Inizia il processo contro Aung San Suu Kyi
L'ex leader birmana rischia molti anni di carcere per varie accuse, che partono da reati minori e arrivano fino alla sedizione e alla corruzione
Lunedì è iniziato il processo contro Aung San Suu Kyi, la leader politica birmana che si trova agli arresti domiciliari dal primo febbraio, giorno in cui l’esercito del Myanmar prese il potere nel paese con un colpo di stato. Aung San Suu Kyi, che era stata arrestata insieme ad altri importanti esponenti del suo partito, verrà processata in un tribunale di Naypyidaw, la capitale del paese, inizialmente per reati minori come aver violato le restrizioni alle importazioni (importando illegalmente dei walkie-talkie), la legge sulle telecomunicazioni e le restrizioni sul coronavirus durante la campagna elettorale.
Martedì Aung San Suu Kyi tornerà poi in tribunale per rispondere dell’accusa di sedizione, di cui sono accusati anche l’ex presidente Win Myint e altri esponenti della NLD, e di aver violato la legge sulla gestione dei disastri naturali. I processi dovrebbero concludersi tra fine di luglio e la metà di agosto, e se Aung San Suu Kyi dovesse risultare colpevole potrebbe essere condannata a più di dieci anni di carcere.
A guidare il golpe era stato il capo delle forze armate birmane, il generale Min Aung Hlaing, che in seguito aveva assunto il ruolo di capo del governo, mentre l’ex generale Myint Swe, che dal 2016 era uno dei due vicepresidenti, era stato nominato presidente ad interim. Fino a quel momento Aung San Suu Kyi, vincitrice del Premio Nobel per la pace nel 1991, era di fatto capo del governo. Il colpo di stato era avvenuto nel giorno in cui si sarebbe dovuto riunire per la prima volta il nuovo Parlamento dopo le elezioni dello scorso novembre, vinte nettamente dalla Lega nazionale per la democrazia (NLD), il partito di Aung San Suu Kyi, e perse dal Partito per la solidarietà e lo sviluppo dell’Unione (USDP), sostenuto dai militari.
Ci sono altre due gravi accuse nei suoi confronti, per cui non è stato ancora fissato l’inizio del processo: la giunta militare l’ha infatti accusata di aver accettato un pagamento illecito di 600mila dollari (circa 500mila euro) e più di 11 chilogrammi d’oro, e di aver violato violato una legge sui segreti di Stato risalente all’epoca coloniale. Per l’accusa di corruzione potrebbe rischiare fino a 15 anni di carcere, mentre per quella di rivelazione di segreti di Stato fino a 14 anni. Giovedì scorso, inoltre, la giunta militare ha aperto altre nuove indagini per corruzione nei suoi confronti, per il presunto uso improprio di alcune terre di competenza della Daw Khin Kyi Foundation, un’associazione di beneficenza di cui Aung San Suu Kyi era la responsabile.
Dal giorno del colpo di stato non si aveva nessuna notizia di Aung San Suu Kyi, né sul suo stato di salute, ma lo scorso 24 maggio aveva fatto la sua prima apparizione pubblica in tribunale durante un’udienza preliminare del processo, apparentemente in buona salute, secondo i suoi avvocati.
Dal giorno del colpo di stato in Myanmar ci sono state grandi manifestazioni di protesta e numerosi scontri con la polizia e l’esercito. Il 27 marzo l’esercito aveva cercato di dissuadere i manifestanti dal protestare avvertendo sulla televisione nazionale che avrebbero potuto essere colpiti da spari alla testa e alle spalle. Le manifestazioni si erano svolte lo stesso, e l’esercito aveva reagito con grande violenza: si stima che solo in quel giorno siano state uccise 114 persone in tutto il paese. L’Assistance Association for Political Prisoners Burma (AAPPB), associazione per l’assistenza ai prigionieri politici birmani, ha detto che in tutto finora sarebbero stati uccisi 860 manifestanti.
Venerdì Michelle Bachelet, Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, ha detto che le violenze da parte dell’esercito birmano stanno continuando e stanno aumentando sempre di più. Secondo Bachelet non sarebbe stato fatto nessuno sforzo per ridurre le violenze, contrariamente agli impegni assunti dai militari con l’Associazione delle nazioni del Sudest asiatico (ASEAN). «In poco più di quattro mesi, il Myanmar è passato dall’essere una fragile democrazia a una catastrofe per i diritti umani. La giunta militare è la sola responsabile di questa crisi e deve risponderne», ha detto Bachelet.
Il ministero degli Esteri del Myanmar ha risposto criticamente a Bachelet dicendo che nelle sue dichiarazioni «non ha menzionato né condannato gli atti di sabotaggio e terrorismo commessi da associazioni illegali e da gruppi terroristici». A maggio la giunta militare aveva accusato i membri dell’ex governo di unità nazionale di essere un’associazione terroristica, e di essere dietro a diversi attacchi compiuti contro i militari in questi mesi.
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