Cosa sono i PFAS, gli inquinanti delle acque del Veneto
Nel 2013 si scoprì che un'azienda chimica aveva diffuso queste sostanze nell'ambiente: a luglio inizierà un processo
Dalla scorsa primavera, nelle campagne tra la provincia di Padova e la provincia di Vicenza, in Veneto, si sta costruendo un acquedotto di emergenza di circa 22 chilometri: porterà a migliaia di persone acqua non inquinata da sostanze perfluoroalchiliche e polifluoroalchiliche, più note con la sigla PFAS, che sono particolarmente presenti nel territorio di più di 30 comuni veneti. È un problema di inquinamento noto dal 2013 e per cui da luglio ci sarà un processo. La scorsa settimana sono state rinviate a giudizio 15 persone legate in vario modo alla Miteni di Trissino (Vicenza), un’azienda chimica ora fallita che per decenni aveva diffuso PFAS nell’ambiente: le accuse sono avvelenamento di acque, inquinamento ambientale e disastro innominato.
I PFAS contengono legami tra carbonio e fluoro, tra i più forti della chimica organica. Sono questi legami a dare ai PFAS le caratteristiche per cui vengono utilizzati a livello industriale fin dagli anni Quaranta: rendono le superfici impermeabili ad acqua e grassi, sono resistenti al calore e a molti agenti chimici e hanno proprietà tensioattive, dunque sono usati per produrre carta da forno, padelle antiaderenti, indumenti pensati per stare all’aperto quando piove e schiume antincendio, oltre a cosmetici e farmaci.
I legami tra carbonio e fluoro sono anche la ragione per cui i PFAS sono molto poco degradabili, per cui una volta dispersi in un ambiente o assorbiti dal corpo umano ci restano molto a lungo: uno studio del 2016 ha stimato che ai reni umani servano dai 10 ai 56 anni per eliminare i PFAS più persistenti.
Di PFAS ce ne sono tantissimi, più di 4.700, e per questo solo di alcuni si conoscono abbastanza bene gli effetti sulla salute umana: non è semplice studiarli perché normalmente le zone inquinate da PFAS sono inquinate anche da altre sostanze ed è difficile capire quali abbiano un legame con i problemi di salute della popolazione locale.
I PFAS più noti sono l’acido perfluoroottansolfonico (PFOS) e l’acido perfluoroottanoico (PFOA); quest’ultimo è la sostanza di cui si parla nel film del 2019 Dark Waters, che racconta un caso di inquinamento ambientale causato dalla grande azienda chimica DuPont in West Virginia. Sia il PFOS che il PFOA sono ritenuti cancerogeni e tossici, a seconda dell’esposizione, per alcuni organi e per embrioni e feti; in particolare hanno effetti negativi sull’apparato endocrino, cioè sulle ghiandole che producono gli ormoni. Per questo dai primi anni Duemila le due sostanze sono state sempre più sostituite da altri PFAS, in particolare da acidi polifluoroalchilici (e non perfluoroalchilici), che però sono a loro volta molto persistenti.
Dei PFAS in Veneto si parla dal 2013, anno in cui il Consiglio nazionale delle ricerche (CNR) e il ministero dell’Ambiente fecero una ricerca su potenziali inquinanti «emergenti» nei principali bacini fluviali italiani: lo studio rivelò la presenza di PFAS in acque sotterranee, superficiali e potabili, e un inquinamento elevato di queste sostanze nelle province di Vicenza, Padova e Verona.
Nei comuni vicentini di Brendola, Lonigo e Sarego fu trovata la concentrazione più alta: pari a 1,2 microgrammi per litro. In generale nel bacino del fiume Fratta fu trovato più di 1 microgrammo per litro di PFOA e più di 2 microgrammi per litro di PFAS; il composto più presente era l’acido perfluorobutansolfonico (PFBS), che già da un po’ di tempo era usato al posto del PFOS.
Nel 2013 non esistevano limiti di legge per queste sostanze nell’acqua potabile, né a livello italiano né europeo; nemmeno l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) aveva raccomandazioni in merito. Tuttavia l’alta presenza di PFAS nell’acqua potabile spinse le autorità a intervenire: cominciarono ulteriori indagini e nel giro di pochi mesi furono introdotti dei filtri speciali negli impianti di trattamento delle acque per ridurre la presenza di PFAS, secondo le indicazioni date dal ministero della Salute. Poi si cominciarono a progettare degli acquedotti emergenziali per prelevare l’acqua destinata alle case da fonti non inquinate; tra questi c’è la condotta di 22 chilometri attualmente in costruzione, che collegherà i comuni di Ponso (Padova), Montagnana (Padova) e Pojana Maggiore (Vicenza).
Già nel 2013 si stabilì che la principale fonte di inquinamento da PFAS della zona era lo stabilimento della Miteni di Trissino: i PFAS venivano diffusi attraverso gli scarichi industriali nelle fogne, nel vicino torrente Poscola e nella falda sotterranea. Alla società fu chiesto di prendere provvedimenti immediati per ridurre l’inquinamento.
La Miteni aveva uno stabilimento a Trissino dal 1968. La società era nata, col nome di RiMAr, come centro di ricerca per l’azienda tessile Marzotto, poi però cambiò proprietà: nel 1988 fu rilevata da EniChem, la divisione petrolchimica di Eni, e dall’azienda giapponese Mitsubishi, che le cambiarono nome in Miteni. Nel 1996 Mitsubishi comprò le azioni di EniChem e nel 2009 vendette l’intera società al gruppo Icig, che ha sede in Lussemburgo e possiede varie aziende farmaceutiche e chimiche.
La scoperta dell’inquinamento da PFAS diede il via a varie inchieste giudiziarie sulla Miteni e nel giro di qualche anno la società si trovò in difficoltà «per i molti oneri derivanti dai problemi ambientali» che avevano «inciso in modo importante sul bilancio», e non riuscì a trovare finanziamenti dalle banche locali «preoccupate per la reputazione della società a seguito delle polemiche»: per queste ragioni nel 2018 la Miteni dichiarò fallimento.
Il processo inizierà il primo luglio e avrà per imputati dirigenti della Mitsubishi, della Icig e della Miteni stessa. Si svolgerà a Vicenza: gli accusati avevano chiesto che fosse spostato a Trento, sostenendo che i magistrati vicentini potessero essere influenzati dal fatto di essere residenti nel territorio inquinato, ma la richiesta è stata respinta.
Nell’Unione Europea l’uso di PFOS è limitato da un regolamento del 2019 che in futuro riguarderà probabilmente anche il PFOA. Di entrambi si dovrebbe eliminare la produzione e l’uso secondo la Convenzione di Stoccolma sugli inquinanti organici persistenti, un accordo internazionale che è in vigore dal 2004 ma che l’Italia, unica tra i firmatari europei, non ha ancora ratificato. A novembre il governo ha approvato un disegno di legge per farlo, che ora è in attesa di essere approvato dal Parlamento.
Intanto a gennaio è entrata in vigore una nuova direttiva europea sull’acqua potabile che dovrà essere adottata come legge negli stati membri dell’Unione Europea nel giro di due anni: stabilisce che nell’acqua potabile possano essere presenti al massimo 0,5 microgrammi per litro di PFAS in generale o al massimo 0,1 microgrammi per litro di una selezione di PFAS, tutte sostanze perfluoroalchiliche tra cui il PFOS e il PFOA. In Veneto dal 2017 si osservano dei limiti più stringenti: 0,03 microgrammi per litro per il PFOS e 0,09 microgrammi per litro per il PFOS e il PFOA insieme. In molti paesi della provincia di Vicenza comunque si preferisce bere l’acqua in bottiglia.