Israele sta bombardando Gaza anche da terra
Nella notte sono iniziate le operazioni accompagnate da lanci di razzi e attacchi aerei sempre più intensi, i peggiori dal 2014
Giovedì sera l’esercito israeliano ha annunciato di avere iniziato ad attaccare i gruppi armati palestinesi della Striscia di Gaza anche via terra, con l’artiglieria, dopo giorni di intensi bombardamenti aerei. Inizialmente l’annuncio aveva fatto pensare che i soldati israeliani, ammassati nei giorni scorsi ai confini della Striscia, avessero iniziato un’invasione di terra, come quella compiuta nell’ultima guerra combattuta tra le due parti nel 2014; poi però l’esercito aveva chiarito che non era così. L’opzione dell’invasione, comunque, non è ancora stata scartata dal governo israeliano.
Gli scontri in corso tra Israele e gruppi della Striscia sono i più intensi da anni. I gruppi palestinesi hanno già lanciato 1.800 razzi, circa un terzo di quelli impiegati in tutta la guerra del 2014, mentre sembra che nella notte tra giovedì e venerdì Israele abbia compiuti i bombardamenti aerei più violenti di questi giorni, colpendo l’area di Gaza. Il rosso delle esplosioni ha illuminato più volte il cielo sopra la Striscia, ha scritto Associated Press, e «gli attacchi sono stati così forti che le urla di paura sono state sentite dalle persone dentro la città, a parecchi chilometri di distanza».
Finora nei combattimenti sono stati uccisi 115 palestinesi della Striscia di Gaza, di cui 27 minori, e sette israeliani, di cui un soldato.
Nonostante i tentativi di mediazione di Egitto, Qatar e ONU, sembra per ora che nessuna delle due parti abbia intenzione di fare un passo indietro.
Giovedì sera il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha detto che Hamas, il gruppo radicale palestinese che governa di fatto la Striscia di Gaza, pagherà un «prezzo molto alto» per le sue azioni: «Continueremo a fare quello che stiamo facendo con grande intensità. L’ultima parola non è ancora stata pronunciata e questa operazione proseguirà per tutto il tempo necessario». Anche i gruppi di Gaza hanno detto di voler continuare nella loro offensiva, che dal punto di vista militare è molto meno efficace di quella di Israele, visto che circa il 90 per cento dei razzi sparati dalla Striscia ed entrati in territorio israeliano è stato intercettato e distrutto da Iron Dome, potente sistema di difesa antimissilistico introdotto nel 2011 e sviluppato con l’aiuto e i finanziamenti degli Stati Uniti.
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La situazione è ancora più complicata a causa di quello che sta succedendo in diverse città miste israeliane, quindi abitate da importanti comunità di arabi e di ebrei. Le violenze che si vedono da giorni tra le due comunità sono le peggiori dai tempi della seconda Intifada, la rivolta araba contro Israele iniziata nel 2000, 21 anni fa. Per questo si è iniziato a parlare del rischio di una guerra civile.
Giovedì Netanyahu ha visitato la città di Lod, nel centro di Israele, una delle più colpite dalle violenze degli ultimi giorni e verso cui il governo israeliano ha deciso di usare poteri di emergenza: qui giovani arabi israeliani hanno incendiato sinagoghe e automobili di proprietà di ebrei israeliani, hanno lanciato pietre e sparato occasionalmente colpi di arma da fuoco; e gruppi di vigilanti ebrei, sembra provenienti per lo più da fuori, hanno contrattaccato usando strumenti simili. Atti di violenza sono stati compiuti anche in altre città israeliane che finora avevano visto una coesistenza relativamente pacifica tra le due comunità.
La questione della convivenza, comunque, è stata assai discussa in questi giorni, perché molti ritengono che le recenti violenze siano state il risultato delle politiche discriminatorie attuate in maniera sistematica dal governo di Netanyahu, nazionalista e di destra, verso gli arabi israeliani.
Per esempio nel 2018 Israele approvò la legge “Stato della nazione ebraica”, una controversa norma che definisce ufficialmente Israele come uno stato esclusivamente ebraico. Tra le altre cose, la legge stabilisce che l’estensione degli insediamenti – cioè le colonie abitate da ebrei israeliani in territorio palestinese – sia interesse nazionale di Israele, e rimuove l’arabo dalla categoria di “lingua ufficiale” del paese insieme all’ebraico, garantendogli solo uno “status speciale”.