Non sono “pollini”, quei batuffoli bianchi
I pappi dei pioppi vengono spesso chiamati così, erroneamente: i veri pollini sono invisibili
Tra aprile e maggio, quando non piove, l’aria delle città italiane si riempie di leggeri batuffoli bianchi, soprattutto nella pianura Padana. Sono comunemente chiamati “pollini”, ma non lo sono: i pollini, che sono i granuli grazie ai quali molte piante si riproducono, sono invisibili a occhio nudo e portano su di sé gli equivalenti vegetali degli spermatozoi. I ben visibili batuffoli bianchi sono invece strutture leggerissime che trasportano i semi – l’equivalente vegetale degli embrioni – di un particolare genere di alberi, i pioppi. Per questo vengono anche chiamati “lana dei pioppi”, anche se il termine esatto per definirli sarebbe “pappi”.
Molti se ne lamentano ritenendo che causino reazioni allergiche, come i pollini appunto, ma si tratta di una convinzione scorretta, almeno in parte.
I pappi infatti sono fatti di cellulosa, una sostanza anallergica. Possono tuttavia accentuare i disturbi delle persone con allergie perché sulla loro superficie possono aderire pollini di altre specie di piante che fioriscono nello stesso periodo di diffusione dei pappi (tra cui le graminacee), o polveri sottili prodotte dal traffico stradale. È un fenomeno simile a quello che riguarda le allergie ai gatti: si pensa che siano i peli di questi animali a causare le reazioni allergiche, mentre in realtà i peli fanno solo da deposito delle sostanze che provocano le allergie, contenute ad esempio nella saliva.
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Un fastidio che invece i pappi possono causare direttamente è l’ostruzione delle vie respiratorie, se vengono inalati, o un lieve bruciore se entrano in contatto con gli occhi: esperienze ben note a molti ciclisti cittadini. Possono inoltre fare danni se intasano impianti di aerazione e bisogna fare attenzione a evitare che prendano fuoco perché sono altamente infiammabili. Se invece si bagnano o comunque assorbono umidità, perdono il loro volume e la capacità di farsi trasportare dal vento: per questo dopo una pioggia primaverile, per un po’ di tempo, non se ne vedono.
Dal punto di vista degli alberi, la funzione dei pappi è favorire la diffusione dei semi sfruttando il vento. Anche altre piante oltre ai pioppi ne producono, ma quelli che si vedono nelle città italiane sono dovuti perlopiù a questi alberi. E per la precisione alle “femmine”, cioè agli alberi che producono i frutti.
I pioppi sono un genere di alberi che fa parte della stessa famiglia dei salici e ne esiste una quarantina di specie, quasi tutte originarie dell’emisfero settentrionale. In Italia si trovano soprattutto quattro specie spontanee e i loro cultivar, cioè varietà coltivate. Le due specie più comuni sono il pioppo nero (Populus nigra), che si chiama così perché ha la corteccia scura, e il pioppo bianco (Populus alba), la cui corteccia invece è inizialmente color verde chiaro e poi diventa bianca, con placche nere.
Oltre che nelle città, nella pianura Padana è molto comune vedere i pioppi in lunghi filari paralleli: sono i pioppeti coltivati per ottenere legname per la produzione di pannelli di compensato, carta e fiammiferi, ad esempio. Si tratta spesso di cosiddetti pioppi del Canada, una varietà ottenuta incrociando i pioppi neri con una specie americana, il Populus deltoides.
In generale, in Emilia-Romagna i pioppi sono molto diffusi e fanno parte anche dell’immaginario legato alla regione: Amarcord di Federico Fellini ad esempio inizia con una “nevicata” di pappi, chiamati con l’espressione riminese «manine».
Tra i diversi tipi di pioppi sono molto riconoscibili anche i cosiddetti pioppi cipressini, un’altra varietà dei pioppi neri che si distingue per il fatto di svilupparsi prevalentemente in verticale, in modo simile ai cipressi, appunto. La maggior parte dei pioppi cipressini in circolazione sono individui maschili, per questo non producono pappi.
Proprio per i disagi causati dai pappi, nelle città i pioppi sono scelti sempre meno per rendere più verdi strade e parchi, ma avrebbero il vantaggio di essere specie di alberi molto adatte ad assorbire (o, come si dice, “sequestrare”) anidride carbonica, il principale gas causa del cambiamento climatico, perché crescono molto rapidamente, dunque in poco tempo incamerano relativamente tanto carbonio.