La misteriosa app di shopping che ha battuto Amazon
Shein è il «TikTok degli e-commerce»: progetta e produce collezioni più rapidamente dei rivali del fast fashion
Da maggio la app di Amazon non è più la app di shopping più scaricata negli Stati Uniti: è stata superata da quella di Shein, un e-commerce di fast fashion cinese nato nel 2008 e considerato il «TikTok degli e-commerce» perché è usato soprattutto dalla cosiddetta generazione Z (quella dei nati dopo il 1996). La app di Shein è la prima in classifica nella categoria shopping sui dispositivi iOS in oltre 50 paesi e tra le cinque più scaricate in altri 1oo paesi almeno. In Italia è al secondo posto dopo la app di compravendita di usato Vinted e prima di Amazon, ma è possibile che molti non ne abbiano mai sentito parlare.
Su The Business of Fashion la giornalista esperta di economia cinese Casey Hall ha definito «misterioso» il caso di Shein (che si pronuncia sci-in) e Maureen Hinton della società di analisi e consulenza GlobalData ha detto che l’azienda ha un «carattere opaco» che la rende difficile da studiare. Nel 2020 era stata valutata 15 miliardi di dollari ma, secondo le recenti indiscrezioni di alcuni media cinesi, dopo l’ultimo giro di finanziamenti la quotazione sarebbe salita a 46 miliardi: tre volte tanto.
Tra i motivi principali per cui l’e-commerce di Shein è molto usato, soprattutto da un pubblico giovane e femminile (ma c’è anche abbigliamento maschile) ci sono i prezzi molto bassi e l’ampia scelta di articoli. Negli ultimi due anni Shein si è diffuso soprattutto negli Stati Uniti, ma esiste in totale in 220 paesi, Cina esclusa. Anna, che ha 27 anni, vive in Italia e ha cominciato a usare Shein quando andava all’università, ha detto al Post che tra le sue coetanee è abbastanza utilizzato perché si trovano cose che «costano poco e stanno bene, anche capi d’abbigliamento molto basic come magliette normali in tinta unita».
Un vestito estivo costa in media 15 euro, ma se ne trovano anche a 5: ci sono occhiali da sole a 2 euro e 50 e costumi da bagno a 11 euro. Sul sito ci sono sempre delle promozioni attive: solitamente più spendi e più la percentuale di sconto si alza. Per ogni ordine si ottengono dei punti da utilizzare come sconti (anche se minimi) per gli ordini successivi. Anna ha aggiunto che apprezza anche il fatto che ci sia spesso la sua taglia: «è una cosa che non mi capita sempre, visto che ho un fisico più minuto della media».
Sul sito si legge che la spedizione è gratuita per ordini superiori a 9 euro, cosa che fa pensare che gli ordini con totali di spesa più bassi non siano così rari. Inizialmente i tempi di spedizione per l’Italia erano abbastanza lunghi, anche più di un mese, ma di recente si sono accorciati e adesso sono attorno ai 10 giorni. Sulla pagina Instagram di Shein comunque non sono pochi i commenti di quelli che si lamentano dei ritardi. Cercando su Google si trovano recensioni di utenti da tutto il mondo che commentano la scarsa qualità dei capi e parlano di «fregatura». In Italia Shein ha 3 stelline su 5 sul sito di recensioni di aziende Trustpilot e negli altri paesi non va molto meglio.
Un’altra cosa su cui Shein ha puntato molto per diffondersi tra le più giovani sono i social network, con banner e campagne pubblicitarie su Facebook, Instagram e TikTok, ma non solo. Soprattutto negli Stati Uniti, si è costruito un seguito semplicemente chiedendo alle sue utenti di pubblicare foto con i vestiti di Shein e l’hashtag #SheinGal, cioè “ragazza di Shein”, offrendo in cambio la pubblicazione della foto sul canale ufficiale dell’e-commerce, che su Instagram ha 20 milioni di follower. Shein è molto in voga anche tra le influencer da poche migliaia di follower (le cosiddette microinfluencer), che si fanno mandare abiti gratis e in cambio danno visibilità all’e-commerce e regalano codici sconto esclusivi a chi le segue.
In un momento storico in cui le aziende di moda low cost (e non solo) si trovano a fare i conti con l’impatto ambientale del proprio business e con una sempre maggior attenzione dei consumatori alla sostenibilità ambientale, Shein ha ricevuto non poche critiche per il modo in cui incentiva lo shopping sfrenato e la moda “a breve termine”. Al discorso della sostenibilità, si aggiunge quello dello sfruttamento del lavoro minorile e dei lavoratori in generale, che negli stabilimenti del fast fashion è ancora un problema attuale.
La pandemia ha contribuito parecchio alla crescita di Shein, più di quanto abbia fatto per altri marchi di fast fashion come Zara e Uniqlo, che hanno sempre puntato molto sui negozi fisici e per questo sono stati penalizzati dalle restrizioni. In più il principale stabilimento produttivo di Shein si trova nella regione cinese del delta del fiume delle Perle, una di quelle meno toccate dalla pandemia e dalle relative chiusure. Nel 2020 il fatturato di Shein è stato di 10 miliardi di dollari, più del doppio di quello del 2019, ma non sorprende: è l’ottavo anno di fila che cresce di più del 100 per cento.
Shein è stata fondata da Chris Xu nel 2008, e inizialmente si chiamava SheInside. L’idea fu quella di puntare sul digitale e sulla velocità della manifattura cinese per conquistare direttamente il mercato europeo e americano (senza passare dalla Cina) e competere con i più grandi marchi di fast fashion. Shein prende le merci prodotte dalle sue fabbriche in Cina e le rivende direttamente al pubblico, senza intermediari (come fanno invece i grandi marchi) e abbattendo i costi. A differenza di negozi di abbigliamento fast fashion come Zara e H&M, Shein non ha una sua identità o una sua estetica: si limita a intercettare le mode dei vari paesi e a riproporle il più velocemente possibile sul mercato locale.
Usa algoritmi e analisi dei dati per intercettare le mode su internet, sui social e sul suo stesso e-commerce, e trasformarle in nuove collezioni in tempi mai visti prima. Il Financial Times ha scritto: «prendi l’abilità di Zara di intercettare le tendenze quando fa una nuova collezione e abbatti le tempistiche di sei o sette volte». Per produrre una nuova collezione a Shein basta una settimana, ma alcuni parlano anche di tre giorni. L’azienda stessa ha detto di produrre 500 nuovi capi ogni giorno. Per sottolineare come sia riuscito a superare la velocità del fast fashion e dell’ultra fast fashion, l’esperto di tecnologia cinese Matthew Brennan ha definito la strategia di Shein “real-time retail“.
Recentemente Packy McCormick, esperto di strategia aziendale e cultura pop, ha ricostruito la storia di Shein nella sua newsletter Not Boring. Dalla sua ricostruzione appare chiaro che il mistero che avvolge Shein non è una casualità: l’azienda ha sempre mantenuto un basso profilo intenzionalmente, tenendosi lontana dai giornalisti. Nulla di quello che si trova sui suoi canali social, sulla app o sul sito fa riferimento alle sue origini cinesi. McCormick scrive che in un primo momento sul sito di Shein c’era scritto che era nata da «un piccolo gruppo di appassionati di moda di North Brunswick, in New Jersey», ma poi questa frase era stata rimossa. In un comunicato stampa del 2013 si trova scritto che il fondatore, Chris Xu, è nato in America e si è laureato alla Washington University, ma secondo molti media cinesi Xu sarebbe in realtà nato nella provincia di Shandong, in Cina, e si sarebbe laureato in un’università di Qingdao, sempre in Cina.
Chris Xu (che qualcuno sostiene si faccia chiamare Sky Xu o col suo nome cinese Yangtian Xu) non ha mai dato interviste e non esiste una pagina di Shein su Wikipedia. In Cina Shein è poco conosciuto visto che la sua strategia si è sempre concentrata su mercati esteri, ma anche negli Stati Uniti la stampa se n’è sempre occupata pochissimo. McCormick ha trovato solo un articolo dettagliato in cinese che ricostruisce la storia di Shein e dice che iniziò vendendo abiti da sposa. Nei primi anni di Shein, tra il 2008 e il 2012, i vestiti da sposa erano uno dei prodotti più di successo per le aziende cinesi sul mercato americano insieme all’elettronica. I rivenditori cinesi facevano prezzi pari a un quinto di quelli americani e riuscivano comunque a ottenere grandi margini di guadagno.
Sempre secondo la ricostruzione di McCormick, Shein cominciò da subito a vendere online anche normali vestiti da donna, ma in modo molto artigianale: li comprava nei mercati all’ingrosso e li vendeva online come avrebbe potuto fare un piccolo rivenditore su eBay. La domanda però aumentò imprevedibilmente, anche perché in quegli anni non erano così tanti i negozi che vendevano online. Shein cominciò a usare influencer e social network quando pochi altri lo facevano, esattamente come più di recente è stato tra i primi a usare TikTok a scopi promozionali. Tra le aziende che in quegli anni ebbero una fortuna simile ci sono Asos, Fashion Nova e Boohoo.
Dopo qualche anno Shein cominciò a capire che non poteva continuare a comprare i vestiti ma che doveva produrseli da sé: nel 2015 l’azienda cambiò nome da SheInside a Shein e si spostò a Canton, nel distretto di Panyu, il centro della manifattura tessile cinese. McCormick scrive che Shein diventò famosa in quel periodo perché pagava i suoi impiegati e fornitori in tempo, una cosa rara per l’industria dell’abbigliamento cinese, e per un approccio generalmente innovativo e illuminato alla produzione. Da allora cominciò a ricevere finanziamenti e a lavorare, oltre che sui processi, anche sull’immagine: nel 2017 rifece il sito con una grafica più pulita, nel 2018 aggiunse i costumi da bagno e negli ultimi due anni ha cominciato a vendere anche vestiti da uomo, da bambino e per le taglie grandi.
Secondo alcune voci, dopo la grossa crescita del 2020, Shein si starebbe muovendo per comprare alcuni marchi della multinazionale britannica Arcadia con lo scopo di raggiungere fasce della popolazione diverse da quella delle giovani donne. Altri e-commerce come Asos e Boohoo stanno agendo nello stesso modo, cioè comprando marchi in crisi a causa della chiusura dei negozi fisici, che possano portare loro nuovi clienti.
The Business of Fashion però sostiene che la visibilità che Shein sta guadagnando insieme al successo non sia senza rischi, per esempio perché comincerà ad attrarre l’attenzione della concorrenza. In India inoltre è stata una delle app cinesi bloccate per motivi di sicurezza e negli Stati Uniti, anche dopo la fine della presidenza di Donald Trump, non è detto che rimarrà per sempre indisturbata. L’estate scorsa Shein si è trovata a doversi scusare pubblicamente per aver venduto una collana con un ciondolo a forma di svastica e per aver usato dei simboli sacri nella religione musulmana per decorare dei tappeti.