Perché continuano a mancare le biciclette
Dopo i problemi dell'anno scorso, le due “tempeste perfette” – le difficoltà produttive e l'aumento della domanda – portate dalla pandemia sono ancora lì
Da circa un anno in buona parte del mondo il settore delle biciclette si trova in quella particolare condizione in cui la domanda è superiore all’offerta. Per motivi ben noti – e comunque facili da intuire – la pandemia ha fatto aumentare l’interesse verso le biciclette, che tra l’altro già era in crescita da qualche anno, soprattutto per quanto riguarda quelle con pedalata assistita. Secondo recenti stime nel 2020 sono state vendute in Italia oltre due milioni di biciclette, il 17 per cento in più rispetto al 2019.
Era dagli anni Novanta – quando in molti si comprarono una mountain bike, allora una novità – che il settore non faceva numeri così buoni. E visto che non è solo “merito” della pandemia, ma anche di una più generale attenzione verso la mobilità sostenibile e l’ambiente, qualcuno ha parlato di una “tempesta perfetta” per spiegare il grande aumento nella domanda di biciclette in questi mesi .
Non c’è dubbio, però, che i buoni numeri riscontrati per il 2020 e ipotizzati per il 2021 avrebbero potuto e potrebbero essere persino migliori. Perché ancora oggi non tutti quelli che hanno voluto una bicicletta hanno potuto comprarla, perlomeno non in tempi brevi. I motivi sono tanti e vari, dalla prudenza di chi teme che questo grande interesse possa finire da un momento all’altro fino a questioni più prettamente industriali che riguardano la delocalizzazione produttiva, passando per l’incagliamento della Ever Given e l’aumento del costo dell’acciaio. Tanto che qualcuno ha parlato di “tempesta perfetta” anche in questo senso.
Si sono insomma incontrate due “tempeste perfette”. Con buoni motivi per credere che, almeno per un altro po’, entrambe le condizioni – una grande domanda e una minore offerta – continueranno a verificarsi.
Le biciclette e i loro pezzi
Le biciclette sono tante cose. Ci sono quelle semplici, per bambini o entry-level, che costano giusto qualche centinaio di euro; e quelle più complesse e avanzate: come le biciclette da corsa di alta gamma o certe biciclette a pedalata assistita (le cui vendite sono aumentate del 44 per cento nel 2020) che per funzionare non hanno bisogno soltanto dei muscoli di chi ci sta sopra, ma anche di una batteria e di un motore elettrico. E le biciclette sono fatte di tante cose: nel caso di quelle più sofisticate servono infatti oltre 50 componenti diversi, in certi casi prodotti in decine di posti differenti – spesso in Asia – e poi assemblati in altri posti ancora. E sebbene l’Italia sia sede di alcune storiche aziende e il secondo produttore europeo, anche le biciclette italiane sono fatte di pezzi prodotti all’estero.
Basta che salti un solo anello della catena perché una bicicletta non possa essere completa e quindi venduta. Nell’ultimo anno, molti di questi anelli sono saltati più di una volta e per più di un motivo. Nei primi mesi del 2020 perché dovettero chiudere o quantomeno rallentare drasticamente la produzione le aziende asiatiche. Poi perché, anche quando i pezzi ripresero ad arrivare, furono le aziende europee a dover fare i conti con lockdown e rallentamenti.
Il tutto mentre nel mondo si verificava un fenomeno che John Burke, amministratore delegato di Trek, grande azienda statunitense di biciclette, ha riassunto così: «È come se ci fosse stato un grande pulsante con scritto sopra “Boom globale delle biciclette” e qualcuno l’avesse premuto senza avvisare».
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I problemi degli ultimi mesi
Anche dopo che chi di dovere si era accorto e aveva reagito al “boom”, e anche dopo la ripresa a pieno regime della produzione, è però continuato a essere difficile ottenere tutte le parti necessarie per assemblare certe biciclette e farle arrivare nei negozi o renderle disponibili per l’acquisto online da parte degli interessati.
Per cominciare, chi si occupa dei singoli componenti – e quindi di telai, freni, pedali, catene e così via – parla di problemi nel reperimento della materia prima. L’azienda statunitense SRAM ha citato difficoltà nel reperimento del carbonio, ma ci sono stati problemi, o quantomeno rilevanti aumenti di prezzo, anche con l’acciaio e con l’alluminio, il cui prezzo per tonnellata è aumentato, secondo dati citati dal Sole 24 Ore, «del 27 per cento rispetto all’anno precedente». Sempre il Sole 24 Ore ha scritto che anche i prezzi di «altri materiali come metalli e plastiche, sono cresciuti del 40-60 per cento».
A questo si aggiungono ostacoli e lentezze nel trasporto, soprattutto dei tanti pezzi provenienti dall’Asia. Si è parlato, a questo proposito, di notevoli aumenti nel costo dei container e anche, in certi casi, di difficoltà nell’ottenimento di container in cui mettere le biciclette o le loro parti. In questo senso, il guaio della Ever Given non ha aiutato.
In generale, comunque, chi fa biciclette spiega che la maggior parte dei rallentamenti è dovuta alle difficoltà nel reperimento della componentistica, soprattutto di quella che dovrebbe arrivare dall’Asia. «I telai non sono un problema», ha detto a Road.cc Peter Lazarus, responsabile britannico dell’area di Decathlon per il marketing del settore bici: «Decathlon di certo non ha problemi a farsi i suoi telai. La vera questione è la componentistica principale. Freni, cambi, ruote, selle e manubri». A questo proposito è stato scritto che, per esempio, gli ordini fatti a Shimano – grande azienda giapponese di componentistica – sono compilati con la prospettiva di ottenere i pezzi anche dopo più di un anno.
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Le possibili soluzioni
A questo punto, è lecito chiedersi se non basterebbe aumentare la produzione, così da avvicinare l’offerta alla domanda. Dove possibile, è stato fatto. Ma non è bastato, e comunque ci sono anche un paio di ragioni per cui molti preferiscono non aumentarla troppo.
In molti casi, la domanda è aumentata più della capacità produttiva: «negli ultimi nove mesi» ha spiegato Trek a marzo «abbiamo quasi raddoppiato la nostra capacità produttiva, e però la domanda è quasi triplicata». In certi casi non si può aumentare troppo e troppo rapidamente la produzione, in altri anche potendoci provare si preferisce non farlo. Perché, in sintesi, nessuno vuole ritrovarsi con un’offerta superiore alla domanda. E quindi con magazzini pieni di pezzi non venduti o, ancora peggio, con nuove fabbriche – la cui messa in funzione richiederebbe diversi mesi – che da un momento all’altro rischierebbero di risultare superflue. Oppure con tantissimi telai senza però abbastanza ruote; o al contrario con troppe ruote per i telai disponibili.
«Ogni boom finisce» – disse nel 2020 al New York Times Bonnie Tu, presidente di Giant Group, che produce oltre 4 milioni di bici ogni anno – «c’è solo da capire se questo finirà velocemente o lentamente».
Da qui in poi
Pur nella consapevolezza che il pulsante con scritto “Boom globale delle biciclette” verrà più o meno disattivato, ci sono comunque alcuni segnali del fatto che molte aziende – di varia grandezza e di diverse fasi della filiera produttiva di una bicicletta – stiano considerando (o addirittura già mettendo in atto) un parziale ritorno verso l’Europa, con l’intento di avvicinare tra loro i luoghi di produzione dei tanti pezzi che fanno una bicicletta, sveltire certi passaggi e allargare alcuni colli di bottiglia che si sono evidenziati in questi mesi.
Anche in questo caso, però, si tratta almeno in parte di un azzardo, perché produrre in Europa costa di più e, di nuovo, perché avviare una fabbrica da zero richiede tempo. Per usare le parole di Bonnie Tu, «non c’è nessun altro posto al mondo in cui si possa andare così in fretta, come si fa in Cina, da zero a cento».
È dunque molto probabile che almeno per i prossimi mesi, continuerà a essere piuttosto difficile decidere di comprare una certa bicicletta e poterla guidare poco dopo. Per prima cosa, ci si dovrà arrendere al fatto che certe biciclette costeranno più che in passato; e in molti casi si dovrà scegliere tra l’accontentarsi di quel che c’è e il dover attendere anche diversi mesi per avere quel che si vuole.
Non è però affatto certo che, magari dopo l’estate e con una normalizzazione della situazione pandemica, l’interesse per le biciclette sia destinato a calare. In questo senso, ci sono infatti previsioni secondo cui dalle 20 milioni di biciclette vendute annualmente in Europa si arriverà a 30 milioni nel 2030.
Nel frattempo, dire quanto ci voglia per ottenere una bicicletta è impossibile. Dipende da troppe variabili: ma di certo – visto che l’incremento della richiesta è dovuto in buona parte all’interessamento di nuovi arrivati – le biciclette entry-level, più semplici e meno costose, continueranno con ogni probabilità a essere più difficili da avere in tempi rapidi rispetto a quelle molto più costose, che continuano a essere oggetto dell’interesse di persone già appassionate, che magari vogliono sostituire una vecchia bici.
Va da sé, quindi, che qualora ce ne sia la possibilità, una bicicletta usata continua a essere un’interessante alternativa, a patto che si sia in grado di valutarne la qualità e l’eventuale livello di usura. O che ci si sappia arrangiare nel sistemarla e – a patto di trovarli – sostituirne certi pezzi.
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