Una canzone di Stéphane Pompougnac
Se siete una di quelle persone speciali che sbattono nelle tazzine
Le Canzoni è la newsletter serale che ricevono gli abbonati del Post, scritta e confezionata da Luca Sofri (peraltro direttore del Post): e che parla, imprevedibilmente, di canzoni. L’indomani – il martedì, mercoledì e venerdì – la pubblichiamo qui sul Post, ci si iscrive qui.
Di Franco Battiato avevamo parlato per questa canzone qui; poi se ne volete delle altre sono qui; io lo conobbi con riconoscenza quando sostenne generosamente, come molti altri, le campagne per raccontare gli inganni sui processi che hanno riguardato la mia famiglia; poi fu una delle prime interviste, assai goffa e intimidita, che feci per un giornale; l’ultima volta lo vidi in un breve e bel concerto che fece cinque anni fa in un posto speciale, a Milano. Ma poi ce li avete tutti, i vostri ricordi con le canzoni di Battiato.
Sabato Paul Weller ha fatto un concerto al Barbican Center di Londra (bellissimo posto di architettura brutalista), con l’orchestra della BBC e un po’ di ospiti: pure Boy George a fare You’re the best thing. Qui invece My ever changing moods, sempre dai tempi Style Council.
Clumsy
Stéphane Pompougnac
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Ho passato il weekend in un ospitale bed and breakfast toscano, e sabato sera avevo delle cose del Post da finire e mi sono messo sul letto col computer aperto, in quella posizione che poi viene il mal di schiena, e devi stare attento a non far cadere il bicchiere instabilmente appoggiato nei pressi, e anzi, anche se io mi credo abbastanza cauto nei movimenti e consapevole degli ostacoli e degli spazi, meglio che lo metto per terra, il bicchiere, su queste meravigliose pianelle toscane, al sicuro. Meglio.
Finisco, chiudo il computer, scendo dal letto e travolgo il bicchiere, e i cocci sono miei.
Clumsy sarebbe una canzone dal piacevole e cullante andamento, di strumenti di elettronica dolcezza, e poteva anche bastare così. Ma Stéphane Pompougnac, che è un deejay francese oggi 53enne famoso soprattutto per i suoi ruggenti anni a cavallo dei millenni quando occupò i sottofondi di mezzo mondo con una serie di compilation intitolate a un albergo parigino molto cool, l’Hotel Costes, Stéphane Pompougnac dicevo, che la leggenda narra abbia iniziato la sua vita professionale lavorando come cameriere al Cafè Costes alle Halles, ovvero l’attività precedente dei fratelli Costes che poi avrebbero aperto l’albergo vicino a place Vendôme, Stéphane Pompougnac insomma nel 2003 fece un disco suo e in Clumsy mise a cantare Michael Stipe dei REM nientemeno, e la canzone dal piacevole e cullante andamento, di strumenti di elettronica dolcezza, diventò una torta con la ciliegina sopra, e con l’uso di una parola inglese che non ha mai avuto grandi attenzioni liriche, sarà perché vuol dire “maldestro”, ma ha un suono che invece sembra perfetto per infilarla in una canzone in cui poi riconoscervi se siete una di quelle persone speciali che sbattono nelle tazzine ogni volta che ne hanno una vicina.
Every time I stretch I knock the coffee off the bed
Et me réveille avec le désordre que j’ai laissé.
And wake up with the mess that I have left.
Et chaque fois que j’essaie de danser, je tombe.
And every time I try to dance, I fall down.
Traversant les choses maladroites que j’ai pu dire.
Running through the clumsy things I’ve said
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