La pandemia sta condizionando anche le scalate sull’Everest
Alcuni alpinisti stanno lasciando il campo base per l'aumento dei contagi in Nepal, la Cina ha annullato le spedizioni dal lato tibetano
Nelle ultime due settimane in Nepal, un piccolo stato dell’Asia meridionale tra l’India e la Cina, c’è stato un notevole aumento dei contagi e dei morti causati dal coronavirus: gli ospedali non riescono a ricoverare tutti i pazienti che necessitano di cure e l’epidemia sta minacciando anche l’industria delle scalate sulla catena montuosa dell’Himalaya, su cui si basa una parte importante dell’economia del paese.
La situazione epidemiologica nepalese si è aggravata in modo simile a quanto è successo in India, dove all’inizio di maggio sono stati superati i 400mila casi giornalieri. Anche in Nepal i contagi sono aumentati da 136 casi confermati, l’1 aprile, a circa 9mila al giorno negli ultimi giorni, e come in India la situazione si è aggravata a causa della mancanza di ossigeno, essenziale per prestare soccorso ai pazienti con difficoltà respiratorie.
Nella capitale Katmandu la situazione è critica così come nelle zone al confine con l’India, ma il coronavirus è arrivato anche al campo base del monte Everest, dove circa 1.500 tra alpinisti e sherpa si sono riuniti per quella che doveva essere una delle stagioni di scalata più impegnative di sempre.
L’arrivo del virus ha causato notevoli problemi e preoccupazioni con conseguenze per l’economia, sostenuta anche grazie ai costosi permessi concessi dalle autorità nepalesi per scalare la montagna più alta del mondo. Quest’anno il Nepal ha concesso più di 400 permessi, il numero più alto di sempre.
Lukas Furtenbach, un austriaco che sta guidando una spedizione sull’Everest, ha detto al Financial Times che l’Himalayan Rescue Association, che gestisce un ambulatorio medico al campo base, aveva confermato almeno 30 contagi. «Ogni spedizione ha preso diverse precauzioni: non ci sono protocolli ufficiali», ha detto Furtenbach, aggiungendo che il suo gruppo aveva chiuso il campo agli estranei e imposto rigide misure per escludere la trasmissione del contagio.
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Nonostante i tentativi di garantire più sicurezza, Furtenbach ha confermato alla CNN di aver annullato la spedizione. «Sarebbe irresponsabile salire in vetta con i contagi in aumento e rischiare la vita di 20 clienti, quattro guide e 27 sherpa», ha detto. Furtenbach ha anche spiegato di essere «molto sorpreso che non venga deciso nulla dalle autorità nepalesi».
Al momento il Nepal non ha confermato ufficialmente nessun caso. Rojita Adhikari, una giornalista nepalese risultata positiva al coronavirus dopo essere tornata dal campo base il mese scorso, ha spiegato che le autorità non confermano i contagi per evitare di annullare la redditizia stagione delle scalate. I tentativi di salire sulla vetta non si sono fermati: almeno 150 alpinisti sono riusciti a portare a termine la scalata martedì, secondo Alan Arnette, che gestisce un blog con aggiornamenti puntuali sulle spedizioni.
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Sul lato tibetano della montagna, invece, le cose sono andate diversamente. La Cina ha sospeso la stagione delle scalate a causa del pericolo di contagi e i 21 alpinisti che avevano ricevuto il permesso hanno iniziato a smontare tende e attrezzature. Il 9 maggio le autorità cinesi avevano annunciato che sarebbe stata istituita una “linea di separazione” sul monte Everest per evitare che gli alpinisti che arrivavano dal versante nepalese entrassero in contatti con quelli provenienti dal lato cinese. Non è chiaro se con il blocco delle spedizioni la linea di separazione verrà comunque tracciata.
Nonostante le stringenti misure restrittive introdotte in Nepal, è difficile prevedere quale sarà l’andamento dei contagi e dei morti nelle prossime settimane. La curva dei nuovi casi sembra che abbia raggiunto il picco, ma la situazione negli ospedali è ancora piuttosto delicata. «È possibile che entro i prossimi 10 giorni potremmo alzare la mano e dire “non possiamo fare più niente”», ha detto al Financial Times Sunil Sharma, responsabile della chirurgia all’ospedale Mediciti di Katmandu. Nell’ospedale sono state ricoverate 130 persone in condizioni critiche e il pronto soccorso ha smesso di accettare nuovi pazienti a causa della mancanza di ossigeno.