Chi è il prossimo primo ministro di Israele
Si chiama Naftali Bennett, è piuttosto noto in Israele e ben poco all'estero: viene dalla destra radicale ma non è il tipico leader religioso
A meno di sorprese, domenica Israele avrà un nuovo primo ministro per la prima volta dopo dodici anni. A circa tre mesi dalle ultime elezioni politiche, le quarte nel giro di un anno, i partiti di opposizione al Likud del primo ministro uscente Benjamin Netanyahu formeranno una eterogenea maggioranza di governo guidata da Naftali Bennett, una delle facce più note negli ambienti della destra radicale israeliana ma praticamente sconosciuto all’estero.
«A dire la verità non lo conoscono nemmeno gli israeliani», ha spiegato al Washington Post Oded Revivi, sindaco della colonia israeliana di Efrat, in Cisgiordania. Da molti osservatori della politica israeliana, infatti, Bennett è considerato un personaggio dalle molte contraddizioni, e difficilmente inquadrabile: soprattutto in un ruolo di responsabilità che non ha mai ricoperto – in passato è stato ministro varie volte, ma mai in posizioni apicali – e a capo di un governo mai visto, che tiene insieme l’estrema destra con la sinistra laica.
Bennett sarà il primo primo ministro nella storia di Israele a identificarsi come ebreo praticante e a portare la kippah, il copricapo indossato dagli ebrei più ortodossi (che Bennett tiene attaccata alla nuca con del nastro biadesivo); eppure non frequenta moltissimo la sinagoga, è sposato con una donna non religiosa e vive in un sobborgo di Tel Aviv, cioè una delle città più progressiste del paese. Ma le contraddizioni nella sua biografia non si fermano qui.
Bennett è nato ad Haifa da genitori statunitensi di origine ebraica. Dopo gli studi in una scuola religiosa e una discreta carriera nell’esercito studiò legge ed economia all’università ebraica di Gerusalemme e si trasferì nella colonia di Bet Arye, dove però rimase per pochi mesi. Nel 1999 fondò una startup che si occupava di sicurezza informatica, Cyota, e si trasferì negli Stati Uniti. Cyota si rivelò un discreto successo e nel 2005 fu venduta per 145 milioni di dollari. Bennett aveva 33 anni ed era già milionario: decise quindi di tornare in Israele per dedicarsi alla politica.
Per un po’ fu il capo di gabinetto di Netanyahu, che allora era il leader dell’opposizione al governo di Ehud Olmert. Bennett fu licenziato dopo un anno e mezzo dopo aver litigato con la moglie di Netanyahu, Sara; da allora è rimasto in pessimi rapporti con Netanyahu e il suo circolo. Fu licenziato anche dal suo incarico successivo come capo del Mo’etzet Yesha, la più nota e influente organizzazione che riunisce le amministrazioni delle colonie in Cisgiordania. Bennett non era molto a suo agio nell’avere a che fare con leader religiosi, e loro non vedevano di buon occhio il suo crescente protagonismo: fu cacciato dopo aver partecipato a una protesta di movimenti di sinistra a Tel Aviv.
Bennett allora si mise a capo di un vecchio partito della destra religiosa, la Casa Ebraica, e riuscì a portarlo al 9 e al 6 per cento nelle due successive elezioni, nel 2013 e nel 2015. Per Bennett fu un periodo di grande attivismo politico: per sei anni fu ininterrottamente al governo ricoprendo vari ruoli, fra cui quello di ministro dell’Istruzione, dell’Economia e dei Servizi religiosi, cercando di occupare lo spazio politico a destra di Netanyahu e del Likud con dichiarazioni e gesti sempre più eclatanti.
Da ministro dell’Istruzione cancellò dai programmi scolastici un romanzo per ragazzi incentrato sulla storia d’amore fra una donna ebrea e un arabo, proibì al gruppo pacifista di ex soldati Breaking the Silence di tenere conferenze nelle scuole e si vantò più volte di avere ucciso «molti arabi» durante i suoi anni nell’esercito (pur presentandosi in pubblico sempre in giacca e cravatta, e parlando spesso della sua carriera da imprenditore).
Il New York Times ricorda inoltre che nel 2016, il giorno dopo la vittoria di Donald Trump alle elezioni presidenziali negli Stati Uniti, Bennett dichiarò davanti a un gruppo di giornalisti stranieri che era finita «l’era di uno stato palestinese». Bennett sostiene apertamente la necessità di occupare militarmente gran parte della Cisgiordania, una promessa fatta negli ultimi anni da più parti della destra israeliana, e mai applicata.
– Leggi anche: La storia dell’Operazione Salomone
Bennett ha mollato Netanyahu soltanto l’anno scorso, accusandolo soprattutto di avere gestito male la pandemia. Alle elezioni del 2021 il suo nuovo partito Yamina – il quinto in 14 anni di carriera politica – ha raccolto un discreto risultato ottenendo 7 seggi su 120 e soprattutto lo status di ago della bilancia nella Knesset, il parlamento israeliano.
In campagna elettorale Bennett aveva promesso sia di non governare con la sinistra o con i partiti che rappresentano gli arabi israeliani, sia di non appoggiare un governo guidato da Netanyahu; alla fine ha rispettato soltanto la seconda, pretendendo per sé la carica di primo ministro in cambio del suo appoggio a un governo di cui fa parte anche Meretz, lo storico partito della sinistra laica israeliana, e con l’appoggio esterno di Ra’am, un partito conservatore formato da arabi israeliani. In cambio dei voti di Yamina, gli altri partiti hanno accolto la richiesta di Bennett di diventare primo ministro, con l’accordo esplicito che rimarrà in carica per due anni: nei due anni successivi toccherà invece a Yair Lapid, leader del partito centrista Yesh Atid, arrivato secondo alle ultime elezioni.
In un lungo profilo pubblicato su Haaretz, il giornalista Anshel Pfeffer scrive che secondo le sue fonti diverse persone intorno a Bennett lo descrivono come molto più moderato di come appare dalle sue dichiarazioni: «basta aspettare che Netanyahu si tolga di mezzo e avrà un po’ di margine in più» per spostarsi al centro, ha raccontato uno di loro.
Non tutti ne sono convinti, tra gli elettori israeliani. «Una volta aveva posizioni di destra. Ora sta con gli arabi», ha raccontato al Washington Post Yaki Alon, che gestisce una pizzeria nella colonia dove Bennett ha abitato per qualche mese, Bet Arye. Alaa Abu Yaas, che ha un negozio di alimentari nel vicino villaggio palestinese di Lubban, non vede invece grosse differenze fra Bennett e Netanyahu: entrambi sono a favore dell’occupazione israeliana in Cisgiordania.