Si vota nel paese di Bashar al Assad
In Siria ci sono le elezioni per il nuovo presidente: ma non sono vere elezioni, e non ci sarà nessun nuovo presidente
Oggi, mercoledì 26 maggio, ci sono le elezioni presidenziali in Siria: o meglio, in quelle parti della Siria ancora sotto il controllo del presidente Bashar al Assad, che governa in modo autoritario dal 2000 e che certamente otterrà il suo quarto mandato. Le elezioni non si possono considerare né libere né democratiche, e sono state definite una farsa praticamente da tutti, inclusi i governi di Stati Uniti, Francia, Germania, Italia e Regno Unito: i rivali di Assad sono infatti Abdullah Salloum Abdullah e Mahmoud Ahmad Marie, due politici molto poco conosciuti e inseriti tra i candidati solo per dare una parvenza di regolarità al voto e una maggiore legittimità al regime.
Quelle di oggi sono le seconde elezioni presidenziali che si tengono in Siria dal 2011, anno dell’inizio della guerra tra il regime di Assad e i gruppi ribelli che ne volevano la destituzione. Le prime, anch’esse una farsa, si erano tenute nel mezzo dei combattimenti, nel 2014: Assad aveva ottenuto l’89 per cento dei voti, con un’affluenza superiore al 73 per cento. Oggi Assad è ancora più saldamente al potere di quanto non lo fosse allora – quando il suo regime era sul punto di sgretolarsi per le defezioni nell’esercito, l’ascesa dell’ISIS e l’avanzata dei ribelli – anche perché la stragrande maggioranza dei suoi oppositori si trova all’estero per sfuggire alla repressione della polizia segreta siriana (“mukhabarat”).
Nonostante negli ultimi anni Assad abbia rafforzato il suo potere, grazie soprattutto all’aiuto di Russia e Iran, il regime siriano oggi controlla solo una parte del territorio che controllava nel 2011, all’inizio della guerra: circa il 40 per cento della Siria è governato infatti da altri gruppi e più della metà della popolazione siriana vive in aree non controllate dal regime (sia dentro che fuori la Siria).
Nei territori del nord e dell’ovest, controllati dai ribelli anti-Assad (verde scuro), dalle forze finanziate e appoggiate dalla Turchia in funzione anti curda (verde chiaro) e dai curdi (giallo), non si voterà, mentre in alcuni territori sotto il controllo del regime, tra cui le province meridionali di Daraa e Sweida, molti hanno contestato le elezioni definendole «illegittime».
Le elezioni si stanno tenendo in un paese non solo estremamente diviso, ma anche con un’economia in caduta libera e con un sistema sanitario assai sotto pressione a causa della pandemia.
L’economia siriana è stata duramente colpita dalla guerra, dalle sanzioni imposte contro il regime di Assad da diversi paesi occidentali, dalla diffusissima corruzione governativa, dagli effetti della pandemia e dalla grave crisi economica e finanziaria in Libano, che per numerose ragioni ha avuto enormi effetti anche sulla Siria. Oggi una buona parte della popolazione siriana vive in condizioni di povertà, l’inflazione è altissima e le interruzioni della corrente elettrica sono più lunghe di quanto non lo fossero durante la guerra, a causa della mancanza di valuta straniera che impedisce al regime di importare carburante. La situazione è molto critica anche per il sistema sanitario nazionale, duramente colpito dalla pandemia: tra le altre cose, negli ultimi tre mesi i reparti di terapia intensiva degli ospedali di Damasco hanno raggiunto la loro massima capacità e i medici sono stati costretti a trasferire molti pazienti nelle strutture di altre province.
Nei prossimi sette anni, la durata del mandato presidenziale, Assad non dovrà occuparsi però solo delle divisioni in Siria e della profonda crisi in cui è entrata l’economia siriana: un altro tema sarà l’influenza di Russia e Iran nei territori controllati dal regime.
Durante la guerra siriana, infatti, il regime di Assad era sopravvissuto solo grazie all’aiuto militare ricevuto dalla Russia, che aveva messo a disposizione i suoi aerei da guerra per bombardare le aree controllate dai ribelli, e dall’Iran, che aveva garantito al regime la presenza di milizie sciite filo-iraniane e del potente gruppo radicale sciita libanese Hezbollah (alleato dell’Iran). Per questo molti esperti, tra cui Lina Khatib del think tank Chatham House, ritengono che la rielezione di Assad non dovrebbe essere vista come una sua prova di forza, ma come una dimostrazione di influenza e potenza da parte dell’Iran e soprattutto della Russia: «Se la Russia non avesse voluto la rielezione di Assad, avrebbe fatto deragliare le elezioni», ha detto Khatib.