I difficili negoziati per una tregua, tra Israele e Striscia di Gaza
Diversi paesi sono impegnati a convincere le due parti a fermare i combattimenti, ma non sembra facile, per varie ragioni
Nonostante gli sforzi diplomatici e i tentativi di mediazione di diversi paesi del mondo, una tregua non sembra imminente tra Israele e i gruppi armati palestinesi della Striscia di Gaza, che da una settimana stanno combattendo una nuova guerra. Domenica il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha escluso l’ipotesi di un immediato cessate il fuoco, mentre il Consiglio di Sicurezza dell’ONU, l’organo più influente e potente delle Nazioni Unite, è bloccato anche a causa della riluttanza degli Stati Uniti a fare pressioni su Israele per fermare i bombardamenti.
Lunedì mattina Israele ha compiuto una serie di attacchi aerei molto violenti in diversi punti della Striscia di Gaza e a Gaza, la città principale dell’area: «Le esplosioni hanno scosso la città da nord e sud per dieci minuti, in un attacco che è stato più intenso, più esteso e più lungo dei bombardamenti aerei che 24 ore prima avevano ucciso 42 palestinesi, in quello che era stato il singolo attacco più grave e violento dall’inizio della guerra», ha scritto Associated Press. I media locali hanno riportato che gli attacchi hanno colpito anche la principale strada costiera che attraversa la città di Gaza, mentre la società che distribuisce energia elettrica ha aggiunto che in un altro bombardamento è rimasta danneggiata una linea che collega l’unica centrale elettrica del territorio ad ampie zone nel sud della Striscia.
Anche Hamas, il gruppo radicale che governa di fatto la Striscia di Gaza, ha intensificato il lancio di razzi verso aree civili israeliane. La stragrande maggioranza dei razzi è stata intercettata dal sistema antimissilistico di difesa israeliano Iron Dome, ma almeno uno ha colpito una sinagoga nella città di Ashkelon, che si trova appena 13 chilometri a nord del confine: per il momento non ci sono notizie di feriti.
Dall’inizio della guerra, sono stati uccisi 188 palestinesi della Striscia di Gaza, inclusi 55 bambini, e otto israeliani, tra cui un bambino e un soldato. Secondo l’inviato per il Medio Oriente dell’ONU, Tor Wennesland, nell’ultima settimana 24mila palestinesi sono stati costretti a lasciare la loro casa.
Nonostante i combattimenti in corso siano i più intensi dalla guerra del 2014, l’ultima che venne combattuta tra Israele e Striscia di Gaza, per il momento non sembra essere imminente una tregua o un cessate il fuoco.
Il governo israeliano non sembra interessato a trovare presto un accordo con Hamas, anche perché, come ha scritto il Financial Times, per Netanyahu l’inizio della guerra è stata una grande opportunità politica. Netanyahu aveva infatti appena fallito nei suoi tentativi di formare un governo e i suoi rivali erano sul punto di trovare un accordo per far diventare nuovo primo ministro Naftali Bennet, leader del partito Yamina; inoltre, con l’apertura dei tribunali dopo le restrizioni imposte per la pandemia da coronavirus, stava per riprendere a pieno ritmo anche il processo contro di lui per corruzione.
«Netanyahu non aveva più carte da giocarsi, ed è stato salvato in corner», ha detto Aviv Bushinsky, ex assistente di Netanyahu.
Con gli attacchi degli ultimi giorni, Netanyahu ha potuto liberarsi dalle critiche provenienti da destra che lo accusavano di essere troppo morbido con Hamas e di avere attuato per anni una politica di eccessive concessioni ai governanti di Gaza, che aveva incluso per esempio la possibilità per il Qatar di pagare gli stipendi ai dipendenti pubblici della Striscia. Ha trovato inoltre appoggio nella rabbia della destra israeliana (che da tempo domina la politica del paese) verso la minoranza araba, che rappresenta un quinto dei cittadini israeliani ma che da decenni è accusata di tradire la causa sionista.
– Leggi anche: Non è una guerra alla pari
Anche a livello internazionale sembra difficile che si possa esercitare grande pressione su Israele per fermare gli attacchi su Gaza.
Domenica si sono incontrati i diplomatici del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, senza arrivare a granché. Uno degli ostacoli maggiori sembra essere la riluttanza del presidente statunitense Joe Biden a fare dichiarazioni pubbliche per spingere il governo israeliano ad accettare un cessate il fuoco immediato. Gli Stati Uniti sostengono di avere avviato tutti i canali diplomatici possibili per facilitare un accordo tra le parti, ma gli sforzi per ora non sono sembrati troppo convinti: sia per la tradizionale alleanza che lega i due stati, e che finora ha sempre frenato il governo americano dall’avanzare critiche troppo esplicite verso Israele, sia per la volontà di Biden di reindirizzare le risorse di politica estera dal Medio Oriente verso altre aree del mondo, tra cui l’Asia.
Per questo da giorni gli Stati Uniti stanno bloccando gli sforzi di Cina, Norvegia e Tunisia di far approvare una dichiarazione unica e ufficiale da parte del Consiglio di Sicurezza che includa anche la richiesta di fermare le ostilità.
Domenica si sono incontrati anche i rappresentanti di diversi stati islamici per chiedere a Israele di fermare i bombardamenti contro la Striscia di Gaza. Durante la riunione, alcuni paesi, tra cui la Turchia, hanno criticato la normalizzazione dei rapporti diplomatici con Israele da parte degli Emirati Arabi Uniti, del Bahrein e di altri stati di religione musulmana, accusandoli di avere sacrificato la causa palestinese per vantaggi propri. Non è la prima volta che se ne parla: già durante tutta l’ultima settimana si era tornati a dibattere delle conseguenze che avevano avuto le normalizzazioni dei rapporti con Israele, avvenute a partire dall’agosto 2020, e che già allora avevano fatto parlare di una grossa sconfitta per i palestinesi perché di fatto rompevano il fronte dei paesi arabi contro Israele.
– Leggi anche: L’accordo tra Israele ed Emirati Arabi Uniti, spiegato bene
Domenica comunque era stato accertato che le due parti del conflitto erano tornate a parlare tramite canali diplomatici e militari, dopo giorni di silenzio. Haaretz aveva pubblicato un articolo molto informato del corrispondente militare Amos Harel secondo cui Hamas aveva fatto arrivare a Israele la richiesta di raggiungere rapidamente un cessate il fuoco: Israele aveva risposto che non c’erano le condizioni per un accordo del genere, ma al contempo aveva fatto capire che la situazione avrebbe potuto cambiare a breve.