Per le vaquita le cose vanno malissimo
Sono rimasti meno di 20 esemplari dei piccoli cetacei con gli occhi da panda, indirettamente minacciati dalla criminalità organizzata messicana e dalla Cina
A volte capita che i tentativi di salvare una specie animale in via d’estinzione causino episodi di violenza tra le persone. Alla fine dell’anno scorso era successo in Messico: il 31 dicembre un pescatore era morto per le ferite dovute alla collisione tra la sua imbarcazione e una nave di Sea Sheperd, un’ong di difesa della fauna marina. Prima dello scontro, avvenuto in una zona protetta del golfo di California, gli attivisti ambientalisti stavano rimuovendo – d’accordo con le autorità messicane – delle reti fissate illegalmente ai fondali; un gruppo di pescatori voleva impedirglielo e per questo si era avvicinato e aveva cominciato a lanciargli contro delle bombe incendiarie.
Le specie animali coinvolte in questa vicenda sono due e vivono entrambe solo nel golfo di California. Una è la specie di mammiferi marini più a rischio d’estinzione del mondo, le vaquita (Phocoena sinus): sono anche i più piccoli tra tutti i cetacei, hanno una forma simile a quella dei delfini e sono riconoscibili per il muso prominente e gli occhi contornati di nero, come quelli dei panda. Secondo le ultime stime dei naturalisti, risalenti al 2018, ne restano 19 esemplari. L’altra specie è a sua volta a rischio d’estinzione, anche se non tanto quanto le vaquita: sono i totoaba (Totoaba macdonaldi), grossi pesci che possono crescere fino a 2 metri di lunghezza e 100 chili di peso.
In Messico i totoaba sono una specie protetta dal 1975: la pesca intensiva a partire dagli anni Sessanta ne aveva fatto diminuire moltissimo la popolazione. Tuttavia continuano a essere pescati illegalmente perché sono richiestissimi in Cina. Per la precisione lo è la loro vescica natatoria, cioè l’organo che permette a molti pesci di galleggiare: essiccata, viene considerata una prelibatezza nella cucina cinese ed è usata anche nella medicina tradizionale orientale. Secondo l’ong Earth League International, una vescica natatoria di totoaba essiccata e invecchiata per 10 anni può essere venduta per l’equivalente di 70mila euro al chilo in Cina. Per questo la criminalità organizzata messicana ha grandi interessi nel traffico dei totoaba e la pesca illegale di questi pesci è una delle sue attività.
A differenza dei totoaba, le vaquita non hanno un valore nel mercato del commercio illegale di specie animali, ma tutta questa vicenda le riguarda comunque perché restano impigliate nelle reti usate per catturare i totoaba. Si tratta di un tipo di tramagli, reti da posta fissate ai fondali, composte da due reti laterali a maglie larghe con una mediana, che di solito resta meno tesa, e a maglie più piccole. Da alcuni anni sono vietate nel nord del golfo di California, proprio per proteggere le vaquita, ma vengono comunque usate non solo da chi pesca illegalmente i totoaba, ma anche dai pescatori che si occupano di halibut e gamberi.
Essendo mammiferi, le vaquita hanno bisogno di risalire periodicamente in superficie per respirare, quindi se restano impigliate nelle reti e non riescono a liberarsi affogano.
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Si conoscono da molto tempo i rischi a cui sono esposte le vaquita – erano già una specie poco numerosa negli anni Cinquanta e si stima che tra il 1997 e il 2008 la popolazione si sia più che dimezzata – ma le autorità messicane non sono mai riuscite a prendere provvedimenti davvero efficaci per difenderle. Oltre a vietare l’uso dei tramagli, hanno organizzato pattuglie della marina militare che, insieme alle ong come Sea Sheperd, rimuovono le reti illegali, e hanno fornito sussidi ai pescatori per disincentivare la pesca di frodo. Tuttavia l’area in cui vivono le vaquita è molto vasta (più di 1.800 chilometri quadrati vicino alla città di San Felipe) e non è possibile impedire del tutto le attività illegali.
La situazione è complicata dal fatto che i pescatori del golfo di California sono molto poveri, possono svolgere poche altre attività remunerative, e per le organizzazioni criminali, molto potenti in Messico, non è difficile farli lavorare per loro. Il governo inoltre ha mantenuto un atteggiamento ambiguo, lasciando di fatto impunite le persone che praticano la pesca di frodo.
Le organizzazioni che cercano di difendere le ultime vaquita e i totoaba, oltre a collaborare con le autorità rimuovendo le reti illegali, cercano di convincere i pescatori a dedicarsi ad attività economiche alternative, come l’allevamento delle ostriche, o a usare reti da cui le vaquita riescano a liberarsi.
Tra queste organizzazioni c’è il Museo de la Ballena di La Paz, capitale dello stato della Bassa California del Sud: il 31 dicembre 2020, dopo lo scontro tra i pescatori e Sea Sheperd, una sua nave che si trovava ormeggiata nel porto di San Felipe è stata assaltata da un gruppo di persone arrabbiate, che voleva dare fuoco all’imbarcazione per protestare contro le ong. L’equipaggio della nave è riuscito a farla allontanare in tempo; l’unico danno è stata la rottura dei finestrini. Una nave della marina messicana invece è stata effettivamente bruciata.
Da allora le ong hanno smesso di occuparsi dei tramagli illegali: il Museo de la Ballena sta aspettando il permesso delle autorità per ricominciare a farlo, mentre le navi di Sea Sheperd non sono ancora tornate a San Felipe dall’incidente di fine anno. Le famiglie dei pescatori accusano i membri dell’ong di aver volontariamente causato la collisione del 31 dicembre.
Il governo messicano invece sta prendendo in considerazione varie strategie per riappacificare gli animi. Una delle opzioni sarebbe cancellare la protezione che riguarda i totoaba; un’altra permettere la pesca di altre specie nella zona in cui ora è vietata ogni attività. Intanto sono state distribuite ai pescatori tremila reti che non mettono a rischio le vaquita: il problema è che forse non vengono usate perché, a detta dei pescatori, riducono il pescato dell’80 per cento.