La storia della Festa della Repubblica
Nel 1946, 75 anni fa, gli italiani scelsero la nuova forma di governo attraverso il referendum istituzionale, dopo la fine del fascismo
Oggi in Italia si celebra la Festa della Repubblica: il 2 giugno del 1946 più di 28 milioni di italiani furono chiamati a votare per scegliere la forma di governo del paese dopo la fine del fascismo, e con circa 2 milioni di voti in più rispetto alla Monarchia scelsero appunto la Repubblica. Contemporaneamente, gli italiani votarono anche per eleggere i membri dell’Assemblea costituente: la Democrazia Cristiana ottenne la maggioranza relativa con 207 deputati sui 556 totali, seguiti dai socialisti e dai comunisti.
La Festa della Repubblica esiste dal 1948, ma nel 1976 la parata militare che la caratterizzava fu annullata a causa del terremoto del Friuli Venezia Giulia. Dall’anno successivo, per più di vent’anni, fu una “festa mobile”: per non perdere un giorno lavorativo, infatti, fu deciso di festeggiarla ogni prima domenica di giugno. Nel 2000, su iniziativa del presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, il secondo governo Amato ristabilì invece la data della Festa al 2 giugno, insieme alle celebrazioni ufficiali.
Nel 1946, 75 anni fa, l’Italia era appena uscita dalla Seconda guerra mondiale: il voto si svolse tra le macerie dei bombardamenti alleati e quelle delle demolizioni dei nazisti in ritirata, con centinaia di migliaia di italiani ancora sparsi per i campi di prigionia in tutto il mondo, intere province sotto governo militare straniero e un clima che sembrava vicino a quello di una guerra civile.
I risultati ufficiali del referendum furono annunciati il 18 giugno successivo, e fu proprio in quel giorno che la Corte di Cassazione proclamò ufficialmente la nascita della Repubblica Italiana: 12.718.641 italiani avevano votato a favore della Repubblica, 10.718.502 a favore della Monarchia e 1.498.136 avevano votato scheda bianca o nulla; più di 3 milioni non parteciparono al voto.
Lo spoglio del risultato mostrò chiaramente che l’Italia era divisa in due metà. Nel Nord Italia quasi tutti i centri urbani principali votarono in favore della Repubblica, che ottenne il risultato più ampio a Trento, dove conquistò l’85 per cento dei consensi. In moltissime città del Sud, invece, la maggior parte degli italiani votò per la Monarchia: a Napoli, per esempio, ottenne 900mila voti contro i 250mila per la Repubblica; anche a Palermo la Monarchia ottenne un grande vantaggio, con quasi 600mila voti contro 380mila. A Roma invece lo scarto in favore della Monarchia fu molto più sottile, circa 30mila schede.
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Non tutti gli italiani ebbero l’opportunità di votare. Per esempio, non poterono partecipare alle elezioni i militari prigionieri di guerra nei campi degli alleati, alcuni dei quali si trovavano addirittura negli Stati Uniti, e non votarono nemmeno gli internati in Germania, che stavano cominciando lentamente a ritornare nel paese. Inoltre non si votò nella provincia di Bolzano, che dopo la creazione della Repubblica di Salò era stata annessa alla Germania e che dopo la fine della guerra era stata messa sotto governo diretto degli Alleati.
Non si votò nemmeno a Pola, Fiume e Zara, tre città che prima della guerra erano italiane, e che sarebbero passate alla Jugoslavia, così come non si votò a Trieste, che per diversi anni fu sottoposta all’amministrazione internazionale e fu al centro di un complicato contenzioso diplomatico che si sarebbe risolto soltanto nel 1954, con il ritorno della città all’Italia.
Anche se la leggenda è ancora molto diffusa, durante il referendum non ci fu alcun broglio. Secondo le analisi di storici ed esperti, che hanno approfondito i risultati con tecniche moderne, il voto si svolse in maniera tutto sommato regolare, e creare artificialmente un distacco di quasi 2 milioni di voti avrebbe richiesto la complicità di migliaia di persone e lasciato dietro di sé una lunghissima scia di prove. La leggenda, comunque, è rimasta viva: in parte a causa del clima teso che si respirava in quelle settimane e che continuò per anni a incombere sull’Italia, e in parte perché lo spoglio e il processo con cui venne annunciato il referendum furono gestiti in maniera incerta e a volte decisamente pasticciata.
I primi risultati arrivarono il 4 giugno e sembravano dare in vantaggio la Monarchia, ma durante la notte e la mattina del giorno successivo la Repubblica passò in netto vantaggio e il 10 giugno la Corte di Cassazione proclamò il risultato: nel comunicato, però, a sorpresa utilizzò una formula dubitativa, rimandando quindi l’annuncio definitivo al successivo 18 giugno, dopo l’esame delle contestazioni presentate soprattutto dai monarchici.
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Il cerimoniale ufficiale della Festa della Repubblica prevede che il presidente della Repubblica deponga una corona d’alloro in omaggio al Milite Ignoto, all’Altare della Patria, in piazza Venezia a Roma. Solitamente lungo i Fori Imperiali di Roma si svolge poi la sfilata delle forze armate, che nel 2020 era stata sospesa per via della pandemia da coronavirus. Dopo aver deposto la consueta corona d’alloro in piazza Venezia, l’anno scorso il presidente della Repubblica Sergio Mattarella andò in visita a Codogno, la città in provincia di Lodi dove il febbraio precedente fu individuato il primo caso di coronavirus in Italia. Dopo l’incontro con le autorità locali e la visita al cimitero cittadino, Mattarella tornò a Roma per un concerto nel cortile dell’Istituto Nazionale Malattie Infettive “Lazzaro Spallanzani”.
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— Quirinale (@Quirinale) June 2, 2020