L’ultima trovata di Pep Guardiola
In una stagione complicatissima, il Manchester City può vincere tutto dopo essersi reinventato per giocare senza punte
Il prossimo 29 maggio il Manchester City giocherà contro il Chelsea la sua prima finale di UEFA Champions League in 127 anni di storia. Non è un caso se dopo tutto questo tempo, e dopo le centinaia di milioni spesi in tredici anni dalla sua ricchissima proprietà, il City arrivi a giocarsi la sua prima finale di Champions League proprio ora.
Nelle ultime cinque stagioni in cui è stato allenato da Pep Guardiola, il City ha vinto nove titoli in Inghilterra, tra cui due Premier League consecutive alle quali ne aggiungerà probabilmente un’altra fra pochi giorni. Nello stesso periodo nessun’altra squadra è riuscita a imporsi con questa frequenza nel campionato più competitivo e aperto d’Europa, a dimostrazione del livello tecnico e tattico raggiunto nel tempo con Guardiola.
In Champions League, tuttavia, nel torneo che consacra le grandi squadre del continente, al City è sempre mancato qualcosa: eliminato agli ottavi alla prima stagione, poi tre volte consecutive ai quarti, quasi sempre contro squadre sulla carta meno quotate, come Monaco, Tottenham e Lione. Quel qualcosa che è mancato finora, il City sembra però averlo trovato in una delle stagioni più complicate di sempre.
La squadra di Manchester ha disputato una stagione senza punte. Per Guardiola poteva non essere una novità, visti i successi ottenuti a Barcellona con il cosiddetto falso nove, ruolo che ideò abbassando la posizione di Lionel Messi per dargli la possibilità di puntare le difese a tutta velocità e per liberare spazi in cui inserirsi ai due attaccanti esterni. Al City però non si è trattata di una scelta tecnica, ma principalmente di una necessità.
Sergio Aguero, l’attaccante simbolo del City nell’ultimo decennio, tra infortuni e positività al coronavirus ha giocato da titolare soltanto una partita di Champions League e sei di campionato. Anche l’altra punta in squadra, il brasiliano Gabriel Jesus, ha dovuto saltare spezzoni di stagione per infortuni e positività. E quando è stato utilizzato, ha avuto evidenti difficoltà a riproporre le prestazioni che avevano sorpreso tutti al suo arrivo in Inghilterra.
Guardiola ha quindi allenato la squadra a fare a meno delle punte, in un campionato che finora non era mai stato vinto senza, e in contrasto con tutte le principali rivali, che invece si affidano molto ai loro centravanti: il Tottenham con Harry Kane, il Liverpool con Firmino, lo United con Cavani, l’Arsenal con Aubameyang. In alcuni di questi casi, però, l’eccessiva importanza data alla punta ha causato non pochi problemi, come nel caso del Tottenham di José Mourinho, andato in grosse difficoltà quando si è trovato senza Kane.
Oltre alle due punte poco utilizzate (Aguero andrà via a fine stagione), in quel ruolo il City ha usato finora sei giocatori diversi: Riyad Mahrez, Phil Foden, Bernando Silva, Ferran Torres, Kevin De Bruyne e Ilkay Gundogan, la maggior parte dei quali utilizzati finora come trequartisti o centrocampisti centrali. E proprio Gundogan – il meno offensivo tra i sei citati – è il miglior marcatore della squadra, con dodici gol complessivi segnati finora, seguito da Raheem Sterling e Riyad Mahrez — due esterni – a quota nove gol. Nella classifica dei marcatori di Premier League, Gundogan è decimo: un dato che sembra stridere con i 13 punti di vantaggio sullo United con cui il City vincerà probabilmente il campionato.
La versatilità dimostrata dai giocatori del City è una delle caratteristiche principali riconosciute ai calciatori moderni e stando ai risultati è diventata indispensabile in questa stagione, segnata da calendari particolarmente fitti e quindi infortuni, assenze impreviste, stanchezza. In Italia ne è un esempio l’Inter, vincitrice del campionato con una rosa ampia che durante la stagione ha garantito ricambi continui, soprattutto nel ruolo fondamentale degli esterni. Al City la versatilità ha portato al gol sedici giocatori diversi, dodici dei quali con più di due reti segnate.
Senza punte, il gioco del City è cambiato, pur mantenendo le caratteristiche del suo calcio posizionale, dove tutti i giocatori gestiscono spazi e movimenti in modo da essere sempre collegati l’uno con l’altro. L’intensità del pressing è diminuita rispetto agli anni passati, complice anche la difficoltà di mantenerla in una stagione lunga e particolarmente dispendiosa. Una squadra che un tempo avrebbe pressato aggressivamente per dare palla ai suoi attaccanti il prima possibile, ora in condizioni normali è più concentrata a interrompere le linee di passaggio avversarie per poi presentarsi in attacco con varie possibilità, sempre dettate dalla grande qualità tecnica dei giocatori.
L’atteggiamento offensivo, unito all’efficacia del nuovo difensore centrale, il portoghese Ruben Dias, e alla presenza di un nuovo mediano di qualità, lo spagnolo Rodri, ha fatto del City una squadra mediamente più prudente che però continua a giocare in modo propositivo e palla a terra come poche altre in Europa. In questo modo, con la Coppa di Lega già vinta, una finale di Champions League da giocare e un campionato che potrebbe vincere questo fine settimana, il City potrebbe imporsi come la miglior squadra della stagione più complicata, confermando ancora una volta la visione del suo allenatore.