Manuale per una borsa di successo
Storia di Medea, un marchio di due sorelle italiane diventato in tre anni un caso internazionale, indossato da Rihanna e Beyoncé
Scorrendo le ultime foto pubblicate su Instagram da Beyoncé, che ha 176 milioni di follower ed è una delle cantanti più famose al mondo, saltano all’occhio delle borsette che ricordano le buste plastificate o di cartone dove si infilano gli acquisti fatti nei negozi. Invece sono borse in pelle Medea, un marchio italiano fondato nel 2018 dalle gemelle bresciane Giulia e Camilla Venturini e diventato in pochissimo tempo “di culto”, come si dice, apprezzato da artisti, celebrità – prima di Beyoncé c’era stata Rihanna, nel 2019, seguita da modelle come Gigi Hadid e Kaia Gerber e attrici come Tessa Thompson e Brie Larson – e appassionati di moda di tutto il mondo.
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Beyoncé con una Medea nata dalla collaborazione con Kiko Kostadinov
La storia di Medea sembra quasi un manuale di quel che serve a un’azienda di moda appena nata per diventare un successo internazionale: parte da un’idea forte, si appoggia su una rete di conoscenze costruite negli anni e si fa strada con una serie di collaborazioni e campagne di comunicazione che funzionano, facendola emergere tra la moltitudine di altri marchi che si vedono nelle vetrine e sui social network.
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Beyoncé con una Medea Hannah
Alla base del progetto di Medea ci sono la storia e le personalità delle sue fondatrici, che si sono fatte un nome lavorando nel mondo dell’arte e della moda, accumulando conoscenze e contatti. «Il marchio è nato tre anni fa e allora io e Giulia facevamo tutt’altro, avevamo sempre voluto fare qualcosa insieme ma la distanza non aiutava», racconta Camilla Venturini. «Io vivevo a New York da dieci anni mentre Giulia si spostava tra Milano e Parigi; io lavoravo nel self-publishing di libri d’arte e fotografia, Giulia faceva parte del team di Toilet Paper», la rivista fondata dall’artista Maurizio Cattelan e dal fotografo Pierpaolo Ferrari. Quegli anni trascorsi in città lontane ma in contesti simili le hanno aiutate a «costruire un network di persone abbastanza solido – spiega Giulia – che poi ha sostenuto e spinto il progetto Medea una volta nato».
Il progetto Medea si appoggia a un processo creativo che ricorda quello dei marchi più rinomati di streetwear – il modo di vestire della strada, che dalla strada prende ispirazione – e al gusto per il sovvertimento e per la presa alla sprovvista di un certo mondo artistico contemporaneo. Mescola infatti l’idea di ispirarsi a comportamenti e scene di vita quotidiana a quella di estrapolare dal suo contesto un oggetto prosaico, come il sacchetto di carta, riproponendolo in una versione preziosa.
«Una volta eravamo a una festa a Parigi» racconta Camilla Venturini, «erano le due di notte e c’era un ragazzo con il sacchetto di un negozio: mi era sembrata una cosa chicchissima anzi no, mi era sembrata una cosa LOL [acronimo di laughing out loud, cioè che fa ridere, ndr] vedere una persona che era andata a fare shopping e poi era andata al club». Un altro spunto è l’abitudine di riutilizzare a lungo i sacchetti di carta di un marchio costoso, come «quelle persone dell’Upper East Side di New York che vanno in giro con una busta di Hèrmes per dieci anni, usandola in modo alternativo». Da qui l’intuizione di proporre una borsa all’apparenza comune che, toccata e osservata da vicino, si rivela curata e preziosa, creando un contrasto molto forte.
Il primo modello Medea si chiama Prima ed è tuttora il più venduto insieme alle taglie più piccole e accessibili – «è un marchio giovane e di solito si compra la cosa più iconica e riconoscibile», spiegano – mentre il nome dell’azienda è un omaggio all’omonimo film del 1969 di Pierpaolo Pasolini, un autore che ha molto influenzato le fondatrici.
A quel punto il prodotto c’era e bisognava trovare il modo giusto di promuoverlo. «Abbiamo fatto un prototipo, abbiamo realizzato una trentina di borse e le abbiamo inviate come regalo a 30-40 nostri amici: era una rete di persone del mondo dell’arte, della fotografia, della moda e addetti ai lavori, nata non alle feste ma attraverso i rapporti lavorativi» spiega Camilla Venturini. «Per questo erano persone interessate al nostro progetto personale, volevano vedere cosa avevamo combinato». Giulia aggiunge che «la risposta su internet è stata molto forte perché le borse sono piaciute e così sono state viste da Selfridges [una catena di grandi magazzini di lusso fondata a Londra, ndr] che le ha ordinate per venderle nei suoi negozi».
Nel frattempo era arrivata anche la collaborazione in edizione limitata con la fotografa statunitense Nan Goldin, nota soprattutto per The Ballad of Sexual Dependency (1986), una raccolta di ritratti dei suoi familiari e amici, tra cui molti gay e tossicodipendenti, impegnati in azioni intime e quotidiane: fare sesso, mangiare, drogarsi, uscire insieme. «Avevamo fatto una lista di artisti con cui avremmo voluto collaborare, lei era la prima. Non la conoscevamo, abbiamo scritto al suo studio e lei ha accettato di collaborare con noi: le borse le sono piaciute, sono un veicolo alternativo per comunicare la sua fotografia».
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Una fotografia della campagna Nan Goldin x Medea, scattata a Parigi dalla stessa Nan Goldin
A quel punto Medea poteva poggiare su una rete di persone influenti e sul nome di un’artista stimata e apprezzata in tutto il mondo: l’ultimo tassello di questo «incastro di persone giuste al momento giusto» è stata la campagna promozionale realizzata dall’artista e truccatrice britannica Ysamaya Ffrench, che ha collaborato anche con musiciste come Rihanna, Miley Cyrus e modelle come Kim Kardashian e Kendall e Kylie Jenner. Ffrench è famosa per sfidare le norme di bellezza convenzionali attraverso trucco e protesi e per la pubblicità di Medea ha applicato due nasoni adunchi alle gemelle Venturini: il risultato sono immagini «di forte impatto» che hanno contribuito a far conoscere le borse e convinto i responsabili di negozi importanti, come i già citati Selfridges, la boutique Broken Arm di Parigi e Dover Street Market, un rivenditore di lusso aperto a Londra dalla stilista Rei Kawakubo, a rivenderle sui propri scaffali.
Nonostante l’ottimo lancio, Medea «non era ancora un marchio popolare che si vedeva per strada – spiega Camilla Venturini – era di nicchia, lo portava per esempio chi lavorava in una galleria d’arte» e si faceva conoscere attraverso il passaparola e i social network. Arrivò alle celebrità perché alcune borse furono ordinate dai negozi dove facevano abitualmente shopping, come appunto Dover Street Market a Londra. Qui, nel maggio del 2019, vennero notate e acquistate da Rihanna, che pubblicò una foto su Instagram mentre indossava una Prima: «è stata una svolta che ha elevato il progetto: Rihanna ha un seguito molto forte e ha dato una sorta di approvazione alle Medea», tante persone hanno iniziato a desiderarle e la stampa si è accorta in massa della loro esistenza. Per tutto l’anno si sono viste sui social network e sui giornali di moda fotografie di attrici, cantanti e personaggi del mondo dello spettacolo con sottobraccio una Medea, tanto che i giornali di moda le definirono subito le nuove “it-bag delle celebrities“, cioè la borsa del momento per le celebrità.
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Le Venturini sono riuscite a cavalcare l’onda di questa pubblicità senza aprire le vendite indiscriminatamente: le borse Medea si possono comprare sul sito dell’azienda e poi soltanto su alcuni rivenditori e negozi selezionati: «non vogliamo bruciarci e non vogliamo perdere il controllo del marchio: ci sono state tante richieste da parte dei negozi ma noi abbiamo mantenuto la stessa linea di distribuzione e non ci siamo fatte prendere troppo dal momento». Non c’è un limite al numero di produzione delle borse, ma si trovano soltanto in una cinquantina di negozi al mondo; anche la diffusione online è contenuta perché «è difficile da gestire e rischi di perdere il controllo della tua immagine». In Italia, per esempio, le Medea si possono comprare da Banner, Cose, Gibot, Macondo, Voga, Wise, Julian mentre a livello internazionale si trovano, oltre che da Selfridges e Broken arm, da United Arrows, Ssense, Gr8, Printemps, My Boon.
Da allora sono nati nuovi modelli – come la Hanna, una borsetta da giorno di medie dimensioni dedicata all’attrice tedesca Hanna Schygulla – e nuove collaborazioni. Tra tutte, quelle con l’artista pop newyorkese Judith Bernstein e con gli stilisti Kiko Kostadinov e Peter Do. Le collaborazioni, tipiche dello streetwear e sempre più adottate anche dai marchi di lusso, sono particolarmente utili perché «ti aiutano ad aprire delle porte che altrimenti non riusciresti ad aprire», come penetrare un mercato o raggiungere un pubblico nuovo.
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È anche in questo modo che le Medea sono arrivate in Asia, per esempio attraverso le collaborazioni con lo stilista Peter Do, nato in Vietnam , e il bulgaro Kostadinov. Nonostante questo successo internazionale, Medea rimane un marchio italiano con sede a Milano perché «restare vicino alla produzione, che avviene a Verona, per noi è fondamentale. E poi perché Milano ci piace, entrambe abbiamo vissuto a lungo all’estero e non abbiamo la smania di andarci. Viaggiamo tanto e Milano ci dà una base solida, la qualità della vita è molto alta e gli spostamenti sono facili».
Judit Bernstein x Medea
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Prima dell’arrivo del coronavirus erano stati fissati diversi viaggi per promuovere le Medea in Cina, in Giappone e nel Nord Europa. «Stavamo iniziando a viaggiare tantissimo, poi il coronavirus ha cambiato le cose» spiegano. «Mi ricordo che l’ultimo evento che avevamo organizzato prima del lockdown era una festa a Parigi in un negozio di Broken Arm, era un piccolo concerto con 50 persone ma tra loro c’era Kanye West; poi si è chiuso tutto». Le vendite di Medea non sono calate, si sono stabilizzate e le Venturini hanno approfittato del momento per curare altri aspetti dell’azienda: «per esempio stiamo rifacendo tutto il sito per cui prima non avevamo avuto tempo». Anche durante il lockdown, Medea ha cercato di mantenere un contatto, una presenza con il suo pubblico e lo ha fatto soprattutto attraverso la musica, chiedendo ad artisti e musicisti di creare delle playlist, le Medea Music Series su Spotify e Apple Music, a dimostrazione che attorno al marchio si è creata una piccola comunità che si identifica nel suo gusto e nei suoi valori e non soltanto nei suoi prodotti.
Questa pausa di riflessione ha anche permesso di ripensare il futuro di Medea: «abbiamo sviluppato tante borse nuove mentre per ora non abbiamo intenzione di fare dei vestiti, ma non è facile continuare a proporre qualcosa che rimanga iconico», spiegano. «Vogliamo che Medea resti un brand rilevante, che propone delle figate in termini di prodotto e comunicazione. Per esempio poco prima del Covid avevamo fatto un casting con l’idea di creare un musical o un video tramite il nostro marchio: avevano risposto tantissime persone da tutto il mondo, abbiamo dovuto sospenderlo ma ora vorremmo riprenderlo».
Le borse Medea sono quindi un punto di partenza per la creazione di nuovi progetti artistici e musicali che riflettano il gusto e l’immaginario delle sorelle Venturini: «la borsa sta diventando una scusa attorno a cui ruotano mille possibilità, vogliamo concentrarci non solo sulla produzione di oggetti ma sulla creazione di una piattaforma nel mondo dell’arte e della musica, anche perché il nostro pubblico non è solo interessato alle borse, agli oggetti e alla moda». Nel frattempo è uscita anche la felpa con il logo, un’operazione che di solito si fa abbastanza presto nello streetwear ma per cui Medea ha aspettato tre anni e che indica come non sia più soltanto una borsa che ha avuto successo, ma un piccolo mondo in cui identificarsi.
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