Il futuro con gli anziani
Si prevede che tra vent'anni un italiano su tre avrà più di 65 anni, perciò serve pianificare, ripensare e investire nell'assistenza
Ida Zoccarato abita a Ponte di Brenta, un piccolo comune in provincia di Padova, è nata nel 1909 e nella sua lunga vita ha visto entrambe le guerre mondiali, l’epidemia di influenza spagnola del 1918 e quella da coronavirus. Il 24 maggio ha compiuto 112 anni. In un’intervista al Mattino di Padova, il figlio Pietro Nostran, che di anni ne ha 77, ha detto che la madre è una donna forte, nonostante l’età: lo scorso ottobre, dopo un infarto, è risultata positiva al coronavirus, ma è riuscita a guarire. Di recente è stata vaccinata e a 112 anni continua a mantenere molte abitudini, soprattutto a tavola: le piacciono il baccalà, la pancetta, il cotechino con la verza.
Da qualche anno Zoccarato vive con il figlio perché a quell’età è molto difficile essere autonomi. «Io e mia sorella Eda di case di riposo non vogliamo sentir parlare: la mamma ha fatto così tanto per noi che il minimo è restituirle qualcosa, adesso», ha spiegato il figlio. Decine di migliaia di famiglie italiane sono nella stessa situazione. In Italia ci sono sempre più anziani e ce ne saranno sempre di più nei prossimi anni, con conseguenze che interessano l’economia, l’occupazione, la politica e la vita sociale delle persone: per assistere un numero sempre maggiore di anziani servono investimenti a lungo termine e disponibilità, non solo economiche, da parte delle famiglie.
Secondo l’Istat, il fenomeno dell’invecchiamento della popolazione è ormai un processo ineludibile in quasi tutti i paesi sviluppati, compresa l’Italia. I dati elaborati dall’istituto nazionale di statistica dicono che fino ai primi anni Sessanta la quota di popolazione con più di 65 anni era inferiore al 10 per cento del totale e che questa percentuale ha continuato a crescere fino a superare il 20 per cento nel 2007, mentre secondo le ultime rilevazioni ha raggiunto il 23 per cento. Per il futuro si stima che la quota di persone con più di 65 anni crescerà fino al 33 per cento tra il 2040 e il 2045.
Questa mappa mostra la percentuale di persone con più di 65 anni in ogni comune italiano. I dati dell’Istat aiutano a capire nel dettaglio quali sono i territori che hanno una maggiore prevalenza di anziani. Si notano percentuali elevate nei comuni di alcune zone come l’entroterra ligure, l’Umbria e il Molise, la Basilicata e la Sardegna.
L’aumento della percentuale di anziani sul totale della popolazione è dovuto principalmente a due cause: l’allungamento delle aspettative di vita e la bassa natalità. Oltre al calo delle nascite, di cui si è parlato molto negli ultimi mesi, il peggioramento delle prospettive economiche dovuto agli effetti dell’epidemia potrebbe causare una diminuzione del tasso migratorio che negli ultimi vent’anni ha attenuato il problema della bassa natalità, come sottolineato nell’ultima relazione annuale della Banca d’Italia.
Ma non preoccupa solo il futuro demografico. Secondo molti esperti, gli effetti dell’epidemia avranno conseguenze anche sulle condizioni di vita degli stessi anziani. In un recente studio pubblicato dall’Istituto superiore di sanità (ISS) si legge che con l’isolamento e le restrizioni «la perdita di autonomia nelle attività della vita quotidiana rischia di diventare più velocemente irreversibile». La limitazione dei contatti e le condizioni di isolamento hanno già causato un aumento del rischio di cadute, mentre la sospensione di molte visite ritenute non indispensabili ha limitato l’accesso ai servizi sociosanitari dedicati agli anziani e quindi la prevenzione di possibili malattie.
Nel campione di oltre 1.200 interviste realizzate dall’ISS tra persone con più di 65enni, una quota rilevante, il 54%, ha dichiarato di aver rinunciato ad almeno una visita medica o a esami di cui avrebbe avuto bisogno. In particolare, il 28% ha dovuto rinunciare per sospensione del servizio mentre il 16% lo ha fatto volontariamente per timore del contagio, mentre una quota pari all’10% di anziani ha rinunciato per altri motivi. «L’impatto che le restrizioni hanno avuto sugli anziani è particolare proprio in relazione alla più frequente situazione di “fragilità” fisica e cognitiva», ha spiegato Francesco Landi, presidente della Società italiana di geriatria e gerontologia. «La necessità di ridurre le interazioni sociali ha drammaticamente ridotto lo “spazio vitale” di molti anziani, con un impatto negativo non solo sullo stato di funzione fisica ma anche sul tono dell’umore e a volte anche sulla performance cognitiva».
Secondo Landi, l’isolamento ha comportato una significativa riduzione del livello di attività fisica con conseguenze negative in particolare nei soggetti affetti da osteoporosi, artrosi, malattie neurologiche come il Parkinson, diabete mellito, malattie cardiovascolari. A questo si aggiunge la limitazione di visite periodiche e cure puntuali che hanno provocato un rallentamento nella prevenzione di altre patologie. Una condizione che potrebbe causare un ulteriore aumento della mortalità. «Questo aspetto è ben documentato per cuore, polmone, ictus e diabete, in particolare per il mancato accesso ai controlli ma soprattutto al pronto soccorso», spiega Landi. «Inoltre la difficoltà di accesso dei medici di medicina generale a domicilio ha creato molti problemi nei pazienti con malattie croniche-degenerative».
Come per la natalità, già piuttosto bassa prima del 2020, l’epidemia ha solo accelerato un processo che era già in corso. Sempre l’ISS ha rilevato che prima dell’epidemia in Italia un anziano su cinque viveva in una condizione di isolamento sociale, senza contatti con altre persone, neppure telefonici. I dati dicono che il 71 per cento del campione analizzato non partecipa a incontri collettivi in luoghi di aggregazione come i centri anziani, i circoli, le parrocchie o le sedi di associazioni. Il 18% degli anziani vive una condizione di fragilità che grava principalmente sulle famiglie: il 94% delle persone con fragilità riceve aiuto dai familiari, il 20% da assistenti famigliari e il 12% da conoscenti.
Di tutti questi problemi, comprese le prospettive future, si occupa il piano di Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), il documento con cui il governo ha spiegato come spenderà i finanziamenti che arriveranno dall’Unione Europea tramite il Next Generation EU, chiamato anche Recovery Fund. Tra i principali obiettivi ci sono l’aumento dell’assistenza a casa e la riconversione delle Rsa, le residenze sanitarie assistenziali, per aumentare l’aspettativa di vita in buona salute.
Nella missione 6, dedicata alla sanità, il piano ha stanziato quattro miliardi per il potenziamento dell’assistenza domiciliare per gli anziani. L’investimento ha l’obiettivo di aumentare il numero delle prestazioni sanitarie a casa fino a prendere in carico, entro la metà del 2026, il 10 percento della popolazione di età superiore ai 65 anni. Tra i punti citati nel piano ci sono anche la realizzazione di un sistema informativo «in grado di rilevare dati clinici in tempo reale», l’attivazione di 602 Centrali Operative Territoriali (COT) con la funzione di coordinare i servizi domiciliari con gli altri servizi sanitari, e l’utilizzo della telemedicina per aiutare i pazienti con malattie croniche. È previsto anche un incremento dei posti letto di geriatria in ospedale per acuti e per le cure intermedie, con particolare attenzione alle strutture dedicate alla riabilitazione.
Trecento milioni di euro serviranno invece alla riconversione delle Rsa, le residenze sanitarie assistenziali, che oggi ospitano 385mila persone di cui 210mila in condizione di non autosufficienza. L’obiettivo è realizzare appartamenti autonomi, case in cui gli anziani possono vivere da soli o in gruppo, con una parziale assistenza sociale o sanitaria. «L’obiettivo è di assicurare la massima autonomia e indipendenza della persona in un contesto nel quale avviene una esplicita presa in carico da parte dei servizi sociali e vengono assicurati i relativi sostegni», si legge nel piano.
Un altro capitolo che riguarda l’assistenza agli anziani è stato inserito nella missione 5 per la valorizzazione delle cosiddette aree interne: 830 milioni serviranno a potenziare i servizi e le infrastrutture sociali di comunità dedicati ai soggetti fragili, tra cui gli anziani. Questi fondi saranno destinati soprattutto ai comuni, che già negli ultimi anni hanno dedicato sempre più risorse all’assistenza degli anziani.
Mariano Carta è il sindaco di Perdasdefogu, in Sardegna, nella provincia dell’Ogliastra (istituita di nuovo con una legge regionale approvata a fine marzo), nota tra le altre cose perché è una delle zone in Italia dove c’è un’alta concentrazione di persone con più di cento anni. Perdasdefogu si trova nella condizione che moltissimi comuni italiani affronteranno molto probabilmente tra qualche anno, quando la percentuale di anziani crescerà. Ogni anno il comune riserva infatti una parte rilevante del bilancio per l’assistenza alle persone anziane e secondo il sindaco questi investimenti sono destinati ad aumentare, come in tutti i comuni italiani.
«Già ora garantiamo un’assistenza domiciliare capillare, la distribuzione dei pasti e se necessario un aiuto anche a fare la spesa, a gestire la quotidianità», spiega il sindaco. «Ma in futuro dovremo aumentare le risorse dedicate ai servizi sociali. La fortuna di paesi come il nostro, condivisa con buona parte del Sud, è che spesso gli anziani non vivono soli: stanno ancora con le famiglie, che riescono ad assisterli. Ma sempre più giovani stanno lasciando questi territori e non è facile trattenerli. Questo è un grande limite, soprattutto per il futuro, che inciderà anche sull’assistenza alle persone anziane».
Il caso di Perdasdefogu, molto simile a quello di migliaia di altri comuni italiani, dimostra che una migliore assistenza agli anziani, e una loro maggiore autonomia, non può prescindere dal tentativo di modificare l’andamento demografico con un’attenzione alle nascite. Di questo si occupa ovviamente anche il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza: nelle prospettive indicate dalla relazione annuale della Banca d’Italia, il sostegno alla crescita economica dell’Italia «potrà diminuire il tasso di disoccupazione, migliorare le condizioni economiche delle famiglie e ridurre l’incertezza». E per avere un effetto diretto sugli scenari demografici servono anche «misure di sostegno alla natalità e le politiche per una gestione ordinata dei flussi migratori e per l’integrazione degli immigrati».