La finale di Coppa Campioni che segnò la fine di un’epoca
Il 29 maggio del 1991, a Bari, la Stella Rossa Belgrado vinse la Coppa dei Campioni contro il Marsiglia: da lì in poi non accadde più nulla di simile
di Pietro Cabrio
Fra tutte le finali giocate nella storia della coppa più ambita del calcio europeo — una volta Coppa dei Campioni, oggi Champions League — quella di trent’anni fa allo stadio San Nicola di Bari rimane una delle più significative. Il 29 maggio del 1991 la Stella Rossa di Belgrado sconfisse ai calci di rigori l’Olympique Marsiglia in una partita che non riguardò solamente il calcio, ma che per il calcio segnò la fine di un’epoca.
Fu allo stesso tempo la prima e l’ultima vittoria della Jugoslavia unita nel calcio dei professionisti, dopo decenni di sfortune e delusioni difficili da spiegare per la qualità dei giocatori avuti, e quindi delle sue squadre, tre in particolare: Stella Rossa, Partizan e Dinamo Zagabria. Quella del 1991 rimane anche l’ultima vittoria europea di una squadra balcanica, una cosa oggi impensabile per il modo in cui il calcio internazionale è cambiato lasciando indietro i club delle regioni meno ricche.
A giocare quella finale fu non a caso la squadra jugoslava più rappresentativa, la Stella Rossa, parte di una enorme polisportiva di proprietà statale nata negli ultimi mesi della Seconda guerra mondiale e, dalla morte del maresciallo Tito nel 1980, diventata una sorta di termometro dell’unità nazionale jugoslava nello sport.
Il 13 maggio 1990, circa un anno prima dalla finale di Bari, gli scontri tra tifosi croati della Dinamo Zagabria e quelli serbi della Stella Rossa prima di una partita tra le due squadre avevano di fatto preannunciato la guerra che da lì a poco sarebbe iniziata. Quel giorno i disordini si divisero tra lo stadio Maksimir di Zagabria e le strade della capitale croata. Durarono fino a notte fonda, la Stella Rossa dovette barricarsi negli spogliatoi e uscì dallo stadio soltanto dopo la mezzanotte. Vennero ferite e ricoverate 138 persone, tra tifosi e agenti di polizia feriti, e ci furono oltre un centinaio di arresti.
Dopo quella sera passata negli spogliatoi di Zagabria, la squadra serba ebbe ancora a che fare con la storia del suo paese. Aveva appena vinto il campionato ed era piena di talento, come non se ne vedeva da tempo. I suoi giocatori più popolari erano soprattutto tre, estrosi e di rara bravura: il montenegrino Dejan Savićević, il serbo Dragan Stojković e il croato Robert Prosinečki.
Nell’estate dei Mondiali in Italia — gli ultimi con una nazionale jugoslava unita — la Stella Rossa cambiò allenatore, vedendo nell’arcigno Ljupko Petrović la severità e la perseveranza che fino ad allora erano mancate alla squadra. Petrović era una persona totalmente dedita al calcio, e lo è tuttora, tanto che a 74 anni allena ancora, in Vietnam, dopo aver girato mezzo mondo. Dopo aver assunto Petrović, la società lasciò andare all’estero Stojković, il suo giocatore più rappresentativo, ma prese un esterno velocissimo, Dragiša Binić, e a stagione in corso un difensore già allora noto per la qualità del suo piede mancino, Siniša Mihajlović, il cui paese natale, Vukovar, stava per essere raso al suolo dai combattimenti tra serbi e croati.
In quella squadra erano rappresentate cinque delle sei repubbliche che formavano la Jugoslavia, e una delle due provincie autonome: mancavano solo sloveni e kosovari. Il capocannoniere, Darko Pančev, era macedone. Il trequartista, Savićević — poi soprannominato il “genio” dai tifosi milanisti — era montenegrino. Prosinečki, il regista, aveva madre serba e padre croato. In difesa, Mihajlović era di madre croata e padre serbo, mentre Refik Šabanadžović era metà bosniaco musulmano e metà montenegrino. E poi c’era Miodrag Belodedici, romeno di etnia serba che nel 1988 era scappato dalla Steaua Bucarest dei Ceaușescu dopo aver vinto un’altra storica edizione della Coppa dei Campioni.
Tra la partita di Zagabria e l’inizio della stagione 1990/91 le spinte indipendentiste delle varie repubbliche avevano già iniziato a sgretolare l’unità del paese. E proprio mentre la Jugoslavia finiva, la sua squadra migliore divenne imbattibile. In Coppa Campioni la Stella Rossa eliminò in ordine Grasshopper, Rangers Glasgow e Dinamo Dresda. In semifinale trovò il Bayern Monaco, contro cui vinse 2-1 all’andata in Germania. Al ritorno, a Belgrado, si ritrovò in svantaggio 2-1, ma un rocambolesco autogol dei tedeschi negli ultimi minuti di partita mandò la Stella Rossa in finale.
A Bari fu un incrocio di coincidenze. Nella città di San Nicola, uno dei santi più venerati dalla chiesa ortodossa serba, la Stella Rossa ritrovò Stojković, che era stato venduto proprio al Marsiglia, l’altra finalista, per fare coppia con il futuro Pallone d’Oro Jean-Pierre Papin. Gli jugoslavi giocarono una partita puramente difensiva seguendo grossomodo due piani, entrambi piuttosto rischiosi: segnare in contropiede o resistere fino ai calci di rigore, per i quali si ritenevano più preparati. Anche per questo venne fuori una delle finali più brutte nella storia del torneo.
Ai rigori gli jugoslavi non ne sbagliarono uno, e il loro portiere, Stevan Stojanović, particolarmente bravo nel pararli, respinse il primo. Stojković, che veniva da un infortunio, giocò solo qualche minuto nei supplementari e poi si rifiutò di calciare contro la sua ex squadra. Il rigore decisivo fu segnato da Pančev, che così chiuse una stagione da 40 gol che poi gli valse la Scarpa d’oro e il secondo posto tra i giocatori più votati per il Pallone d’Oro. L’anno dopo, già piuttosto appagato, andò all’Inter, dove durò poco e non lasciò un gran ricordo.
Pochi giorni prima della finale di Bari, i croati avevano votato per l’indipendenza, come fatto in precedenza dagli sloveni. Dalla primavera del 1991 la lunga guerra d’indipendenza croata fece oltre ventimila morti e quasi un milione di profughi. Le condizioni critiche del paese e la squalifica di quel che restava della Jugoslavia da tutte la manifestazioni sportive svuotarono la squadra campione d’Europa nel giro di pochi mesi. I suoi giocatori migliori andarono a giocare nei grandi campionati europei facendo la fortuna di tanti club, soprattutto italiani. Per la Stella Rossa, e per tante altre squadre simili, iniziò invece un lungo declino.
Dal 1991 a oggi in Champions League ci sono state soltanto vittorie italiane (5), spagnole (13), francesi (1), inglesi (6), tedesche (4), olandesi (1) e portoghesi (1). Negli ultimi dieci anni il cerchio si è ristretto ulteriormente: hanno vinto soltanto squadre spagnole, inglesi e tedesche.
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