Di cosa si parla al G7
Soprattutto di un grande piano per contrastare la Cina, della lotta alla pandemia e, a margine, delle conseguenze di Brexit
Domenica è l’ultimo giorno dei lavori del G7 di Carbis Bay, in Cornovaglia, nel Regno Unito, dove i leader di sette delle democrazie più ricche e potenti del mondo sono riuniti da venerdì: è il primo G7 del presidente degli Stati Uniti Joe Biden, oltre che il primo del presidente del Consiglio Mario Draghi, e i leader si sono impegnati molto per dare l’impressione che tutto sia tornato alla normalità, dopo gli anni turbolenti e i rapporti conflittuali che avevano caratterizzato la presidenza di Donald Trump.
Al G7 di quest’anno hanno partecipato i leader di Stati Uniti, Germania, Regno Unito, Giappone, Francia, Canada e Italia, più una delegazione dell’Unione Europea. I temi principali sono stati il contrasto all’espansionismo del regime cinese e la lotta contro la pandemia da coronavirus, ma una parte consistente del dibattito è stata monopolizzata dalle discussioni su Brexit tra Boris Johnson, il primo ministro britannico, e i leader dei paesi dell’Unione Europea.
– Leggi anche: Biden ha molto lavoro da fare in Europa
Contro la Cina
L’argomento più discusso è stato certamente il tentativo di Biden di convincere i leader del G7 a mettere in atto una politica più dura e aggressiva per limitare la crescente influenza economica e politica della Cina. Gli Stati Uniti hanno annunciato, in anticipo sul comunicato conclusivo dell’incontro, che i leader del G7 hanno trovato un accordo su un piano di «competizione strategica» con la Cina, che dovrebbe prevedere ampi investimenti per la costruzione di infrastrutture nei paesi a basso e medio reddito «dall’America Latina ai Caraibi all’Africa all’Indo-Pacifico» (Indo-Pacifico è una definizione usata da qualche anno dalle amministrazioni americane per indicare le nazioni tra Asia meridionale e Oceania, che hanno interessi comuni nel contrastare la Cina).
Il piano è una risposta molto esplicita alla Belt and Road Initiative (BRI), il grande progetto di investimenti infrastrutturali in Asia, Africa ed Europa annunciato nel 2013 dal presidente Xi Jinping, che da diversi anni è il principale strumento del regime cinese per guadagnare influenza economica e prestigio politico in moltissimi paesi più poveri.
Il piano del G7 sarà annunciato ufficialmente alla fine dell’incontro, ma sabato sera la Casa Bianca ha diffuso un comunicato in cui ne sono descritti gli elementi principali. Anzitutto il nome, che non è chiaro se sia o meno provvisorio, e che per la Casa Bianca è Build Back Better World (B3W), un chiaro rimando al piano infrastrutturale che Biden ha presentato negli Stati Uniti, e che si chiama Build Back Better.
Il piano prevede di «mobilitare» centinaia di miliardi di dollari di investimenti sia privati sia pubblici nella costruzione di infrastrutture per i paesi più poveri, con l’obiettivo di creare partnership strategiche stabili e durature. I progetti dell’iniziativa saranno concentrati su «cambiamento climatico, salute, tecnologia digitale, uguaglianza di genere».
Il contrasto con la BRI è piuttosto evidente non soltanto nelle intenzioni del piano, ma anche nei contenuti: la Casa Bianca ha sottolineato che i progetti e gli investimenti avranno standard molto alti e saranno caratterizzati da una governance trasparente.
La Cina, al contrario, in passato è stata molto criticata proprio perché tramite la BRI ha finanziato numerosi progetti senza badare troppo a efficacia e sostenibilità, e soprattutto perché ha gettato molti paesi nella cosiddetta “trappola del debito”: ha concesso cioè enormi prestiti a paesi dalle finanze fragili, che poi non sono stati in grado di ripagare. Secondo l’Economist, soltanto in Africa la Cina ha distribuito 145 miliardi di dollari di prestiti, in gran parte legati a progetti della BRI.
Il problema principale dell’annuncio del B3W è che è molto vago sulla provenienza dei finanziamenti per il progetto. Mentre la Cina fin dal 2013 aveva promesso decine di miliardi di dollari in finanziamenti e prestiti, per ora la Casa Bianca ha parlato di «catalizzare» gli investimenti da parte del settore privato, ha citato diversi progetti di cooperazione internazionale già esistenti e ha scritto che l’amministrazione Biden lavorerà con il Congresso per espandere gli strumenti di aiuto allo sviluppo. Gli altri leader del G7 per ora non hanno fatto commenti in proposito.
– Leggi anche: Cosa farà Biden con la Cina?
Vaccini e pandemia
Un altro tema di cui si è parlato molto, soprattutto nelle fasi iniziali del G7, è il contrasto alla pandemia da coronavirus. I leader hanno discusso un piano, per ora abbastanza vago, per combattere la pandemia attuale e «fare in modo che la devastazione provocata dal coronavirus non si ripeta mai più».
La parte più importante del piano è un annuncio con il quale i leader del G7 si impegnano ad accelerare in maniera piuttosto decisa le fasi di sviluppo e di produzione di vaccini, di terapie e di test diagnostici in caso di una nuova pandemia: il G7 ha parlato di «missione dei 100 giorni» perché bisognerebbe lavorare per avere vaccini pronti per essere esportati su scala globale, terapie efficaci e un sistema di test diagnostici 100 giorni dopo la dichiarazione di pandemia da parte dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS).
I paesi membri del G7 si sono inoltre impegnati, mettendo assieme annunci fatti nelle scorse settimane, a donare nel complesso un miliardo di dosi di vaccini contro il coronavirus ai paesi più poveri. Si tratta comunque di una piccola parte degli 11 miliardi di dosi che secondo l’OMS sono necessari per fare in modo che la popolazione mondiale sia vaccinata almeno al 70 per cento.
Clima e tasse
I leader hanno parlato anche di cambiamento climatico: tutti hanno ribadito che rispetteranno gli impegni sulla riduzione delle emissioni previsti dall’accordo di Parigi, e l’unico annuncio atteso riguarda un impegno a limitare fortemente l’utilizzo di centrali a carbone per produrre energia elettrica, a meno che non abbiano sistemi di cattura delle emissioni. I leader del G7 dovrebbero inoltre approvare finanziamenti per ridurre l’utilizzo di centrali a carbone anche nei paesi a basso reddito.
Un altro tema dell’incontro è l’imposizione di una tassa globale sulle multinazionali: i leader firmeranno un accordo comune, ma anche in questo caso il patto era già stato siglato la settimana scorsa dai ministri delle Finanze dei sette paesi coinvolti. In ogni caso, affinché la tassa globale abbia un qualche effetto, dovrà essere approvata nei prossimi mesi in sede di G20.
– Leggi anche: L’accordo di Parigi sul clima, spiegato facile
Le salsicce
Gli scontri tra Boris Johnson e i leader dei paesi dell’Unione Europea, che sono stati definiti dai media come “guerra delle salsicce”, hanno occupato una parte consistente della copertura mediatica del G7. Il problema principale riguarda il fatto che, in base agli accordi di Brexit, a partire dall’1 luglio le aziende della Gran Bretagna (intesa come l’isola di Inghilterra, Scozia e Galles) non potranno più esportare carichi di carne refrigerata verso l’Irlanda Del Nord, l’unico pezzo del Regno Unito che è rimasto nel mercato comune europeo.
L’entrata in vigore di questo divieto – diretta conseguenza della decisione del primo ministro Boris Johnson di lasciare l’Irlanda del Nord all’interno del mercato unico e dell’unione doganale europea, con l’obiettivo di non costruire una nuova frontiera fra l’Irlanda, che fa parte dell’Unione Europea, e l’Irlanda del Nord, che invece fa parte del Regno Unito – era ben nota fin dai tempi della firma degli accordi su Brexit, ma adesso Johnson sostiene che si tratti di regole «draconiane», e ha minacciato di sospendere la parte degli accordi che riguarda l’Irlanda del Nord, mentre gli europei hanno risposto minacciando sanzioni.
Joe Biden, nei vari incontri bilaterali di questi giorni, ha cercato di mediare tra le parti, per ora con scarsi risultati.
– Leggi anche: Unione Europea e Regno Unito litigano sulle salsicce