è che la tecnologia e i nostri telefoni non sono il problema. Sono strumenti, e quello che conta è come li utilizziamo», ha aggiunto, descrivendo la meditazione come uno dei modi per rafforzare anzi la consapevolezza di «quando, come e perché» utilizziamo lo smartphone.
Tew ha respinto le obiezioni, definendo Calm come una piattaforma «neutrale», non particolarmente ludica e che non crea dipendenza. «La proposta di valore fondamentale della app è basata sull’audio… non è diverso dall’avere un insegnante seduto nella stanza con te, solo che quell’insegnante può essere in milioni di case nello stesso momento», ha detto. Gli specialisti, conclude Lowrey, ritengono tuttavia che fare meditazione tramite app possa fornire un’esperienza superficiale, rispetto al lavoro di persona con un insegnante esperto. «Molte di queste app ti guidano attraverso una meditazione e basta», ha detto Emily Lindsay, psicologa dell’Università di Pittsburgh. «Non ci sono molte strutture che spieghino perché lo stai facendo, come potrebbe esserti utile e come prendere quelle abilità e trasferirle nella vita quotidiana, quando stai vivendo una situazione di stress».