I rabdomanti continuano a cercare l’acqua

Breve storia di una pratica suggestiva e priva di fondamento scientifico, sopravvissuta nei secoli e apprezzata ancora oggi

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Un rabdomante nella sua tenuta a Tindarey, nel New South Wales, in Australia, il 21 febbraio 2019 (Jenny Evans/Getty Images)
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Nel 2017 un’indagine avviata dalle ricerche di una biologa e youtuber inglese, Sally Le Page, portò a scoprire che la maggior parte delle principali società idriche del Regno Unito – almeno dieci – ammetteva la rabdomanzia tra le pratiche impiegate per individuare la presenza di acqua nel sottosuolo. La biologa ne era venuta a conoscenza casualmente, quando i genitori avevano avuto bisogno di installare un nuovo tubo dell’acqua nella rete domestica. Dopo essersi rivolti a una delle aziende più note, i Le Page avevano ricevuto in casa un tecnico incaricato che, prima di iniziare qualsiasi lavoro, aveva cominciato ad aggirarsi nella loro abitazione reggendo in mano, in parallelo, due bacchette metalliche a forma di L.

La rabdomanzia – una parola composta dall’unione di due parole greche che significano “verga” e “divinazione” – è una pratica con origini piuttosto lontane nel tempo ma considerata oggi una forma di divinazione, dopo che numerosi studi condotti nel corso degli anni hanno appurato la mancanza di riscontri validi ad accreditarla come una tecnica scientifica. Generalmente, i rabdomanti affermano che le bacchette si incrocino in presenza di acqua corrente sotto il suolo calpestato, individuando in questo modo il luogo migliore per scavare per esempio un pozzo freatico (che sfrutta pompe artificiali) o artesiano (che porta naturalmente l’acqua in superficie) per irrigare un campo.

Pratiche simili sono state impiegate in passato – e alcune lo sono ancora oggi – per localizzare anche metalli sepolti, petrolio, pietre preziose o altri oggetti. Lo strumento alternativo alle bacchette metalliche è un ramoscello biforcuto, a forma di Y, che è anche lo strumento più antico e più noto, quasi sempre presente nell’iconografia classica del rabdomante. Viene solitamente impugnato per i rami laterali rivolgendo in avanti la terza estremità, quella che oscillerebbe nelle vicinanze dell’oggetto ricercato, stando alla teoria sostenuta dai rabdomanti.

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Huey, Illinois, 7 agosto 2012 (AP Photo/Seth Perlman)

«Non è una tecnica, è stregoneria», disse al Guardian Christopher Hassall, professore associato di biologia all’Università di Leeds, sentito a proposito della rabdomanzia in uso tra le società idriche del Regno Unito nel 2017. «È come usare l’omeopatia o il reiki [una pratica spirituale] per il servizio sanitario nazionale», aggiunse. Un portavoce dell’associazione nazionale delle società idriche tentò di ridimensionare quella storia, definendola un’eccezione a fronte di investimenti di milioni di sterline compiuti ogni anno dalle aziende per migliorare i sistemi di rilevamento delle perdite d’acqua.

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Tracce storiche della rabdomanzia nel senso in cui è intesa oggi si ritrovano fin dal XVI secolo, in Germania, dove era utilizzata nelle miniere per individuare falde metalliche e strati di carbone. Fu successivamente importata in Inghilterra da mercanti avventurieri e introdotta nelle miniere della Cornovaglia, prima che il suo uso venisse esteso alla ricerca dell’acqua nel sottosuolo, uso di cui esiste una prima documentazione risalente al 1586.

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A seconda dell’epoca e del contesto, la rabdomanzia ha suscitato sentimenti alterni tra le autorità, comprese quelle religiose, alcune delle quali ricondussero da subito questa pratica a un influsso “diabolico”. Nel 1518 il teologo tedesco Martin Lutero, padre della riforma protestante, la considerò una pratica equiparabile all’occultismo. Ma nel sud della Francia, circa un secolo dopo, la stessa pratica fu utilizzata per rintracciare criminali ed eretici, prima che il suo abuso portasse l’Inquisizione a vietarne l’impiego per finalità di giustizia, nel 1701.

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Un contadino in una fattoria del Devon, nella penisola di Cornovaglia, in Inghilterra, nel 1942 (Imperial War Museum, CC0, via Wikimedia Commons)

In tempi storici più recenti la rabdomanzia è stata associata ad altre pratiche come la radioestesia, un termine più generico che comprende qualsiasi presunta sensibilità alle radiazioni che sarebbero emanate da oggetti nascosti. Le radiazioni sarebbero percepibili tramite le vibrazioni della bacchetta – come nel caso della rabdomanzia – oppure tramite le oscillazioni di un pendolo. Oggi, la maggior parte dei ricercatori concorda sul fatto che tutti gli eventuali successi sperimentati dai rabdomanti siano da attribuire al caso, e che le oscillazioni dei loro strumenti siano provocate da “effetti ideomotori”, lo stesso genere di movimenti muscolari inconsci coinvolti nell’utilizzo della tavola Ouija, uno strumento usato per le sedute spiritiche.

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In un video pubblicato sul sito Ars Technica nel 2019, il giornalista e divulgatore scientifico John Timmer si soffermò sugli aspetti che, nonostante ogni evidenza scientifica avversa, rendono il lavoro dei rabdomanti facilmente credibile da persone disposte a pagarlo. I rabdomanti ottengono spesso buoni risultati perché, dopo tutto, a seconda della profondità a cui si scava, c’è una probabilità più o meno alta di trovare acqua in determinati terreni.

Un’idea piuttosto comune tra le persone, sostiene Timmer, è che l’acqua nel sottosuolo, ove presente, lo sia sotto forma di torrenti sotterranei localizzati in determinati punti: «ma le acque sotterranee non si presentano quasi mai in questo modo». È più utile immaginare un secchiello colmo di sabbia in cui sia poi versata un po’ d’acqua, spiega Timmer: a prescindere dal punto in cui si andrà a inserire una cannuccia in quel secchiello, in qualche modo sarà sempre possibile estrarre dell’acqua. Ed è questo il “trucco” dei rabdomanti, che ne siano o no consapevoli loro stessi: quando si tratta di trovare l’acqua, in determinati terreni, un punto vale l’altro. «È come pagare qualcuno per sapere quale finestra occorra aprire in ufficio per fare entrare un po’ d’aria».


Viene spesso citato a proposito di rabdomanzia un controverso esperimento condotto nel 1987 a Monaco di Baviera, in Germania, in cui furono reclutati 500 sedicenti rabdomanti. L’esperimento prevedeva che venisse pompata acqua attraverso un tubo al piano terra di un fienile a due piani, ma prima di ogni prova il tubo veniva spostato in una nuova posizione. A ciascun rabdomante, al piano di sopra, veniva chiesto di determinare di volta in volta la posizione del tubo. Secondo gli organizzatori, l’esperimento provò lo «straordinario successo empirico» di sei rabdomanti, e quindi la fondatezza della rabdomanzia.

Ciò che i dati dell’esperimento di Monaco mostrarono fu esattamente il contrario: erano stati selezionati soltanto i risultati di pochi rabdomanti che avevano avuto casualmente successo, e scartati quelli di tutti gli altri rabdomanti, ritenuti in seguito non abbastanza «qualificati». Gli organizzatori, spiega Timmer, erano incappati nella cosiddetta fallacia del cecchino texano: «è come sparare 100 proiettili a caso sulla parete esterna di un fienile, individuare un gruppo più ristretto di fori creati sulla parete e disegnarci intorno un bersaglio».

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Le ragioni per cui la rabdomanzia – per quanto screditata da tutte le più autorevoli agenzie e organizzazioni scientifiche mondiali – sia ancora diffusa sono da rintracciare, secondo Timmer, nell’esperienza che alcune di quelle persone hanno accumulato nel corso degli anni attraverso la valutazione abituale di parametri idrogeologici secondari, cioè dati che non riguardano affatto la rabdomanzia in senso stretto. Una volta individuato un terreno con delle falde acquifere presenti, sulla base di mappe geologiche e altre informazioni utili, non c’è modo di non trovare l’acqua.

L’esperienza dei rabdomanti nella pratica di cercarla, al di là dei metodi utilizzati, li rende insomma generalmente efficaci per questo tipo di lavori, e per questo spesso apprezzati da chi ha bisogno di individuare il punto migliore nel proprio terreno per costruire un pozzo.

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Un rabdomante al lavoro nella tenuta di un’azienda vinicola a St. Helena, in California (AP Photo/Eric Risberg)

È per questo motivo che i rabdomanti godono in alcuni casi di buona reputazione e persino riconoscimenti da parte di alcune autorità locali. Dopo la pubblicazione dell’articolo sulla rabdomanzia utilizzata dalle società idriche nel Regno Unito, nel 2017, il Guardian ricevette e pubblicò diverse lettere polemiche da parte di lettori che in passato avevano avuto esperienze positive con i rabdomanti. Un architetto di Londra specificò inoltre che il professionista da lui interpellato per alcuni lavori non aveva nemmeno richiesto un pagamento a fronte della prestazione: chiese piuttosto di fare una donazione alla British Society of Dowsers, l’ente britannico di beneficenza fondato nel 1933 per «incentivare lo studio e migliorare la conoscenza della rabdomanzia in tutte le sue forme tra i suoi membri e tra il pubblico».

Commentando i rischi del dare troppo credito ai rabdomanti, il docente di neuroscienze e blogger del Guardian Dean Burnett scrisse: «se vedi qualcuno che riconosci come uno che ne sa più di te fare qualcosa che tu ritenevi essere una sciocchezza, come risolvi questa dissonanza? O metti in dubbio il tuo giudizio e le tue decisioni, cosa che al nostro cervello proprio non piace fare, oppure concludi che forse quella cosa non è poi una sciocchezza. E una volta che lo hai fatto con una cosa, dopo aver ragionato sul fatto che quello che ci hanno detto sulla scienza e sulla logica non è necessariamente corretto, perché fermarti qui? Magari la Terra è piatta! Magari Bigfoot esiste!».

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