Il trucco con le carte che non si riesce a spiegare
Un giornalista americano ha provato a indagare su un famoso e misterioso numero dell'illusionista David Berglas, finendo a casa sua
David Berglas è un apprezzato illusionista e mentalista britannico che per mezzo secolo fece un famoso gioco di prestigio con le carte che nessuno è ancora riuscito a spiegare. Il trucco – o qualsiasi cosa ci sia dietro – è noto come “il Sacro Graal della cartomagia” e Berglas continua a sostenere, come ha fatto di recente con il New York Times, di non poterlo spiegare perché «sarebbe come chiedere a un musicista che improvvisa di insegnare l’improvvisazione: non può». Secondo lui «non è un segreto che si possa dire a chiunque, perché non è di quel tipo». Ma qualche teoria su come diamine facesse c’è.
Berglas è nato nel 1926 in Germania e a metà degli anni Trenta scappò insieme alla famiglia per andare nel Regno Unito. Dopo i vent’anni e dopo la fine della guerra, si avvicinò a quella che qualcuno chiama magia, e che invece è più giusto chiamare illusionismo o prestigiazione (o, se lo si preferisce, prestidigitazione).
L’illusionismo si divide a sua volta in varie branche: dalla cartomagia, che ha appunto a che fare con i giochi di carte, fino al mentalismo e all’ipnosi, due approcci che – per dirla in poche parole – si basano sulla manipolazione psicologica e il condizionamento mentale. Spesso e volentieri, inoltre, più branche si sovrappongono: capita quindi che si possano unire aspetti di prestigio propri della cartomagia a tecniche di influenza mentale riconducibili al mentalismo.
Nella sua manifestazione più semplice, il peculiare gioco di prestigio di Berglas (anche noto come “effetto Berglas”) fa parte della cartomagia ed è simile a tutti quei casi in cui l’illusionista chiede a una o più persone di nominare una carta e un numero, in genere da 1 a 52. Per esempio una “regina di cuori” e il numero “25”. L’illusionista mostra poi che, in un certo mazzo tra le sue mani, la 25esima carta è effettivamente una regina di cuori. In inglese, giochi di questo tipo sono noti come ACAAN, acronimo di “Any Card at Any Number” (“qualsiasi carta a qualsiasi numero”). Gli ACAAN esistono da secoli in centinaia di varianti, e qualsiasi illusionista di un certo livello ne ha almeno uno nel suo repertorio.
David Segal, che ha indagato sul numero per il New York Times, scrive che «a volte agli spettatori si chiede di scrivere il numero, altre di essere loro a rimescolare il mazzo, in altre ancora tutte le altre carte del mazzo [tranne quella giusta] sono bianche». Tra tante differenze, c’è però sempre un apparentemente imprescindibile tratto comune: «a un certo punto, l’illusionista tocca le carte. Può essere un tocco impercettibile e può sembrare totalmente innocuo, ma c’è».
E con ogni probabilità, almeno per la maggior parte dei casi, è il modo in cui l’illusionista riesce nel suo trucco: secondo la versione più semplice, perché sa a memoria dove sta, in un certo mazzo, una certa carta (per esempio una donna di cuori), e maneggiando con destrezza il mazzo riesce a farla finire dove ha bisogno che vada (per esempio nella 25esima posizione).
L’unicità dell’effetto Berglas (che iniziò a essere chiamato così solo negli anni Ottanta) sta invece nel fatto che, nel suo caso, il numero riesce senza toccare il mazzo, quantomeno non dopo che il volontario ha scelto la sua carta e il suo numero. A quanto pare Berglas iniziò a farlo nel 1953 e proseguì per oltre mezzo secolo, fino a quando smise di esibirsi. Nella sua lunga carriera arrivò ad avere un programma televisivo e uno radiofonico (in cui faceva esperimenti e giochi “mentali” con gli ascoltatori) e, tra gli altri, a esibirsi davanti a Winston Churchill e sullo stesso palco dei Rolling Stones. Sempre facendo il suo numero senza toccare il mazzo, coinvolgendo uno o più spettatori.
La via più facile per spiegare il trucco è pensare che, banalmente, Berglas avesse dei complici tra il pubblico. Anche solo uno per volta: il quale, dopo aver sentito un altro spettatore scegliere una regina di cuori, veniva interpellato da Berglas e rispondeva dicendo il numero corrispondente alla posizione in cui sapeva essere quella carta.
Ci sono però diversi motivi per cui questa tesi non sembra reggere. Primo: Berglas ha sempre negato. Secondo: nessuno, in oltre mezzo secolo, ha mai confessato di essere stato suo complice nel numero in questione. Terzo: come ha scritto il New York Times, negli anni diversi illusionisti hanno detto di essere stati spettatori privilegiati – in quanto soli con Berglas – del suo famoso numero, e di aver sperimentato in prima persona il numero. In altre parole, Berglas è riuscito a illudere gli illusionisti.
E di certo non l’ha fatto grazie all’uso di complici. Che esistono, nell’illusionismo (lo stesso Berglas ammise di averne avuti quando fece sparire un pianoforte), ma il cui uso è malvisto nel caso della cartomagia. «Accusare un illusionista di aver usato un complice per un ACAAN è un po’ come accusare un atleta di essersi dopato», ha scritto il New York Times: «è considerato come barare».
Una spiegazione piena e univoca per l’effetto Berglas non c’è. Già da dieci anni c’è però un libro che qualche risposta ha provato a darla. Scritto nel 2011 da Richard J. Kaufman, autore ed editore esperto di illusionismo, è lungo oltre 400 pagine e si intitola proprio The Berglas Effects. “Gli effetti”, al plurale, perché la tesi del libro – che solo a quest’argomento dedica oltre 75 pagine – è che per far riuscire il numero Berglas abbia usato di volta in volta una combinazione di strategie e approcci di vario genere.
Secondo Kaufman, «prima di farlo, Berglas stesso non sa cosa sta per fare», perché lo decide in base al contesto e al pubblico, a quanto pare usando tutta una serie di tecniche e meccanismi mentali per far sì che certi spettatori finiscano per scegliere una certa carta o un certo numero. Kaufman scrisse che alla base del numero ci sarebbe un misto di carisma, esperienza, allenamento, manipolazione psicologica e soprattutto una grandissima abilità nell’improvvisazione. In pratica, riesce a indirizzare il pubblico a fare una cosa, e a scegliere la strategia migliore per portare a casa il numero a seconda delle reazioni dei partecipanti. A quanto pare Kaufman ha anche commentato l’articolo del New York Times su un forum di appassionati di illusionismo, scrivendo che non è vero che il numero di Berglas non è mai stato spiegato: lui lo ha fatto, con argomentazioni che considera più che esaustive.
Come ha detto al New York Times l’illusionista Aaron Fisher, sembra che Berglas «riesca a giocare con le menti, più che con i mazzi». L’ipotesi più condivisa, insomma, è che non ci sia un vero e proprio trucco preciso, ma vari metodi e strategie (e trucchi, evidentemente) da scegliere a seconda della situazione.
Incuriosito da tutta questa storia, Segal si è messo in contatto con Berglas ed è andato a trovarlo nella sua casa londinese, trovandosi davanti un individuo di cui ha scritto che «se avesse un cameo in un film, sarebbe per la parte del “mago anziano”». E che soprattutto gli ha spiegato di essere infastidito da chi pensa che alla base del suo numero più celebre ci fossero dei complici.
Segal ha scritto che durante la loro conversazione, Berglas gli ha chiesto, senza dare gran peso alla domanda, di nominare una carta e un numero. E che lui – che alla fine era lì proprio per quello – ha scelto il sette di quadri e il numero 44. Poi però Berglas ha ripreso a parlare d’altro, come se niente fosse. Sicché, dopo un po’, è stato Segal stesso a chiedere esplicitamente una «performance». Richiesta a cui, sempre secondo Segal, Berglas ha reagito con fastidio e indignazione. Spiegando di ritenere quantomeno scortese che qualcuno andasse a casa sua, a oltre vent’anni dal suo ritiro, chiedendogli un’esibizione privata. E poi addirittura arrabbiandosi.
Sono seguite scuse di Segal e poi, un po’ all’improvviso, Berglas ha indicato al giornalista un cassetto, e dentro al cassetto tre mazzi di carte «lì da molto tempo». Segal ha quindi aperto il cassetto e preso i mazzi, mettendoli sul tavolo tra sé e l’illusionista. Su invito di Berglas, che ha detto «ci provo, ma potrei sbagliarmi di un paio di posizioni», Segal ha quindi scelto un mazzo e contato le carte, per vedere se al 44° posto c’era per caso il sette di quadri.
Non c’era, ma quasi. Era infatti la 43ª carta del mazzo. Al che Berglas ha detto «ho sbagliato di uno», spiegando che anche se di poco è comunque un errore, un fallimento.
Segal ha scritto di esserne comunque rimasto molto stupito, e che il fatto che Berglas abbia «sbagliato di uno» lo ha convinto che il numero di magia in questione possa essere legato a un trucco che non ha soltanto due esiti possibili, riuscito o no: e che bensì possa anche quasi funzionare, ipotesi che suggerisce sia legato a dinamiche più complesse e sfumate. Oppure potrebbe anche darsi che Berglas abbia sbagliato apposta: per confondere il giornalista o anche solo per divertirsi un po’.