La grossa batosta presa dalla destra cilena alle elezioni per l’Assemblea costituente
Il voto più importante in Cile dalla fine della dittatura è stato vinto da chi vuole riformare la Costituzione dei tempi di Pinochet
La coalizione di centrodestra che governa in Cile, guidata dal presidente Sebastián Piñera, ha preso una grossa batosta alle “megaelezioni” del fine settimana, considerate le più importanti tenute nel paese dalla fine della dittatura militare, nel 1990. Si votava per eleggere 346 sindaci e i governatori delle regioni cilene, ma soprattutto per decidere i 155 membri dell’Assemblea costituente, l’organo che avrà il compito di scrivere la Costituzione che sostituirà quella in vigore redatta durante il regime militare di Augusto Pinochet. Una nuova Costituzione era stata la richiesta principale delle enormi proteste anti-governative iniziate a Santiago del Cile nel 2019 e proseguite fino all’introduzione delle restrizioni per la pandemia da coronavirus.
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Con quasi tutte le schede scrutinate, la coalizione di Piñera, chiamata Chile Vamos, che includeva anche l’estrema destra, ha ottenuto 37 seggi, poco meno di un quarto del totale e molti meno di quanto si aspettava. L’obiettivo minimo per Chile Vamos era ottenere almeno un terzo dei seggi, visto che gli articoli nella nuova Costituzione dovranno avere due terzi dei voti dell’assemblea, per essere approvati: senza la possibilità di esercitare un veto, il governo avrà grosse difficoltà a impedire cambi radicali nel testo costituzionale, a meno di formare alleanze con altri gruppi politici dell’Assemblea.
I grandi vincitori sono stati i candidati indipendenti, cioè quelli non legati ad alcun partito, che hanno ottenuto quasi un terzo dei seggi (48). Il dato più rilevante è che l’insieme dei seggi ottenuti dagli indipendenti, dai rappresentanti delle comunità indigene (17, numero che era stato stabilito in precedenza) e dalle due grandi liste di opposizione, di sinistra – Apruebo Dignidad con 27 seggi e Lista de Apruebo con 25 seggi – ha superato i due terzi dei seggi totali dell’Assemblea: non è ancora chiaro come queste forze politiche collaboreranno, e se riusciranno a trovare un accordo sui punti più importanti della nuova Costituzione, ma il risultato elettorale permetterà alle forze riformiste di discutere ed eventualmente approvare cambiamenti più radicali da inserire nel testo finale.
Diversi osservatori hanno commentato il risultato elettorale parlando di una sconfitta per i partiti tradizionali, soprattutto per la coalizione al governo, i cui consensi avevano già subìto un crollo durante le proteste degli ultimi due anni.
Dopo la diffusione dei risultati, Piñera ha detto: «La cittadinanza ha mandato un messaggio forte e chiaro, al governo e a tutte le forze tradizionali. Non siamo sintonizzati in maniera adeguata con le richieste e i desideri dei cittadini. È nostro dovere ascoltare con umiltà e attenzione il messaggio della gente» (dal minuto 0.53 del video sotto). A molti, comunque, le parole di Piñera sono sembrate poco credibili: il presidente e i membri del suo governo erano già stati ampiamente criticati per “mancanza di empatia” verso i manifestanti, soprattutto per alcune dichiarazioni fatte nei primi mesi delle proteste che avevano lo scopo di minimizzare i problemi delle classi meno abbienti del Cile.
L’attuale Costituzione cilena fu introdotta nel 1980 durante il regime militare di Pinochet, e per anni il tema di una sua modifica sostanziale era stato presente nel dibattito pubblico.
Il governo conservatore di Piñera era stato costretto ad accettare il voto per un’Assemblea costituente dopo le enormi proteste iniziate nel 2019 per l’aumento del prezzo del biglietto della metropolitana della capitale Santiago, che si erano poi trasformate in qualcosa di più ampio: erano diventate manifestazioni contro il governo e contro le enormi differenze sociali ed economiche che caratterizzano il Cile, provocate in parte da meccanismi previsti nella Costituzione del 1980. I manifestanti avevano iniziato così a fare richieste più radicali, che erano sfociate nell’ottobre 2020 in un referendum sulla possibilità di cambiare la Costituzione, nel quale l’80 per cento dei votanti si era detto favorevole.
I lavori dell’Assemblea costituente inizieranno il mese prossimo. I membri del nuovo organo discuteranno tra le altre cose del sistema politico e di governo del paese – un “presidenzialismo alla cilena”, come viene chiamato – messo in discussione durante le proteste perché considerato inefficiente; affronteranno i temi della decentralizzazione e della regionalizzazione, molto importanti in un paese in cui il potere è fortemente centralizzato nella capitale Santiago (distante più di 3mila chilometri dall’estremo sud del paese), e dei diritti delle popolazioni indigene, nemmeno citate nell’attuale Costituzione, e in particolare del delicato rapporto tra i mapuche e il governo centrale; e poi decideranno su una serie di altre questioni fondamentali, come l’autonomia della Banca centrale, i poteri del Tribunale costituzionale, i diritti economici e sociali, e così via.
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Quello che uscirà dall’Assemblea costituente non sarà importante solo per il Cile, ma anche per diversi paesi dell’America Latina che per decenni hanno guardato al sistema cileno come a un modello da seguire.
Prima delle proteste del 2019, il Cile era elogiato per la sua stabilità politica ed economica. Per decenni il PIL pro capite cileno era stato superiore alla media della regione, e il governo era riuscito a ridurre in maniera considerevole la povertà. Paesi come Perù, Colombia, Messico ed Ecuador avevano imitato alcune delle riforme introdotte dal Cile, in particolare quelle che avevano spinto l’economia cilena ad adottare un modello neoliberista (come l’amministrazione privata dei fondi pensionistici). Lucía Dammert, sociologa peruviana ed esperta di cose latinoamericane, ha detto a BBC Mundo: «Questo modello fu importato in vari paesi della regione e dovrebbe essere messo in discussione anche in posti come Colombia, Perù ed Ecuador. Per questo l’America Latina deve stare attenta a quanto del “modello cileno” sopravviverà al cambio della Costituzione».
La Costituzione che risulterà dai lavori dell’Assemblea costituente sarà importante anche per un’altra ragione: sarà la prima al mondo scritta da un organo formato per metà da donne. Per questo molti credono che toccherà temi rimasti ai margini finora, come la parità di salario e l’accesso paritario tra donne e uomini a posizioni di potere. «L’agenda del femminismo sarà centrale, e questo sarà un aspetto innovativo, che potrà avere effetti interessanti per tutta l’America Latina e per il resto del mondo, perché si vedrà cosa succede quando le donne si trovano in una condizione di uguaglianza nel redigere le nuove regole di una società», ha detto Marcela Ríos, che lavora al Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo in Cile.
L’Assemblea costituente avrà nove mesi di tempo per presentare un nuovo testo costituzionale (il processo si potrà poi allungare di tre mesi, ma solo una volta). A metà del 2022 i cileni saranno chiamati a esprimersi nuovamente in un referendum per approvare o bocciare la nuova Costituzione.