La pandemia sarà seguita da un periodo di grande baldoria?
È una riflessione che inizia a circolare dove le vaccinazioni sono più avanti, basata sui precedenti storici
Tra la fine del 1665 e l’inizio del 1666 il politico inglese Samuel Pepys annotò nei suoi famosi diari che «l’epidemia si è ridotta quasi a zero» e che «non ho mai vissuto così gioiosamente». Man mano che passavano i primi giorni del 1666, e man mano che i casi di peste diminuivano, Pepys riportava con sempre maggiore frequenza momenti di vita allegri, passati insieme alla moglie e agli amici a ballare e ad ascoltare musica e canti, pur notando con malinconia che le strade di Londra rimanevano ancora vuote e prive di vita.
Quella che passò alla storia come la grande peste di Londra non fu poi così grande, se paragonata alla peste nera di metà Trecento che uccise circa un terzo della popolazione europea. E non si può paragonare neanche all’influenza spagnola, la pandemia che tra il 1918 e il 1920 fece tra i 50 e i 100 milioni di morti in tutto il mondo. Eppure dopo tutti questi eventi durante i quali un’epidemia o una catastrofe ha riguardato – su scale diverse – la collettività, c’è quasi sempre stato un periodo di generale euforia e sviluppo culturale: il Rinascimento dopo la peste nera, i Roaring Twenties (“Ruggenti anni Venti”) dopo l’influenza spagnola e la Prima guerra mondiale, la grande espansione economica nota come “età dell’oro” del capitalismo dopo la Seconda guerra mondiale.
Non sempre il rapporto di causa ed effetto tra epidemie e successive “rinascite” è chiaro e facilmente individuabile dal punto di vista storico, ma più di qualcuno ha cominciato a chiedersi se l’attuale pandemia sarà seguita da un periodo simile ai Roaring Twenties.
Le riflessioni che tentano di formulare previsioni su come sarà lo spirito del tempo quando ne usciremo hanno cominciato a circolare alla fine dell’anno scorso, quando il trauma dei primi mesi di pandemia era stato parzialmente assorbito. A novembre del 2020, il Guardian scriveva che la storia suggerisce due scenari su questo fronte, che poi sarebbero quelli emersi dall’epidemia di influenza spagnola: un senso di liberazione ed ebbrezza tendente all’edonismo, affiancato a un sentimento più riflessivo e oscuro, volto a rielaborare le difficoltà attraversate nel periodo precedente.
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I Roaring Twenties sono stati tramandati come un’epoca di espansione culturale e liberazione quasi sguaiata sotto tanti punti di vista. In quegli anni cambiarono i costumi, nacquero nuove correnti artistiche rivoluzionare come dada (impropriamente noto anche come dadaismo), si affermò uno stile femminile più libero ed emancipato (adottato dalle flapper, con la gonna al ginocchio e il taglio corto) e negli Stati Uniti, a New Orleans, nacque lo swing, la prima manifestazione di massa del jazz, che all’epoca aveva tratti marcatamente esuberanti e gioiosi ed era pensato e suonato essenzialmente per le sale da ballo. Sempre negli Stati Uniti, poi, ci fu una relativa espansione economica e si moltiplicarono i locali dove venivano serviti alcolici sottobanco – gli Speakeasy – aggirando le restrizioni imposte dal Proibizionismo.
Sarebbe improprio però ricondurre le cause di questa fioritura culturale alla sola fine dell’epidemia. La giornalista Laura Spinney, autrice di 1918 – L’influenza spagnola ed esperta di storia della scienza, spiega al Post: «Certamente ci furono un rimbalzo economico e uno demografico dopo la pandemia. Detto questo, credo che sia convincente l’ipotesi secondo cui sia la Grande guerra che la pandemia contribuirono al baby boom che vide il mondo attorno al 1920. Possiamo dire che la pandemia abbia contribuito anche a un “rimbalzo” in ambito artistico, intellettuale, sociale e sessuale? Forse, ma è difficile da dimostrare».
Secondo Spinney, inoltre, bisogna essere cauti a paragonare la pandemia di COVID-19 a quella di influenza spagnola, perché sono due eventi assai differenti, non solo per i rispettivi contesti storici ma anche per le loro dimensioni: «Non ci dimentichiamo che l’influenza del 1918 gioca in un campionato a parte. Ha ucciso almeno 50 milioni di persone in un’epoca in cui la popolazione globale era un quarto di quella di oggi. Il COVID-19 è stato devastante, ma ha ucciso “soltanto” poco più di 3 milioni di persone (secondo i dati ufficiali). Per quanto il dato possa peggiorare – non è ancora finita – non raggiungerà i livelli del 1918».
Nonostante le differenze, i paragoni sono stati molti, e ci sono stati accademici che hanno provato a fare qualche previsione su quali cambiamenti sociali ci saranno nei prossimi mesi e anni. Secondo Nicholas Christakis, sociologo e docente all’Università di Yale, quando la pandemia da coronavirus sarà sotto controllo ci sarà progressivamente un’oscillazione della società nel senso opposto a quello che la pandemia aveva imposto: quindi più interazioni sociali, più aggregazione e anche una maggiore ricerca di piacere e divertimento.
«Durante le epidemie si diventa più religiosi, le persone rinunciano di più ai piaceri, risparmiano i soldi» ha detto Christakis al Guardian. Poi, quando la malattia regredisce, si assiste a un’inversione di queste tendenze. Aumenteranno quindi le interazioni sociali, il senso di religiosità tornerà a ritirarsi e secondo Christakis potrebbero diffondersi anche abitudini sessuali più libere.
Con un punto di vista meno accademico, il New Yorker ha fatto delle previsioni simili in chiave comica in un articolo molto apprezzato nelle scorse settimane. Il titolo dell’articolo allude proprio ai Roaring Twenties (“Come saranno i nuovi Roaring Twenties”), e immagina scherzosamente come sarà il mondo nel decennio appena iniziato: Alexandria Ocasio-Cortez sarà presidente degli Stati Uniti, gli aperitivi su Zoom verranno banditi per legge e al posto degli Speakeasy ci saranno i Dresseasy, scantinati dove «i festaioli si accalcheranno per assaporare un inebriante assortimento di athleisure [abbigliamento sportivo] e provare la sensazione illecita di farsi respirare addosso da sconosciuti in modo sicuro».
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A più di un anno dall’inizio della pandemia, con le fasce anziane della popolazione ormai in gran parte vaccinate e l’avvicinarsi della stagione estiva, è facile percepire un progressivo venir meno della determinazione delle persone all’astinenza dalla socialità e dallo svago di gruppo. Scienziati e politici invitano alla cautela, ricordando che l’epidemia è ancora in corso e che abbandonando certe importanti abitudini messe a punto nell’ultimo anno potrebbero esserci tracolli. Ma nei paesi più avanti con le vaccinazioni, a partire dagli Stati Uniti, da alcune settimane si sta consolidando un clima di generale ottimismo e progettazione per i prossimi mesi, in un modo che sembra confermare le previsioni di Christakis e di altri accademici.
Un’altra domanda affascinante alla quale è di fatto impossibile dare una risposta è se, in che misura e quanto in fretta il periodo pandemico e le sue implicazioni saranno rimossi o perlomeno archiviati dalla memoria collettiva. «Penso che questa pandemia lascerà meno tracce di quanto la gente pensi», dice Spinney. «Con questo non voglio dire che non ci saranno cambiamenti quando finirà. Di solito le pandemie accelerano trend già in corso: potrebbe essere il caso del trend di diffusione del telelavoro, per esempio».