Le indagini sui forchettoni e sulla fune traente
Sono le due questioni su cui si sta concentrando la Procura di Verbania, per capire cosa abbia provocato l'incidente sulla funivia Stresa-Mottarone
Le indagini sull’incidente avvenuto domenica scorsa sulla funivia Stresa-Mottarone, in cui sono morte 14 persone, si stanno concentrando su due questioni: la presenza dei cosiddetti “forchettoni”, che avrebbero impedito il funzionamento dei freni d’emergenza, e la causa della rottura della fune traente.
Perché c’erano i “forchettoni”?
La prima questione è quella su cui la Procura di Verbania sembra avere maggiori certezze. L’ipotesi che fa la Procura è che da quando aveva ripreso servizio, a fine aprile, la funivia presentasse anomalie, e avrebbe avuto bisogno di un intervento più radicale, con un possibile blocco del servizio. La mattina del 24 maggio è stato disposto il fermo di tre persone che lavorano nella società che gestisce la funivia, che secondo la Procura avrebbero consapevolmente deciso di inserire i cosiddetti “forchettoni”. La sera prima durante un interrogatorio uno degli arrestati aveva confessato che i “forchettoni” erano stati lasciati volontariamente per evitare disservizi e blocchi della funivia.
Questi attrezzi vengono usati di solito durante le manutenzioni di routine per inibire l’attivazione dei freni, ma vanno tolti quando la funivia è in servizio. Il giorno dell’incidente, però, i “forchettoni” erano inseriti, e secondo l’ipotesi della Procura avrebbero bloccato i due freni d’emergenza della funivia: uno era stato trovato dopo l’incidente ancora attaccato alla struttura della cabina caduta, l’altro più tardi nei boschi.
A confessare la manomissione volontaria del sistema frenante sarebbe stato Gabriele Tadini, caposervizio della funivia, ovvero il capo dei macchinisti. Secondo quanto scrivono i giornali, durante l’interrogatorio Tadini avrebbe detto che il sistema frenante della funivia nei giorni precedenti all’incidente non funzionava bene, e si attivava anche quando non era necessario, impedendo di fatto l’utilizzo dell’impianto. Per questo motivo sarebbero stati inseriti i “forchettoni”.
Insieme a lui sono stati arrestati anche Luigi Nerini, amministratore della società Ferrovie del Mottarone che gestisce la funivia, ed Enrico Perocchio, direttore del servizio.
Nell’ordinanza di arresto riportata dai giornali si legge che «Tadini ha ammesso di avere deliberatamente e ripetutamente inserito i dispositivi blocca freni, disattivando il sistema frenante di emergenza» e che di ciò «erano stati ripetutamente informati» Perocchio e Nerini, che «avvallavano tale scelta e non si attivavano per consentire i necessari interventi di manutenzione che avrebbero richiesto il fermo dell’impianto, con ripercussioni di carattere economico». Sabato mattina alle 9 nel carcere di Verbania ci sarà l’interrogatorio di garanzia e l’udienza di convalida dell’arresto di Nerini, Tadini e Perocchio. A decidere per la convalida o meno sarà la giudice per le indagini preliminari (GIP) di Verbania, Donatella Banci Bonamici.
La rottura della fune
La seconda questione su cui si stanno concentrando le indagini riguarda la rottura della fune traente, quella che viene mossa dal motore dell’impianto e permette la salita e la discesa delle cabine. Dopo la rottura, la cabina era scivolata all’indietro lungo la fune portante, fino a staccarsi in corrispondenza dell’ultimo pilone della funivia: era caduta a terra da un’altezza di circa 20 metri e poi aveva continuato a scivolare sul terreno in discesa per altre decine di metri. In teoria avrebbero dovuto attivarsi i freni d’emergenza sulla fune portante ma, come si è detto, sarebbero stati inibiti dai “forchettoni”.
La rottura della fune traente, che è realizzata con trefoli di metallo ed è molto resistente, è un evento estremamente raro. La Procura sta quindi indagando su come sia stato possibile che quel giorno la fune si sia spezzata all’improvviso: sta valutando se nei giorni precedenti ci fosse stato qualche segnale che avrebbe potuto destare preoccupazione, e se fossero stati fatti tutti i controlli necessari. Per questo giovedì ha inviato un tecnico specializzato sul luogo a effettuare una perizia. Tra le altre ipotesi citate dai giornali, si parla della possibilità che la fune sia stata danneggiata la notte precedente all’incidente da un fulmine, o che ci fosse qualche malfunzionamento nelle pulegge (le grandi ruote attorno a cui ruotano le cabine nelle stazioni) che potrebbe averla deteriorata in qualche modo.
La perizia di giovedì è stata fatta da Giorgio Chiandussi, docente di ingegneria meccanica e aerospaziale al Politecnico di Torino. Chiandussi ha riferito l’esito della sua perizia alla Procura, ma al momento non si sa nulla dei suoi riscontri. Si sa comunque che si è concentrata sulla cosiddetta «testa fusa», una parte della fune traente che viene fusa con una lega metallica e a cui viene fissato il carrello che fa muovere la cabina. Questa «testa fusa» è la parte ritenuta più debole dell’intera struttura, perché è quella le cui sollecitazioni effettive sono più difficili da valutare e che è più difficile da sottoporre a controlli.
I controlli sulle funi vengono fatti una volta l’anno con l’utilizzo di un sistema magneto-induttivo che attraverso un magnetoscopio ne rileva i livelli di deterioramento. L’ultimo controllo sulla funivia del Mottarone era stato effettuato a novembre da parte della società Sateco di Torino, che non aveva rilevato un deterioramento tale da necessitare la sostituzione della fune traente.
L’esame della “testa fusa”, però, non può essere fatto con il sistema magneto-induttivo, perché quel punto è troppo stretto per permettere l’utilizzo dei magnetoscopi, e viene fatto quindi “a vista”. Proprio per questo, quella parte di fune va cambiata per legge ogni cinque anni, indipendentemente dal livello di usura effettivo. L’ultima volta era stata rifatta nel 2016 dall’azienda Leitner di Vipiteno (Bolzano), la società che ha svolto la maggior parte delle manutenzioni sulla funivia del Mottarone.