Il caso irrisolto dell’uomo di Somerton
Da 73 anni si indaga sull'identità di un cadavere su una spiaggia in Australia, che potrebbe nascondere una storia di spie: ora è stato riesumato per analizzarne il DNA
Il 19 maggio la polizia dello stato australiano del South Australia ha riesumato il corpo di un uomo trovato morto 73 anni fa su una spiaggia della città di Adelaide, la cui identità non è mai stata accertata e la cui storia è diventata nel corso degli anni uno dei casi irrisolti più noti nel paese. La riesumazione servirà ad estrarre campioni di DNA che possano aiutare gli investigatori ad avere nuove informazioni sull’uomo e, si spera, a risolvere il caso.
Il cadavere dell’uomo fu trovato sulla spiaggia di Somerton Park, un quartiere periferico di Adelaide, verso le 6:30 di mattina del primo dicembre del 1948. L’uomo, alto circa 180 cm e di etnia caucasica, era vestito in modo elegante, con giacca e cravatta, e non presentava segni di lesioni sul corpo. Non aveva con sé documenti e tutti i suoi abiti erano privi di etichetta, cosa che fin dal rinvenimento del corpo rese difficile alla polizia l’identificazione. Alcuni testimoni dissero di aver visto la sera prima l’uomo riverso nella stessa posizione in cui venne poi trovato, ma di non aver sporto denuncia dato che sospettavano fosse semplicemente ubriaco.
L’autopsia ne stimò la morte verso le 2 del mattino del primo dicembre, ma non riuscì a determinarne la causa. Secondo l’anatomopatologo John Cleland, che esaminò il corpo, l’uomo aveva circa 40 anni, era fisicamente in forma e aveva un cuore sano, ma i suoi organi erano pieni di sangue e la sua milza era tre volte la sua dimensione normale. La causa della morte venne giudicata non naturale, e si ipotizzò che l’uomo avesse ingerito del veleno, sebbene nel suo organismo non ne fosse stata trovata alcuna traccia.
Nei giorni successivi la polizia fece varie ipotesi sull’identità della persona, che venne informalmente chiamata “l’uomo di Somerton”, dal luogo in cui era stato trovato il corpo. Inizialmente l’attenzione si concentrò su uomini dichiarati scomparsi nello stato del South Australia, ma poi le ricerche vennero allargate anche ad altri stati australiani, e nelle settimane successive il caso divenne di rilevanza nazionale.
Nell’impossibilità di identificare immediatamente l’uomo, il 10 dicembre la polizia decise di imbalsamarne il corpo, in modo da poter continuare le indagini, sperando che qualcuno lo riconoscesse.
Dopo sei mesi, però, non venne trovata nessuna corrispondenza tra l’uomo e le persone dichiarate scomparse, così il 14 giugno del 1949 il suo corpo venne seppellito in un cimitero di Adelaide in una tomba con la scritta: «Qui giace l’uomo sconosciuto che è stato trovato a Somerton Beach il primo dicembre del 1948». Dell’uomo venne anche realizzato un calco in gesso, dalle spalle in su, che conteneva alcuni capelli e che è conservato dalla polizia locale.
Una prima svolta nelle indagini si ebbe circa un mese dopo il ritrovamento del corpo: il 14 gennaio del 1949 il personale della stazione ferroviaria di Adelaide trovò una valigia senza etichetta depositata al guardaroba della stazione alle 11 del 30 novembre. All’interno c’erano diversi indumenti a cui erano state rimosse le etichette e un filo cerato non venduto in Australia, dello stesso tipo usato per riparare i pantaloni dell’uomo non identificato.
Su alcuni indumenti vennero però trovati i nomi “T. Keane, “Keane” e “Kean”, senza la “e” finale, oltre a tre etichette di lavanderie. La polizia cercò quindi persone disperse che si chiamassero “Keane” o “Kean”, ma le ricerche risultarono infruttuose. Analizzando i registri ferroviari, la polizia ipotizzò che l’uomo fosse arrivato la notte precedente nella stazione di Adelaide da Melbourne, Sydney o Port Augusta, che la mattina si fosse fatto una doccia nei bagni pubblici vicini alla stazione e che successivamente avesse preso un autobus per il quartiere Glenelg, vicino alla spiaggia di Somerton Park.
L’anatomopatologo John Cleland esaminò nuovamente il corpo nel giugno del 1949, e fece una scoperta che riaprì gli orizzonti di indagine: in una piccola tasca per le chiavi cucita all’interno dei pantaloni dell’uomo venne trovato un pezzo di carta arrotolato con stampata la scritta “Tamám Shud”. Le analisi successive rivelarono che in persiano voleva dire “Finito” e che era la frase conclusiva delle Rubʿayyāt, una raccolta di opere del poeta persianoʿUmar Khayyām, vissuto tra l’Undicesimo e il Dodicesimo secolo.
Il 22 giugno un uomo che chiese di rimanere anonimo consegnò alla polizia un’edizione del 1941 della traduzione delle Rubʿayyāt a opera del poeta Edward FitzGerald. L’uomo disse di averla trovato sul sedile posteriore della sua macchina, che aveva lasciato parcheggiata e con i finestrini aperti nel quartiere di Glenelg, non lontano da dove era stato trovato il cadavere. Nel libro mancava esattamente il pezzo di foglio con la scritta “Tamám Shud”; le analisi successive confermarono che il pezzo di foglio proveniva proprio da quel libro.
L’uomo che consegnò il libro alla polizia, identificato con lo pseudonimo Ronald Francis, disse di non aver avuto sospetti che il testo potesse essere legato al caso finché non ne aveva letto sui giornali il giorno prima. Non c’è però molta chiarezza su quando l’uomo avesse trovato effettivamente il libro, un dettaglio che poteva servire a fare chiarezza sul mistero: alcuni giornali all’epoca scrissero che il ritrovamento era avvenuto alcune settimane prima della scoperta del cadavere, mentre altre ricostruzioni parlarono di un momento successivo.
Ad ogni modo, sul retro del libro vennero trovate alcune scritte senza senso che contribuirono ad aumentare il mistero attorno al caso, e che nel corso degli anni hanno dato vita a diverse teorie. Le scritte erano disposte su cinque righe, di cui la seconda barrata, ed erano:
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Secondo diverse analisi, le scritte rappresentavano un codice segreto, che però nessuno è stato finora in grado di decifrare. Sul retro del libro era presente anche un numero di telefono che apparteneva all’ex infermiera Jessica Thomson, conosciuta anche come Jestyn, che abitava a circa 400 metri dal luogo di ritrovamento del cadavere. La donna disse alla polizia di non conoscere l’uomo trovato morto a Somerton, ma aggiunse che durante la Seconda guerra mondiale, mentre lavorava al Royal North Shore Hospital di Sydney, possedeva una copia delle Rubʿayyāt. Sostenne di averla regalata a un luogotenente dell’esercito australiano di nome Alf Boxall; per questo per un periodo la polizia credette che l’uomo trovato morto potesse essere proprio Boxall.
Boxall però era vivo, viveva a Sydney ed era ancora in possesso della sua copia del libro con la frase “Tamam Shud” al suo posto.
Le indagini si fermarono di fatto a questo punto, anche se vennero fatte numerose ipotesi sulla possibilità che “l’uomo di Somerton” fosse un agente segreto dell’Unione Sovietica, e che fosse stato ucciso in un qualche caso di spionaggio che avrebbe coinvolto l’Australia. Non sono mai arrivate conferme definitive su questa teoria, ma nel novembre 2013 emersero nuovi dettagli da un’intervista data dai familiari di Jessica Thomson, morta nel 2007, al programma televisivo “60 Minutes” di Channel 9.
Kate Thomson, figlia di Jessica, disse che sua madre le aveva confessato che aveva mentito quando era stata interrogata dalla polizia, e che conosceva l’identità dell’uomo di Somerton, così come la conoscevano anche «persone ad alti livelli».
Secondo Kate Thomson, sia sua madre che “l’uomo di Somerton” sarebbero stati entrambi spie dell’Unione Sovietica: Kate Thomson raccontò inoltre che sua madre sapeva parlare russo, ma disse di non sapere come e quando l’avesse imparato. Nell’intervista la vedova dell’altro figlio di Jessica Thomson, Robin, morto nel 2009, sostenne inoltre che “l’uomo di Somerton” sarebbe stato il padre di suo marito (quindi il compagno di Jessica Thomson). La riesumazione del cadavere dell’uomo servirà anche ad appurare questa ipotesi.
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