Il social network senza selfie
Ma con le foto: si chiama Poparazzi e il profilo di ogni utente è fatto di foto di quell’utente, scattate però da altri
Poparazzi è una nuova app per la condivisione di foto che, come suggerisce il nome, invita i suoi utenti a diventare “paparazzi” dei propri amici (e a essere di conseguenza paparazzati da loro). Poparazzi vieta i selfie e rende impossibile l’uso della telecamera frontale. Un profilo personale si può quindi arricchire solo grazie a foto della persona proprietaria del profilo fatte da altri, e il proprietario può al massimo decidere di rimuovere certe foto di sé che non vuole siano viste.
Poparazzi ha anche altre particolarità: le sue foto non hanno didascalie, non si possono mettere “mi piace”, non ci sono i commenti e non è previsto un conteggio dei follower. Se ne parla come della “app del momento”, un po’ come qualche mese fa si faceva con Clubhouse. E così come era stato all’inizio per Clubhouse, anche Poparazzi è al momento disponibile solo per dispositivi Apple.
Poparazzi è stata lanciata il 24 maggio da Austen e Alex Ma, due fratelli di poco meno di trent’anni che già nel 2019 ci avevano provato con un’app vocale chiamata TTYL (dall’acronimo inglese “talk to you later”, “ci sentiamo dopo”). L’idea alla base di TTYL era di creare uno spazio digitale in cui gli utenti si potevano connettere e parlare tra loro, in due o anche in gruppi più numerosi, con altri amici o contatti a loro volta online. TTYL andò benino e raccolse investimenti pari a un paio di milioni di dollari, e in parte anticipò quello che sarebbe diventata Clubhouse: ma non sfondò mai per davvero.
Poparazzi, invece, sta andando molto meglio: nei suoi primi giorni è stata l’app più scaricata dell’App Store statunitense e già si parla dell’interesse nei suoi confronti di alcune aziende più grandi e di una sua valutazione superiore ai 100 milioni di dollari.
In un articolo pubblicato su Medium, quella che si definisce «la piccola squadra dietro a Poparazzi» ha presentato l’app come una sorta di anti-Instagram interessata a «preservare l’autenticità dei momenti passati con gli amici» dopo che «nell’ultimo decennio le nostre bacheche [digitali] si sono riempite di apparente perfezione e immagini modificate». L’articolo dice poi che «quando postiamo online foto di noi stessi cerchiamo comprensibilmente di condividere i momenti più interessanti delle nostre vite», in una «gara per l’attenzione dove non vince nessuno». L’app si propone quindi come luogo in grado di «togliere la pressione della perfezione».
L’approccio intrinsecamente egoriferito di molti social (non a caso accompagnato da una costante crescita nel numero e nella qualità delle fotocamere frontali degli smartphone) è stato più volte notato e criticato. Seppur punti sempre su profili personali, con foto fatte per alimentare la curiosità di altri, Poparazzi presenta senza dubbio un approccio a suo modo innovativo.
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Oltre che per le sue indubbie peculiarità e per le sue interessanti prospettive, di Poparazzi si sta parlando – e con buona probabilità si parlerà ancora per un po’ – per questioni di privacy. È infatti piuttosto facile prefigurarsi contesti e situazioni in cui potrebbero emergere problemi dovuti al fatto che qualcuno faccia una foto a qualcun altro senza il suo permesso e consenso.
Se è vero che il fotografato può avere un controllo pre-pubblicazione sulle foto che gli vengono fatte da contatti di cui non è amico, è anche vero che nel caso di foto fatte da amici si riceve una notifica nel momento in cui la foto è pubblicata e solo in seguito si può eventualmente scegliere di rimuoverla dal proprio profilo.
Si può obiettare che già ora, su Facebook o Instagram, chiunque può pubblicare una foto di chi gli pare. Il fatto è che, secondo i più preoccupati, con Poparazzi questo aspetto potrebbe essere esasperato. Inoltre, l’app ha ricevuto anche qualche critica legata a questioni di privacy e al modo in cui, in fase di iscrizione, va a recuperare tutti i contatti che un utente ha sul proprio smartphone. Sono però problemi che potrebbero essere risolti o quantomeno attenuati nei prossimi giorni. Già ora, nelle sue linee guida, l’app invita gli utenti a pubblicare con cautela e rispetto solo foto di cui si è effettivamente autori, senza infrangere nessuna legge e «trattando tutti con rispetto».
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Josh Constine, autore di una newsletter sulle nuove tendenze tecnologiche, ha scritto che «Poparazzi potrebbe simboleggiare il ritrovarsi post-pandemia tanto quanto Clubhouse aveva rappresentato la distanza fisica tra persone durante i lockdown». Constine ha apprezzato l’app per il suo essere collaborativa (per avere tante foto di sé, bisogna che altri facciano tante foto, e viceversa), per il suo presentarsi in modo leggero e allegro e per il fatto che, rendendo impossibile modificare le foto o aggiungere strani effetti, si presta a un uso rapido e anche piuttosto semplice.
Il termine “paparazzo” è usato anche negli Stati Uniti, come dimostra per esempio la nota canzone di Lady Gaga. È una cosiddetta “parola d’autore”, cioè un neologismo con un suo specifico autore che lo mise in una sua opera: nel suo film La dolce vita, Federico Fellini scelse di chiamare Paparazzo (inventando di fatto la parola) un personaggio che faceva il fotografo. Come spiega il sito Una parola al giorno, «la genesi di questo nome è incerta e il fatto che Fellini si divertisse a raccontarla spesso in modi diversi non aiuta a vederci chiaro».